Stefania D'Elia e Mingo De Pasquale per PIN
Stefania D'Elia e Mingo De Pasquale per PIN

Il magico mondo di Pin: uno spot per parlare di autismo

La Puglia ancora una volta, si schiera con le sue eccellenze dalla parte di chi ancora non ha abbastanza voce, dimostrando tutto il suo coraggio e il suo cuore.

Mica Scemo è un progetto interamente pugliese, nato dall’idea dell’attore Mingo de Pasquale e Stefania D’Elia (in foto), presidente dell’Associazione Vinci con Noi impegnata da nove anni sul territorio di Bari nel realizzare percorsi ludico-sportivi nel nuoto, nel calcio e nella danza per persone con diagnosi di autismo o di disabilità intellettivo-relazionale dai 3 ai 40 anni.

Stefania D'Elia e Mingo De Pasquale per PIN
Stefania D’Elia e Mingo De Pasquale per PIN

Si è unito all’idea di Stefania e Mingo, Antonio Palumbo regista e conterraneo. Mica Scemo è un progetto ambizioso che nasce dall’idea di scardinare la diffidenza nei confronti dell’autismo, cercando di comprenderlo senza pregiudizi. Questo grazie alla diffusione di un progetto audiovisivo e cinematografico, che arriva dritto al cuore. Il protagonista, Pin, interpretato dall’attore barese Mingo de Pasquale, è un adulto affetto da autismo, un personaggio estremo e delicato, che con semplicità ci apre le porte del suo mondo. Un uomo adulto che conserva e mostra senza ritegno, il suo essere bambino, con disarmante spontaneità. Un dialogo senza parole tra Pin e una bambina, dove gli sguardi e i silenzi, insieme a piccoli gesti, diventano incontro.

Come nasce il progetto?

Mica Scemo è il frutto di un anno di studio e di sperimentazione a stretto contatto con i ragazzi dell’associazione, che ha portato alla realizzazione di un progetto diviso in tre fasi (Cortometraggio, Film, Centri Polifunzionali) partito il 2 Aprile, giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, con il lancio nazionale dello spot, primo step di questo progetto, che ha la finalità di accendere una luce su questo tema, fare promozione sociale, raccogliere collaborazioni e fondi per portare avanti il progetto Mica Scemo, con la produzione del film e la realizzazione di centri polifunzionali per il “dopo di noi”.

Mingo, è uscito su tutto il territorio nazionale Mica Scemo: è nato prima lo spot o l’idea del film?

Il film è nato prima, lo spot è stato pensato per fare una sorta di trailer e provare il personaggio ma Pin è piaciuto ormai esiste e ha bisogno di raccontarsi. C’è ancora tanto da dire e non ci si deve aspettare un film drammatico, perché Pin è molto di più. E’ anche ironia, leggerezza e nuove lenti per guardare senza pregiudizi l’altro e il mondo. Sarà contaminazione tra il dramma (innegabile) e la positività, per trovare una nuova chiave di lettura che ci permetta di spalancare le porte sul mondo delle persone affette da autismo.

Stefania come hai incontrato Mingo?

Un incontro voluto dal destino che, grazie alla magia dei nostri bambini, l’ha stregato. Sono commossa dal modo in cui si Mingo si è lasciato coinvolgere, folgorato da questi bambini bizzarri e autentici, durante una manifestazione sportiva, in cui mi chiese di potersi avvicinare. Più si avvicinava, più sentiva l’urgenza di far parte di quel mondo. Mingo ha sposato la nostra battaglia, diventando parte del nostro gruppo, del quale ha studiato con tatto e delicatezza ogni gesto. Nella sceneggiatura ho messo tanto di Vincenzo e di me, della nostra storia personale e quando l’ho visto montato, ho pianto. In Pin, Mingo che ha studiato a fondo Vincenzo, mi ha mostrato il mio bambino, che oggi ha quindici anni, proiettato nel futuro. Nell’ultima scena, quando va via col capo chinato da una parte, lo vedo adulto e, ogni volta, provo un’emozione fortissima.

Quanto è stato difficile diventare Pin?

Stefania mi portava a casa dalle famiglie, poi m’insegnava e spiegava i gesti, il modo di fare. Una lunga elaborazione, che mi ha permesso di immergermi completamente in un mondo che mi era sconosciuto. Ho fatto un lavoro muscolare importante, per riuscire, per esempio, a far dondolare la testa, il braccio o muovere le dita. Ho lavorato per questo anche in palestra, dove mi osservavo attraverso gli specchi. La cosa più difficile in assoluto è stata, però, lo sguardo perso verso l’infinito. Stefania ha dovuto insistere parecchio, bloccandomi di continuo. In quel modo di guardare c’è tutta l’essenza di Pin, il suo punto di vista e il suo “mondo fantastico”.

Mingo cosa ti ha lasciato Pin?

Pin mi ha regalato il fatto di essere più attento, la capacità di vedere cose che non vedevo. Lui, per esempio nello spot, vede lo stecchino nel panino e lo sfila. Un gesto che sembra banale, ma è un messaggio preciso. Lui ci insegna un altro punto di vista, importante e che potrebbe rendere la vita migliore anche a noi che ci definiamo “normali”.

Mingo sei soddisfatto di Mica Scemo?

Riguardo a Pin sono soddisfatto e penso a cosa farebbe in un’altra situazione, cercando di proiettarlo in avanti, riflettendo sulla sua evoluzione. Di solito sono molto critico, lì mi rivedo volentieri e vedo solo Pin. Sono credibile anche a me stesso. In questo caso è un vero sdoppiamento: non sono Mingo e lo posso guardare senza essere in imbarazzo. Per fare il film tornerò a essere lui e non sarà una passeggiata. Dovrò fare una dieta serratissima, recuperare il tono muscolare per rifare quei tic. Una bella sfida che mi ha dato e mi riserverà ancora tanto, dal punto di vista attoriale e anche umano.

Stefania cosa hai provato con Pin?

In Pin Mingo, che ha studiato a fondo Vincenzo, mi ha mostrato il mio bambino, che oggi ha quindici anni, proiettato nel futuro. Nell’ultima scena, quando va via col capo chinato da una parte, lo vedo adulto e, ogni volta, provo un’emozione fortissima. Sono commossa dal modo in cui si Mingo si è lasciato coinvolgere, folgorato da questi bambini bizzarri. Più si avvicinava, più sentiva l’urgenza di far parte di quel mondo. Mingo ha sposato la nostra battaglia, diventando parte del nostro gruppo. Ho lavorato con lui, ma vederlo materializzarsi è stato bellissimo e commovente. Una sensazione che non riesco a descrivere.

Ti definisci una mamma rock’n’roll, perché?

Perché non vogliamo essere definite con stereotipi che non ci appartengono: non siamo mamme coraggio, i nostri figli non sono speciali ma originali, una delle tante declinazioni che ha la bellezza. Noi siamo mamme rock’n’roll, come i nostri figli. Loro hanno un’intelligenza superiore a noi, che non sanno “gestire”. Uno studio americano gli ha definiti una sorta di robot dei quali non abbiamo ancora il libretto d’istruzioni che ci consenta di dare loro la possibilità di esprimersi al meglio. Hanno una percezione sensoriale più sofisticata di noi, vedono, sentono di più di noi, come uno strano genere di supereroi. Possiamo imparare gli uni dagli altri e diventare migliori!

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