Si inaugura sabato 26 settembre alle ore 18.30 la mostra di Chiara Nastro Nils a cura di Pierluigi Luise Intervento Critico di Giovanni Cardone presso Palazzo Oddo Albenga – Savona la mostra la si potrà visitare fino al 7 ottobre 2015. Palazzo Oddo nome moderno del palazzo che ospitò per secoli il Collegio Oddi.
Occupa un intero isolato tra via Roma, via Gian Maria Oddo, vico Eulalia, vico del Collegio. È sorto, come la maggior parte dei palazzi di Albenga, non ex novo, ma da un primo edificio al quale sono stati assemblati nel corso degli anni altri fabbricati vicini, sino a formare un corpo unico. Nel 1623 Gio Maria Oddi, dottore in legge, morendo lascia la casa di sua proprietà e una cospicua parte dei suoi beni per l’istituzione di un collegio e di una scuola superiore gratuita per dodici alunni dell’albenganese privi di mezzi. La dimora originaria degli Oddi era il secondo edificio del vico del Collegio e aveva di fronte una piccola piazza. Gio Maria, per la realizzazione del suo lascito, aveva già acquisito l’abitazione d’angolo tra via Roma e via del Collegio, unendola alla propria. Nel 1628 il Comune si inserisce nel lascito, amplia il progetto e apre i corsi ad alunni cittadini e forestieri. Per accogliere il numero superiore al previsto, vengono affittate altre due case attigue e confinanti con il retrostante vico Sant’Eulalia.
Nel 1637, per rispettare un’altra clausola del testamento dell’Oddi, viene edificata nella piazzetta la chiesa di San Carlo e collegata tramite un arco al Collegio. Nel Settecento vengono acquisite le case già in affitto e le altre che si affacciano sul Vico Sant’Eulalia: con un primo intervento si uniscono i vari corpi edilizi e si procede a rialzare una parte dell’edificio di un piano. Nell’Ottocento l’Amministrazione dell’Oddi acquista il prestigioso palazzo con torre della famiglia Lamberti all’angolo tra via Roma e via Gian Maria Oddi e lo unisce alle altre strutture. Ormai il Collegio occupa tutto l’isolato compreso tra le quattro vie, mentre i diversi edifici, pur collegati tra loro, rivelano ancora una netta differenziazione architettonica. Nel 1842, in un momento di particolare prosperità economica, l’Amministrazione dell’Oddi affida all’architetto Galleano di Savona l’incarico di unificare le varie strutture in un unico edificio. L’architetto provvede alla realizzazione di una elegante facciata su Via Roma, con fregio, stemma del Comune e stemma degli Oddi. Per le tre facciate secondarie si limita ad una semplice intonacatura delle pareti. All’interno crea tre piani, cercando di ridurre i dislivelli tra i vecchi edifici, ma l’operazione non è sempre possibile. Infatti, se la struttura esterna dà l’idea di un perfetto allineamento, all’interno il livello dei pavimenti, anche allo stesso piano, varia da stanza a stanza con conseguente collegamento tramite piccole gradinate e differente disposizione delle finestre: alcune risultano poste a pochi centimetri da terra, altre addirittura a ben due metri di altezza. Il progetto Galleano assegna un primo piano alle aule scolastiche, un secondo piano ad aule di studio del Convitto, alla cucina con il refettorio, agli uffici, un terzo piano al dormitorio. Così ristrutturato, il Collegio Oddi diventa un edificio di notevoli dimensioni in grado di ospitare sia le Scuole Pubbliche sia il Convitto per gli alunni esterni. Nel 1860, in base alla nuova riforma scolastica del Regno d’Italia, accoglie le scuole elementari maschili e il Regio Ginnasio. Agli inizi del Novecento si aggiunge un novo Istituto, la Scuola Tecnica. Il Palazzo Oddo mantiene al suo interno scuole e convitto sino al 1940, quando il Comune trasferisce tutte le scuole nel moderno edificio realizzato in via Dante Alighieri grazie al lascito Paccini.. Il Collegio Oddi continua a sopravvivere come semplice convitto sino al 1955, anno in cui viene definitivamente chiuso. L’edificio rimane in abbandono per oltre venti anni. Soltanto alcune stanze del primo piano sono mantenute in efficienza per ospitare la Biblioteca civica e, saltuariamente, aule scolastiche quando una particolare urgenza comunale le richiede. Divenuto del tutto inagibile, il Comune lo acquista nel 1979 per trasformarlo in un centro culturale. I lavori di ristrutturazione si protraggono, per l’accavallarsi di controversie burocratiche, per ben 25 anni. Nel 2006 l’Amministrazione comunale denomina la struttura Palazzo Oddo e fonda una società con il compito di gestire al primo piano il museo degli arredi funebri d’età romana di recente scoperta (il famoso Piatto blu), la biblioteca Civica al secondo piano, mentre il terzo piano è destinato ad ospitare mostre. La chiesa di San Carlo viene attrezzata come auditorium per conferenze e concerti. Nel 2009 il Palazzo Oddo si arricchisce del lascito Don Antonio Balletto, una ricca donazione di circa 30.000 volumi. Come ci dice Giovanni Cardone : “L’arte di Chiara Nastro riassume la perpetuasospensione tra la vita e la morte, la generazione di un “Arte Nuova” dove le sensazioni e sentimenti sono preminenti, dove il confronto con il proprio “Io” mette ha nudo l’animo dell’artista. Chiara Nastro vive ha pieno una dimensione quella del “ dentro” e quella del “fuori” tra l’essere fisico e l’essere spirituale nel travaglio della liberazione della percezione sull’atto creativo tra il “finito” e il “non finito”. Le biotecnologie hanno modificato la nozione di famiglia legata ai rapporti di sangue, la concezione di identità personale, i sentimenti associati alle fasi più solenni dell’esistenza (concepimento, nascita, morte), il ritmo dei cicli vitali. Ai vincoli di sangue, involontari, tendono sempre più a sostituirsi quelli elettivi. Si acuisce così la consapevolezza di un maggiore dominio della specie umana su se stessa e, insieme, l’angoscia di chi è chiamato a prendere decisioni dagli esiti talvolta imprevedibili. La bioetica, diventata un campo di battaglia tra opposte visioni del mondo, riporta l’attenzione sulla corporeità sia a livello individuale che a livello di generazioni future mediante l’intervento sul patrimonio genetico. In questo saggio vengono analizzati i problemi esistenziali che derivano dalla separazione tra generazione e fecondità, in particolare nei casi della fecondazione artificiale eterologa e dell’ovodonazione. Si mettono così in rilievo da un lato il complicarsi delle ‘forme elementari della parentela’ dall’altro i sentimenti delle persone nate per mezzo di queste procedure e dei loro genitori biologici e sociali, allorché tali ruoli si scindono. Chiara Nastro con questo suo nuovo progetto ci racconta letture e rielaborazioni della mente e della percezione sul presente , passato e futuro. Un tentativo ossessionante di fare emergere degli universi paralleli e completi più o meno leggibili che nella loro verità e semplicità si raccontano anche senza movente descrittivo”.