Il regista Carlo Fineschi, dopo “Rolling” e “Ad occhi chiusi”, firma un nuovo, particolarissimo, spettacolo itinerante, caratterizzato da undici attori che porteranno lo spettatore nel vivo della scena, tra stanze di antichi palazzi e castelli: Maria Stuart.
Un riadattamento di uno spettacolo scritto da Friedrich Schiller, che si protrarrà fino al 29 maggio prossimo e che, per la magia che lo caratterizza, vi consigliamo di non perdere.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Carlo Fineschi. Come stai e come ha avuto origine questo riadattamento di Maria Stuart?
Sto bene, grazie! Mi è piaciuto molto il testo, la storia, i rapporti tra queste due regine in un mondo così descritto da Schiller. Inoltre, mi colpiva l’idea di poter far immergere il pubblico in luoghi storici, in un’epoca completamente diversa dalla nostra, in una storia compiuta. Il testo, a mio avviso, si adattava molto bene per quanto riguarda una tematica a cui tengo molto, il rapporto tra donna e uomo, annessi al potere. Il progetto nasce nel 2018 ma, purtroppo, ha subito un fermo legato al Covid19, dopo i consensi ricevuti dal nuovo Imaie.
Parlavamo appunto di un fermo legato alla pandemia da Covid19. Quanta emozione c’è, oggi, in questa ripresa?
Tantissima, sicuramente! Questo virus per il nostro settore è stato davvero devastante, terribile. Non poter realizzare nulla dal vivo, per chi fa questo lavoro, è surreale. Le sale cinematografiche sono state “ferite” seriamente ed è, a mio avviso, una rivoluzione epocale di cui si parla ancora poco. Il teatro, per fortuna, sta riprendendo la sua corsa, forse perché non ha alcuna piattaforma pronta a soppiantarlo, e la voglia delle persone fa tanto, così come il volere un contatto umano, reale. Sono felice di questo, di tornare finalmente in scena con undici attori. Sapere di poter dare lavoro a tutti loro mi rende orgoglioso.
Cosa ti spinge a scegliere determinati attori per una piece teatrale?
La semplice conoscenza degli attori, visti in un dato ruolo, televisivamente parlando, o il semplice provinarli. Ciò che più conta, a mio avviso, è che l’attore sia adatto, fisicamente parlando, o che sia in grado di calarsi nei panni del personaggio, nella maniera più naturale possibile. In parole povere, lo spettatore non deve minimamente pensare di avere davanti, sulla scena, una persona incapace di saper portare la storia che gli è stata assegnata. Alcuni attori avevano già lavorato con me nello spettacolo, “Ad occhi chiusi”, ed erano quindi consapevoli di ciò che avrei chiesto loro di portare in scena. La concentrazione che serve, in tali casi, è ancora più alta rispetto a quella che viene richiesta solitamente.
Chi è Carlo Fineschi nella vita di tutti i giorni e come ha avuto vita la tua passione per questo mestiere?
Carlo Fineschi è un regista, attore, scrittore e padre di due bimbi piccoli, legato anche a tanti impegni che la famiglia comporta. Nasco, inizialmente, come musicista e, solo successivamente, si è sviluppata la mia passione per il teatro. Ho vissuto, in un secondo momento, una specie di innamoramento nel chiedermi come potesse essere il teatro negli anni duemila, questo perché notavo che gli spettatori erano sempre più anziani e meno giovani. Ho voluto quindi sperimentare anche l’idea di portare lo spettatore sulla scena, senza fargli vivere soltanto il tutto in sala, da seduti.
Cosa senti di consigliare a tutti coloro che pensano di voler intraprendere il tuo stesso mestiere?
Consiglio loro di portare avanti il proprio sogno, questa passione. Bisogna provarci, con tutte le difficoltà del caso, ma provarci fa tanto ed è la cosa più importante. Da attuare, insieme a questo, la sincerità più assoluta, senza pensare a come lavorerebbero altri.