Edizioni Piuma, a distanza di poco tempo dall’uscita del libro “Il Disegnatore di Nuvole” di Giorgia Simoncelli, torna sul mercato editoriale con uno dei titoli più amati e inserito a pieno diritto tra le pietre miliari della letteratura per bambini.
“Nella collana dei classici all’avanguardia – ha dichiarato l’editrice Francesca Di Martino – non poteva mancare l’appuntamento con ‘Alice nel paese delle meraviglie’. Il percorso iniziato con Pinocchio, poi ‘Cappuccetto Blu’ e ‘L’arte di Giufà’ oggi si completa con quest’ultimo libro, illustrato da Enzo Venezia, eclettico artista, architetto, scenografo e illustratore che riesce sempre a stupire con la sua fantasia e interpretazione della realtà, attraverso le sue forme astratte”.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo a Enzo Venezia, quali chiavi di lettura consentono rime e colori rispetto a una forma di narrativa più tradizionale?
Già da tempo avevo in mente di realizzare questo classico. ‘Alice nel Paese del Meraviglie’ è un testo tanto complesso quanto intrigante, pieno di significati nascosti che non smettono mai di saltare fuori come dal cappello di un mago. Se si pensa a quanto sia antico questo romanzo, la sua prima edizione è del 1865, si comprende come lo spessore di questa opera intramontabile offra spunti sempre nuovi nelle sue innumerevoli interpretazioni, dal cinema al teatro: ogni volta sembra quasi di scoprire qualcosa di cui non ci si era accorti prima, meraviglioso. Questo accade perché Lewis Carrol ha raccontato il dilemma di diventare adulti attraverso metafore, similitudini e simboli, tutto un terreno prolifico per gli psicologi e le loro analisi dei personaggi e gli studi sul percorso di crescita di un bambino. A lungo ho pensato a questo mare di significati e ho scelto di usare due strumenti espressivi che mi potessero aiutare, ovvero le rime e i colori.
Come Alice, anche io dovevo lasciarmi alle spalle qualcosa e scegliere di crescere attraverso questo lavoro, così ho abbandonato il monocolore, usato nei tre libri precedenti della collana dei classici all’avanguardia (‘Bugie e verità di Pinocchio’, ‘Cappuccetto Blu’ e ‘L’arte di Giufà’) per sfidare i colori in tutta la loro potenza. Il rapporto dei bambini con i colori è assoluto, ancestrale, unico per far emergere la propria emotività e, se ci si pensa, diviene una chiave fortissima per esprimere la creatività stessa.
Le rime sono uno strumento meraviglioso per suscitare nei piccoli lettori un sorriso, un gioco in cui cimentarsi per ricordare la storia ed entrare nel testo. Un esercizio fondamentale per la loro crescita.
Cosa succede quando a un artista come te, con l’idea di allenare ogni giorno la propria sensibilità per reinterpretare il mondo, si chiede di raccontare una bella storia?
È una domanda particolare e mi fa venire in mente quanto sia importante osservare cosa ci circonda. Che sia un artista, un autore, un creativo la faccenda è sempre la stessa, bisogna guardare continuamente il mondo per trovare un punto di vista, una frase, un’immagine che lo rappresenti o lo definisca in una sintesi per raccontarlo agli altri. È un lavoraccio! È necessario essere meticolosi, disciplinati, mai arrendevoli, e queste sono solo le premesse per mettersi in mano un pennello o una penna. Quando si decide di raccontare una storia occorre mettersi in gioco totalmente al massimo delle proprie peculiarità.
Tuffarsi letteralmente nei colori è stata una sfida?
Come illustratore, per me usare i colori è stata una grande sfida. Quando lavoro a scenografie o istallazioni d’arte ho a che fare con lo spazio, con la sua profondità e con la luce. Invece, con le illustrazioni mi sono messo a riflettere sull’emotività dei colori, sulla loro potenza ancestrale, come dicevo prima. Kandinsky più di un secolo fa già parlava dello “Spirituale nell’arte”, c’erano artisti che studiavano il rapporto dei colori con il mondo dell’infanzia, con l’essere bambino e quanto questo fosse anche connesso con l’inconscio. I colori possono essere letti come manifestazioni dell’anima e non per forza devono descrivere la realtà così com’è. Ogni colore ha una sua dimensione nello spazio, una sua fisicità ben precisa. Scegliere la palette colore è stato lungo e faticoso. Non volevo usare colori spenti, anemici, al contrario cercavo vitalità e carica per rispondere meglio alle mie esigenze creative. Per me i colori devono far sentire la luce. Mi sono concentrato su ogni tonalità primaria, scelta per niente semplice da calibrare sulle tavole. Insomma, volevo che il lettore entrasse nella meraviglia dei colori e la cosa migliore era quella di usarli tutti, ma questo significava essere molto attento per non abusarne. I rossi, i blu i verdi, ognuno di loro mi ha regalato un’emozione che spero di aver trasmesso alle tavole.
E giocare con le parole in rima?
Fin da quando ho immaginato la mia “Alice nel paese delle Meraviglie” ho riflettuto su come reinterpretare il testo, una scelta ancora più impegnativa rispetto alle illustrazioni. Scrivere un riassunto della storia non m’interessava, piuttosto volevo sovrapporre il mio punto di vista con quello della protagonista. Alice, così come l’ha descritta Lewis Carrol, è una bambina svagata che si perde in un mondo surreale per traghettare nel mondo degli adulti. Desideravo che la mia Alice riscoprisse con stupore ogni Meraviglia ripercorrendo il viaggio di questa storia. Pe me le scoperte fanno crescere, e così da questa riflessione ho capito che doveva essere la stessa Alice a raccontare la sua storia.
La scelta delle rime ha seguito le esigenze editoriali della collana dei classici all’avanguardia, dove il testo in versi esce dal suo spazio per entrare in dialogo con le immagini. Il romanzo di Carrol, inoltre, si diverte nel mettere in fila rime, poemetti, canzoni, giochi matematici e altre trovate letterarie per il lettore. In qualche modo ho cercato di fare dei rimandi al mondo del nonsense di Alice con l’alfabeto, i numeri, aggiungendo dettagli ai disegni e frasi, oppure immaginando il cappellaio come un maestro, proprio come lo era in realtà lo scrittore.
Queste pagine sono per un pubblico di soli bambini o anche di adulti?
Un buon libro non ha lettori di una precisa età. L’età di un lettore è contestuale, occasionale, fortuita e soprattutto legata alla qualità avventurosa del lettore. Un libro è sempre un progetto riferito ad un pubblico. Questo fa parte dell’aspetto generativo del progetto. Ma tuttavia, come ho detto prima, questo non esclude che per le sue caratteristiche un libro non trovi altri lettori da quelli per cui è nato.
Sembra di capire che tu stesso in questa creazione abbia compiuto un viaggio. Quale messaggio vorresti far arrivare ai tuoi lettori, grandi e piccoli che siano?
L’importante non è la meta finale ma il viaggio stesso in quanto esperienza di vita. Infatti, è seguendo il viaggio dell’eroe che il lettore s’immedesima, si perde, soffre e cresce con lui. Io volevo semplicemente ricordare la bellezza di saper scoprire le meraviglie durante le proprie esperienze, senza mai fermarsi viaggiando e stupendosi nel vedere cose nuove.