Ivan Francesco Ballerini
Ivan Francesco Ballerini

Ivan Francesco Ballerini: il poeta che scrive con la chitarra

In quattro anni ha inciso tre album, e questo la dice lunga su Ivan Francesco Ballerini, cantautore toscano che ha recentemente pubblicato l’ultimo lavoro dal titolo “Racconti di mare- la via delle spezie” per la casa editrice musicale Long Digital Playing.

Non solo cantautori nei suoi riferimenti stilistici e di penna, ma anche poeti come Dante Alighieri e Giovanni Pascoli, che hanno consolidato la sua formazione, identificabile in ogni suo album. La sua personalità, a tratti quasi naif, si trasforma completamente quando canta e dà la misura di come Ballerini abbia saputo contestualizzare la sua sensibilità artistica in quella musica che fa cultura rendendolo, di fatto, un musicista di prim’ordine nel panorama del cantautorato tradizionale italiano.

Nonostante sia profondamente legato alla Maremma e alle sue tradizioni, è assoluto protagonista del presente ma, come ci racconta, non manca mai di gettare una moneta al futuro.

Benvenuto sulla Gazzetta dello Spettacolo a Ivan Francesco Ballerini. Vorrei partire da una cosa che lei ha saputo nascondere molto bene, ovvero la sua toscanità. Il suo accento, così tipicamente marcato, non influisce minimamente sul suo modo di cantare che, al contrario, è privo di qualsiasi inflessione.  Come riesce a fare questa magia?

Ho fatto un lungo lavoro, passando molto tempo a registrarmi e ascoltarmi. Capitava, da ragazzo, che quando sentivo la mia voce registrata, a volte non mi riconoscessi; quindi, ho adottato questa misura per arrivare sul palco. In questa modalità, riesco a emozionarmi e a trasmettere quello che sento. Certamente cambia molto se canto per me stesso o per gli altri. È un fatto di vibrazioni;  le canzoni in live le posso cambiare, le rallento oppure le modifico, proprio come gli stati d’animo.

Lei sarà impegnato a San Marino nella finale nazionale del “Tour Music Fest” dove porterà una canzone diversa rispetto a quanto previsto. Cosa Le ha fatto cambiare idea sul brano?

Nella canzone “Al bar del porto”,  è presente la fisarmonica e in quel contesto trovo che non abbia lo stesso smalto. Ho trovato più adatto il pezzo “Riflessi nello specchio”; è un brano che mi appartiene in modo particolare, che parla di una realtà in cui il tempo passa e non si può fermare; sembra un concetto scontato ma non lo è perché, se si ascolta bene, il messaggio che c’è dietro arriva in modo molto diretto. A di là dei pezzi, il mio progetto è stato scelto perché contiene molti elementi su cui costruire qualcosa. Questo per me è importantissimo, in primo luogo perché voglio fare il cantautore da grande, poi è importante anche per tutte le persone che lavorano con me. Ora siamo diventati una famiglia, io tiro l’acqua al mio mulino, certo, ma anche al mulino degli altri; io non penso mai solo per me stesso, penso sempre al gruppo.  Il musicista ha bisogno del batterista, del bassista, dell’arrangiatore, del corista; se non si lavora bene in sintonia, il rischio è che il progetto non passi.

Ivan Francesco Ballerini è un artista consolidato nel panorama musicale italiano; come valuta oggi la presenza del cantautorato d’autore all’interno di questo contesto?

I punti fermi che ho avuto nella mia vita artistica, De André, Dalla, Battisti oggi non ci sono più. È rimasto Ivano Fossati ma purtroppo oggi non produce e quindi è da un paio d’anni che io canto solo le mie canzoni. A volte canto qualche brano di De Gregori o di De André, giusto per un ricordo. Di quel cantautorato, oggi trovo scarna la proposta perché il sapore è completamente diverso rispetto al passato.  

Le do tre titoli: “Cavallo pazzo”, “Ancora libero” e “Racconti di mare”, evocativi di una ricerca sia interiore che musicale del concetto di libertà. Quali sono le catene che, come idea, rischiano di imbrigliare un musicista o un cantautore?

Mi viene in mente un concetto annoverabile alla cappa di piombo che metteva Dante Alighieri in un certo punto dell’Inferno. In primo luogo, metto la focalizzazione del pensiero al successo e ai soldi. Personalmente, non  ho mai pensato al successo, anzi, per alcuni aspetti, lo fuggo. A volte, mi piacerebbe anche essere nell’ombra, essere sì considerato ma, comunque, nell’ombra. Poi, la libertà è anche non essere vincolati a persone che ti dicono cosa si deve scrivere. Una persona deve scrivere in base a quello che ha da raccontare. Se la vena creativa si prosciuga, bisogna dirlo a chi ascolta e, se piacciono le cose che sono state raccontate, si continua a cantare quelle.

C’è un personaggio che Ivan Francesco Ballerini ha cantato in cui si identifica particolarmente?

Non mi identifico in nessuno, però mi sono calato nella parte come fa l’attore, esattamente come se dovessi interpretare quella cosa in teatro. La vita di cavallo pazzo, ad esempio, è stata una vita meravigliosa che però non mi sarebbe piaciuto fare. Al contrario, la vita di Vasco de Gama mi ha appassionato moltissimo.

Le sue canzoni sono storie che hanno richiesto studi approfonditi; ce n’è una che le ha richiesto particolari approfondimenti?

Sì; il lavoro su Pero da Covilhã ha richiesto molto tempo. Ho dovuto studiare tutte le tappe del suo viaggio che l’hanno portato sull’isola di Rodi; poi il Cairo, lo Yemen, l’India; averlo raccontato, in un certo qual modo, mi ha portato fortuna.

Lei dice che le storie raccontate dall’uomo de “Al bar del porto” hanno un altro sapore. Ci racconta di cosa sanno queste storie?

Senza dubbio hanno il sapore di ciò che canto. Sono storie di un vissuto, di chi ha viaggiato molto e sa come raccontare ogni avventura. Ma può farlo anche chi ha letto dei viaggi degli altri e riesce a farli propri; è il grandissimo potere della letteratura secondo cui, chi legge tanto, vive tante vite.

Da un titolo come “Preghiera Navajo” ci si aspetta quasi un racconto dedicato al popolo degli Indiani d’America; ascoltando la canzone, scopriamo con sorpresa un testo molto attuale e quasi autobiografico. In che proporzione questo testo la rappresenta?

Al cento per cento. “Preghiera Navajo” la scrissi nei momenti in cui naufragavano i barconi dei migranti e morivano molte persone, quindi per me quella canzone ha un profondo valore umano in un momento di grande tristezza globale. Mentre la scrivevo, pensavo alla mancanza di rispetto per il pianeta di cui spesso siamo testimoni. La canzone rimanda all’invocazione alla pace della tribù Navajo, come fece il capo tribù Nuvola Rossa, un personaggio per me meraviglioso.

Tocchiamo adesso qualche corda interna; lei dice che suo nonno le ha insegnato a combattere senza provare dolore. Ci racconta come si fa?

Serve fortificare il corpo, come facevano alcuni religiosi che, per avvicinarsi a Dio, si auto punivano. Dormivano sulle pietre, non mangiavano per giorni perché, secondo loro, da questo supplizio si arrivava alla beatificazione. Io ritengo di aver avuto una bella vita, a parte la perdita di mia madre, e sono grato all’universo di avere quella sensibilità per cui riesco a dipingere il dolore degli altri anche senza averlo vissuto in prima persona.

Quanto impattano su di lei le contaminazioni di altre forme d’arte parallele alla musica?

Moltissimo, se si considera il fatto che la lingua italiana è già di per sé molto musicale. Se pensiamo alla letteratura, penso al tredicesimo canto dell’Inferno di Dante Alighieri; uno dei più complicati, ma io questa musica ce l’ho in testa e non la posso dimenticare. Se non si sentono certe vibrazioni, non si possono tradurre in parole. Con la musicalità dell’italiano ad accompagnarmi, non devo faticare per scrivere canzoni, a volte arrivano per conto loro. Io uso poco gli incisi, non amo particolarmente i ritornelli, non mi piacciono le rime, ma, nonostante ciò, le canzoni prendono forma.

Dio c’è nelle piccole cose, come lei ci racconta, e per farlo usa molti parallelismi. Uno su tutti, in cui lei trova Dio in una moto che corre verso il mare, riporta al concetto del saper gioire delle piccole cose. Quindi le chiedo: dov’è principalmente Dio per Ivan Francesco Ballerini?

Dappertutto, e non è retorica. Tutte le volte che sono un po’ triste, io mi do uno schiaffo per ricordarmi che bisogna essere sempre grati alla vita, prestando attenzione proprio alle cose belle che ci circondano e che ci succedono. Io sono partito, so qual è la mia meta e so che sulla via troverò ostacoli ma anche cose meravigliose.  

Su Benedetta Zibordi

Autrice, copywriter, appassionata di musica, letteratura e fenomeni socio-politici, nella vita lavora nel campo della comunicazione come DMM e SEO specialist.

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