Si inaugura venerdì 16 ottobre alle ore 18.00 la mostra Infiniti Paesaggi di Antonio Pedretti a cura di Salvatore Marsiglione, Tomoharu Aoyama e Stefano Fossati. Nel contempo la mostra verrà inaugurata giovedì 22 ottobre alle ore 17.00 Kyoto e sabato 24 ottobre Osaka in Giappone.
Con il Patrocinio ed il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Osaka. Con il Patrocinio del Consolato Generale d’Italia di Osaka.Con il Patrocinio della Città di Kyoto. Con il Patrocinio della Fondazione Italia Giappone. Con il Patrocinio dell’Associazione Luigi Russolo. La mostra la si potrà visitare fino all’8 novembre presso il MAG- Marsiglione Arts Gallery. Continua la linea progettuale della MAG per unire con un ponte culturale le città di Como, Kyoto e Osaka, e questa volta lo fa coinvolgendo uno dei più importanti artisti di paesaggio della storia contemporanea. Il Maestro Antonio Pedretti. In comune accordo con Stefano Fossati, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Osaka e Tomoharu Aoyama Direttore della Gallery Tomo di Kyoto, nostro partner storico, abbiamo scelto di coinvolgere per questo nuovo progetto, il Maestro Antonio Pedretti perché il suo lavoro meglio di altri, si coniuga tra la pittura tradizionale italiana e quella giapponese. Nella pittura popolare nipponica gli elementi naturali hanno grande rilevanza, essa esplora l’ambiente in costante metamorfosi nelle 4 stagioni, caratteristica questa del lavoro di Pedretti che da sempre analizza, nei suoi dipinti, l’evolversi dei cambiamenti atmosferici: l’inverno dei Bianchi lombardi, le estati dei Varigotti Live e gli scorci primaverili ed autunnali dei Paludosi, dei Luoghi di Narciso o dei Margini del lago.
Come ci dice Salvatore Marsiglione: “Nella sua personalissima cifra stilistica il Maestro Pedretti ha esplorato innumerevoli volte l’origine dei suoi luoghi, come un novello Samurai, egli difende, ma soprattutto nutre un profondo rispetto nei confronti delle sue radici e della sua cultura, quella lombarda, che da secoli esplora con l’arte il mondo naturalistico. Il soggetto del creato è affiancato dal concetto di rigenerazione, una costante in natura. All’interno di alcuni suoi scorci si percepisce l’energia dei giovani fuscelli appena nati o la decomposizione degli arbusti ormai scomparsi nella palude. Nella pittura giapponese i soggetti sono realizzati con pennellate delicate e fluide a china e acquerello che creano una superficie piatta quasi a sembrar stampata; in quella di Pedretti, invece, troviamo la forza espressiva del suo gesto, il graffio della spatola e la materia spessa che vibra in pochi colori, che li rendono unici e impossibili da replicare. Ai giapponesi, per tradizione, piace godere dei vari aspetti delle diverse stagioni e anche nel lavoro del Pedretti troviamo ogni momento indagato ed espresso in molte versioni, come fossero fotogrammi di una vecchia pellicola.Ne fa esempio la fortunata serie dei Bianchi lombardi, dove l’artista testimonia il momento della tempesta, quello della nevicata o semplicemente il paesaggio innevato e soleggiante. Ogni momento dell’inverno viene esplorato: dai primi freddi con atmosfere rarefatte e nebbiose, fino agli attimi di fine inverno in cui le terre riaffiorano sciogliendo le nevi. Possiamo dire, in generale, che il mondo della natura è per convenzione in tutto l’Oriente, molto più che in Occidente, puro e spirituale, legato alla religione interiore e al trascendente, in particolare in Giappone dove lo Zen diventò tutt’uno con la natura degli abitanti del luogo fino ad impregnarne ogni aspetto.
Oltre a queste ragioni culturali ne esistono anche alcune di carattere filosofico-estetico come la pittura di paesaggio che aiuta chi la contempla a dimenticarsi di sé stesso per entrare in un fluire cosmico in cui il nostro Io si dissolve. Secondo lo studioso Joseph D. Parker ci sono due sensazioni tipicamente Zen che aumentano il valore di questo soggetto d’arte: l’illusione e la gioia. In questo le opere di Pedretti sono un evidente esempio poiché vanno a toccare dei punti nel nostro inconscio che ci regalano la gioia dei ricordi e l’illusione di aver già visto e conosciuto quei luoghi, a noi familiari pur non essendolo, pur non esistendo. Secondo la cultura tradizionale giapponese non è necessario rappresentare la mimesi della realtà, ma la sua pulsazione: non esistono paesaggi dal vero né ricordi precisi di essi, eventualmente possono nascere paesaggi formati da elementi presi da diversi ricordi. Anche in questo si riscontrano i paesaggi di Pedretti, essi non rappresentano un luogo preciso, bensì un insieme di ricordi legati ai propri luoghi. Quando vediamo un prato innevato con delle montagne sullo sfondo, ci troviamo di fronte al suo regno, quello fatto di ricordi e di fantasia meditativa. Le opere esposte nelle tre sedi, si rifanno tutte a questi concetti filosofici e sottolineano il legame che c’è tra la pittura di paesaggio del Pedretti e la pittura di paesaggio tradizionale giapponese, ma senza volerne superare i confini. La differenza più preponderante è sicuramente quella tecnica, ove riscontriamo una superficie frutto del temperamento tipicamente italiano e mediterraneo dell’artista. Ma quando lo spettatore riuscirà a superare la barriera superficiale e penetrare in profondità, troverà l’essenza comune, tra gioia ed illusione. Un’ulteriore intreccio tra la cultura orientale e occidentale presente in questo ciclo di esposizioni, è sottolineato dal tema della deposizione. In tutto Oriente il tema della deposizione è molto sentito e viene affrontato da uno specifico rito: la cura del Nokanshi. Questa è una tradizione giapponese estremamente rigorosa, un modo prezioso per donare l’estremo saluto alla persona deceduta. Questo rito prevede la pulizia del corpo, il trucco sul viso e la vestizione che divengono le ultime simboliche carezze fatte alla persona cara prima di lasciarla andar via per sempre. Il tema della deposizione affrontato dal Maestro Pedretti, diviene invece un approfondimento del tema rigenerazione già affrontato nel suo lavoro . L’artista decide di rappresentare questo elaborato tema attraverso un solo tronco d’albero che taglia trasversalmente, ed occupa nel suo insieme, tutta la tela lunga ben tre metri. Questo defunto ci viene presentato a noi nella sua solitudine, come un’imponente oscurità dal quale emergono tocchi di luce quasi a mostrarne un futuro ultraterreno. La deposizione pedrettiana diventa così un’inquietante evento, seppur naturale, che scuote l’animo, stimolandolo a più profonde riflessioni, non lasciandolo così per nulla indifferente. Nell’allestimento italiano abbiamo una serie di opere su tela realizzate nell’ultimo anno dal Maestro Pedretti, in cui il suo segno, il suo graffio è diventato ancor più preponderante e significativo; oltre ad alcuni lavori pensati e realizzati per le mostre giapponesi, tutti su cartone a moduli da cm. 35×50 che compongono alcune grandi vedute e altre macro impressioni di Madre Natura”.