Giovanni Battimiello, mArgine. MGZOOM
Giovanni Battimiello, mArgine. MGZOOM

Giovanni Battimiello con mArgine

Giovanni Battimiello in mostra

Si è inaugurata la mostra mArgine  di Giovanni Battimiello promossa e organizzata dalla Shazar Gallery presso le Scuderie Reali di Ercolano.

Giovanni Battimiello, mArgine. MGZOOM
Giovanni Battimiello, mArgine. MGZOOM

Testi Critici di Graziella Melania Geraci, Giovanni Cardone , Raffaele Loffredo. Si potrà visitare la mostra fino al 22 ottobre 2017.  L’artista napoletano mette in scena attraverso una serie di tele le sequenze del viaggio della speranza che porta gli immigrati verso le sponde e le città Europee.

La narrazione pittorica di Battimiello ripropone il tragitto compiuto e le emozioni provate dai fuggiaschi; i loro dolori e le loro speranze prendono forma nelle pennellate grumose e nelle mille stesure liquide che animano i quadri in mostra.

Come dice Giovanni Cardone: “La pittura di Giovanni Battimiello oscilla vertiginosamente tra una raffinata astrazione informale e una sperimentazione energica e gestuale, tra vaghi richiami e riferimenti che vanno da Giacomo Balla ad Hans Hartung.  Anzi, a tratti la modalità espressive paiono decisamente antitetiche. Un colore sfumato ed atmosferico steso con morbide velature a pennello o con tenui tocchi  che si contrappongono ha sciabolate di colori accesi e primari impressi selvaggiamente sulla tela. Nelle sue opere possiamo tutti quanti identificarci dove linguaggio del Terzo Millennio tende di far capire una globalizzazione e una  socialità diversa. Egli lo descrive attraverso i suoi spazi vuoti iniziali e finali in quella congiunzione di linee che tentano di raccontare la disarmante migrazione dei popoli.  Giovanni Battimiello nel contempo  crea una tesi ed una antitesi che non trovino mai un momento di sintesi.

Ma ad un certo punto qualcosa cambia  nel suo universo parallelo, come sottoposto ad una forza irrefrenabile di attrazione, e di contrazione cosmica, questi  due mondi sintesi e sperimentazione sembrano rispondere ad analoghe leggi. L’arte di Giovanni Battimiello trova accenti di grande ed efficace sintesi formale. Su entrambe le frontiere il suo processo creativo subisce, al tempo stesso, una concentrazione estrema e un’impennata, un guizzo, un’alzata d’ingegno. La sintesi, la contrazione coincide con una duplice riduzione al minimo dei mezzi espressivi: una riduzione del colore e dell’azione pittorica ad un unico gesto reiterato: il “graffiare” , il rigore è assoluto. Maniacale nella ripetizione del gesto e monacale nella rinuncia alla consueta vibrante gamma cromatica. Per molte opere e per molto tempo il colore domina sovrano, despota incontrastato, anche se poi la policromia irrompe di nuovo prepotentemente, il colore torna a balenare a macchie, macchie che in definitiva non fanno che esaltare, per contrasto.

E su entrambi i fronti creativi si manifesta improvvisa e spiazzante un’invenzione, una trovata tecnica che si risolve in svolta stilistica. Giovanni Battimiello usa la sintesi e la sperimentazione creando nuove e suggestive, immagini, e dei fasci di luce e di ombre. In entrambi i casi, si ottiene il medesimo effetto paradossale: ovvero di dare profondità ai quadri dove la bidimensionalità viene esaltata al massimo delle sue possibilità dalla monocromia e dalla reiterazione del gesto sulla superficie, dando un’illusione di profondità e di piani sovrapposti. Giovanni Battimiello usa la paratassi come struttura portante delle sue opere, ma la sua nostalgia per la forza evocativa della sintassi (e della “narrazione”) è evidente e gli fa piegare la paratassi verso confini inediti e inusuali, sottilmente spiazzanti, volutamente contraddittori. Egli fa una pittura sperimentale dove la sintesi crea un immagine visiva unica.  Nel contempo egli tenta di forzare mezzi meno convenzionali. Quello che  genera  è una sorta di cortocircuito tra il mezzo espressivo e l’opera espressa. Infatti la creazione di piani sovrapposti, l’illusione di profondità nelle opere di Giovanni Battimiello risponde ad una necessità di strutturare il quadro a fini evocativi, allusivi e quindi, in qualche misura, potenzialmente “narrativi”: un primo piano e uno sfondo, il balenare della luce dalle tenebre o viceversa il cadere di ombre su zone illuminate… sono tutte cose che alludono ad una distanza da colmare, ad una possibilità di azione, ad una atmosfera carica di attese e di inquietudini, a qualcosa che potrebbe accadere. In Giovanni Battimiello tesi ed antitesi non trovano sintesi.

Le linee orizzontali e quelle verticali non generano diagonali. È di qui che scaturisce la forza di questi quadri. Nelle sue opere vi è uno scontro frontale, tra stasi e movimento, tra spazio e tempo. Il dissidio insanabile è tra l’essere e il divenire, se la vogliamo mettere sul filosofico. Tra il condensarsi della materia e il suo espandersi, oppure esplodere sino alla dissoluzione. Nelle opere di Giovanni Battimiello vi è un conflitto tra linee orizzontali e linee verticali, tra luce ed ombra, e tra segno morbido, “flou”, e graffio stridente. Le scisse e le ordinate non si incontrano mai. Le forze spingono in direzioni ortogonalmente opposte senza incontrarsi, senza fondersi. I graffi orizzontali si sovrappongono o più spesso giustappongono a quelli verticali, generando tensioni. La luce è il risultato di raschiature sulla superficie “metallica” coperta dal colore; mentre l’ombra affiora, morbida e sfumata, quasi evanescente, oppure incombe a larghe strisce dai contorni indefiniti. L’ombra è un panno morbido che avvolge. La luce un graffio che fa male. Ma tra le due presenze il contrasto è insanabile. Sì, sono due presenze, poiché l’ombra in Battimielloi non è assenza di luce, ma presenza immanente, imprescindibile, incombente.

Forse, addirittura, è la luce ad essere assenza di ombra, mancanza, negazione. Non che tutto questo non ci fosse anche prima. Solo che adesso il rigore estremo di queste opere mette a nudo brutalmente gli schemi, e al tempo stesso li rende anche più prepotentemente efficaci. E come possiamo chiamare il conflitto irrisolto tra luce ed ombra, tra essere e divenire, tra carezza e graffio, tra orizzontalità e verticalità, se non col nome antico e dimenticato di “tragedia”? A ciascuno poi, se lo vorrà, la possibilità di cogliere i risvolti metaforici di alcuni di questi poli contrapposti: luce ed ombra, carezza e graffio, orizzontale e verticale…”.

Su Giovanni Cardone

Saggista, storico dell’arte e critico d’arte, docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea presso istituzioni universitarie e di alta formazione.

Lascia un commento