Leo Gullotta - Prima del silenzio

Leo Gullotta in Prima del silenzio

Leo Gullotta - Prima del silenzio

Beniamino del pubblico nazionale, Leo Gullotta – catanese doc – torna ancora una volta sul palcoscenico del “suo” Teatro Stabile, E lo fa con uno spettacolo ospite di rilevante interesse. Nell’anno del decennale della morte di Giuseppe Patroni Griffi (dicembre 2015), il Teatro di Roma accoglie la produzione di uno dei suoi testi più noti, Prima del silenzio, interpretato proprio da Leo Gullotta, nel ruolo di un vecchio poeta solitario, e diretto da Fabio Grossi.

Un omaggio del Teatro di Roma all’uomo e all’artista che ha attraversato sessant’anni di cultura italiana, affinché possa proseguire la vita e il percorso di uno dei testi più rappresentativi di Patroni Griffi, in questa messa in scena che è stata molto amata dal pubblico e dalla critica nella passata stagione teatrale. Proprio a seguito delle vicende che hanno portato alla chiusura di una sala storica come quella di Via Nazionale, il Teatro di Roma ha ritenuto doveroso acquisire questa produzione di punta che, con il marchio del Teatro Eliseo, è stata ospite in alcuni dei maggiori teatri italiani Prima del silenzio passa così sotto l’egida del Teatro di Roma in collaborazione con Teatro Eliseo e Fuxia contesti d’immagine.
Lo spettacolo – con Eugenio Franceschini, e le apparizioni di Sergio Mascherpa e Andrea Giuliano e con l’apparizione speciale di Paola Gassman – conclude la tournée al Teatro Verga7 al 29 marzo), ospite del Teatro  Stabile di  Vatamia. .
A interpretare questa opera scritta nel 1979 per Romolo Valli, è il talento poliedrico di Leo Gullotta che porta in scena il valore della “parola”, strumento di sopravvivenza e libertà, attraverso la forza profetica e vivificante del testo. Nel ruolo del protagonista, l’attore racconta la storia di un vecchio poeta disilluso e malinconico, amareggiato nei confronti di una società che non riesce più a comprendere. Deciso a lasciarsi tutto alle spalle, famiglia, poesia e vita stessa, l’unico legame che sembra essergli rimasto è un giovane (Eugenio Franceschini) affascinante, dinamico e spensierato, con cui intraprende una relazione ambigua fatta di attrazione fisica e intellettuale e, al contempo, di differenze e incomprensioni.
Uno scontro generazionale fra un uomo maturo e un giovane, attratti da forze ambigue come amicizia, sesso, amore, dove la necessità diventa quella di testimoniare il valore della parola e il suo fallimento, per rappresentare il binomio tra il mondo degli adulti, che sconta gli errori del passato, e quello dei giovani, che rimane intrappolato nelle paure del futuro. Se il ragazzo considera le parole un limite alla realtà, un ostacolo all’azione e a quell’intraprendenza selvaggia che contiene a fatica, il poeta scorge nell’uso della parola l’unico vero modo per sentirsi ancora vivo, ritenendo necessario dire tutto il possibile prima del silenzio, ovvero prima che cada la quiete della morte. Spinto da questa lotta impossibile tra l’incapacità a usare le parole e il rifiuto a voler creare un linguaggio comune, il poeta esorcizza il confronto-scontro con il ragazzo attraverso l’apparizione recriminante dei fantasmi della sua vita passata: la famiglia, affrontata attraverso il personaggio della moglie (Paola Gassman) come un’entità vorace e ricattatoria; la casta, rappresentata dal personaggio del figlio (Andrea Giuliano) con i suoi orpelli e contributi piccolo borghesi; il dovere, materializzatosi attraverso il personaggio del maggiordomo (Sergio Mascherpa), figura di una oppressione che fa leva sul senso di colpa. Tre fantasmi che ritornano in vita come incubi e fanno da contraltare al rapporto che il poeta ha costruito con il giovane ragazzo, mettendo in discussione le proprie convinzioni, passioni e speranze che lasciano spazio, infine, solo alla forza della parola.

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