Martina Pensa. Foto da Ufficio Stampa.
Martina Pensa. Foto da Ufficio Stampa.

Martina Pensa, i sogni possono realizzarsi

Oggi abbiamo incontrato Martina Pensa, attrice romana classe 1990 sempre impegnata tra teatro e quest’anno anche con il cinema. Dal red carpet di Venezia per il film Una storia senza nome, si racconta…

Benvenuta Martina Pensa, sei stata a Venezia per presentare il film Una storia senza nome. Che emozione provi ora?

Ridurre tutto ad un’emozione sola è impossibile, sono in un turbine di emozioni: paura, ansia, soddisfazione, ma sicuramente quella che prevale è la felicità, la gioia di essere qui come attrice.

Il tuo personaggio è quello di Irene. Come lo descriveresti? 

Irene è una ragazza giovane, bella e bionda, tanto bionda. Pellicce, tacchi e boccoli sono il suo pane quotidiano. Il suo obiettivo è diventare un’attrice famosa, di conseguenza pende dalle labbra di chiunque potrebbe aiutarla ad arrivare al successo. Dietro il mascara si nasconde però una donna molto sensibile, a volte insicura e sincera nei suoi sentimenti.

Ti assomiglia? In cosa credi di essere diversa da Irene? 

Sicuramente vorremmo fare nella vita lo stesso lavoro, con la differenza che per essere un’attrice io ho studiato molto e continuo a farlo, non punto mai sul mio aspetto fisico, che di donne belle ce ne sono un’infinità, ma sulla simpatia e sull’ironia che mi contraddistingue. Io vado quasi sempre in giro struccata e con i capelli arruffati, mentre Irene è sempre “perfetta” anche in situazioni spiacevoli, siamo due espressioni diverse della femminilità, io mi sento molto donna e anche lei. Forse quello per cui mi assomiglia di più è il mondo interiore e la sensibilità.

Che esperienza ha rappresentato per te girare Una storia senza nome?

Per me questo film è stata l’Esperienza. E’ in pratica il mio primo film e ho imparato tutto qui. Il set, la preparazione che c’è dietro ad ogni piccola cosa, le attese, le difficoltà, il lavoro di squadra, le soddisfazione, i rapporti interpersonali che si creano e tanto altro. Un’esperienza che non scorderò mai.

Come descriveresti questo film e che messaggio speri colga il pubblico? 

Descrivere questo film è un compito arduo. Non è un film da etichettare con un genere, è contemporaneamente un film drammatico, raccontato come una commedia, che parla di un crimine, del misterioso furto, realmente avvenuto a Palermo nel 1969, de La Natività di Caravaggio. Quello che spero è che il pubblico entri in Una storia senza nome, lasciandosi trasportare dalla magia di questo film, passando dalla realtà all’immaginazione, dall’ironia alla durezza della verità, insomma che permetta al cinema di raccontare una storia attraverso il suo fascino.

Martina Pensa. Foto da Ufficio Stampa.
Martina Pensa. Foto da Ufficio Stampa.

Una storia senza nome è diretto da Roberto Andó. In che modo il regista ti ha spronata e aiutata durante le riprese? 

Roberto Andò mi ha insegnato molto. Quello che mi ha da subito colpita è stata la sua l’attenzione ai dettagli, la precisione nella ricerca di quella specifica emozione o di quello sguardo o di quell’intenzione nella voce. Tra una scena e l’altra veniva da me, mi parlava sotto voce, allontanandoci mentalmente dal set, e mi spiegava esattamente quello che voleva dalla mia recitazione in quel momento. Ricordo che in una battuta dovevo piangere e lui mi disse in quale istante dovessi iniziare a farlo, tra due parole dovevo scoppiare in lacrime. Mi ha sia spronata che aiutata, sono davvero contenta di aver lavorato con lui.

Nel cast del film troviamo grandi nomi come Micaela Ramazzotti, Laura Morante. Come è stato per te recitare accanto a queste donne? 

Purtroppo non ho avuto la fortuna di lavorare sul set con Laura Morante, perché i nostri personaggi non si incontrano mai nella storia. La mia prima scena fu, invece, con Micaela Ramazzotti, ero davvero molto agitata, l’ho sempre stimata come attrice e avevo il terrore di fare brutte figure. Per fortuna, però, ci siamo da subito trovate in sintonia. Il mio personaggio interagisce quasi sempre con lei e con Alessandro Gassman. Due grandi attori, da cui ho cercato di rubare con gli occhi e di assimilare tutto quello che potevo della loro professionalità e soprattutto della loro anima artistica

Martina, come nasce il tuo percorso artistico?

Ho avuto l’amico immaginario fino all’età di otto anni. I miei genitori erano giustamente un po’ preoccupati, ma lo psicologo disse che avevo semplicemente tanta fantasia e immaginazione. Così ballavo, cantavo, recitavo, inventavo nuove lingue, disegnavo, dipingevo, tutto sempre con il mio amico immaginario che per fortuna dopo poco sparì. Non ho avuto un’adolescenza spensierata a causa di qualche problemino di salute, che mi ha resa una ragazzina difficile, chiusa, timida e impaurita. Così a diciassette anni mi sono iscritta ad un’accademia di teatro e da lì la mia vita è completamente cambiata. Ho trovato la mia dimensione, ho trovato me stessa e soprattutto sono diventata logorroica.

Chi sei e come ti descriveresti ai nostri lettori? 

Questa domanda è troppo difficile e ancora non mi sento pronta a rispondere. Sono in continua evoluzione. Quello che so è che amo la vita, la voglio vivere ogni giorno pienamente e che non smetterò mai di sognare. Tutti possono fare tutto in qualsiasi momento della vita. Dovremmo avere solo un po’ più di consapevolezza del nostro valore e delle grandi potenzialità che ognuno di noi ha. Bisogna “solo” lottare contro un mondo che tenta ogni giorno di distruggere i sogni, ma si può vincere, ne sono certa. I sogni si possono realizzare, punto.

Nel tuo percorso artistico, hai partecipato a tante opere teatrali. Quanto conta per te il teatro e cosa rappresenta per la tua vita? 

Il teatro è stato e rimarrà per sempre il mio grande amore. Grazie al teatro sono diventata quella che sono, grazie al teatro ho incontrato persone stupende, grazie al teatro ho pianto, ho riso, ho urlato, ho fatto la matta, ho fatto la prostituta, ho fatto l’uomo, ho vissuto tutto il mondo su un palcoscenico. Sono anche caduta dal palcoscenico fratturandomi lo spazio tra due vertebre, ma questo è un altro discorso. Il teatro è anche sofferenza, non solo nel tirar fuori le emozioni, ma anche fisica.

C’è un ruolo che vorresti ottenere e che hai sempre sognato? 

Non c’è un ruolo in particolare. Sicuramente mi piacerebbe fare un ruolo duro, da cattiva. Avendo un visino molto dolce è difficile che mi propongano ruoli di questo genere, ma sarebbe una grande prova per me. Un altro desiderio è quello di lavorare per un film in costume

E un film che hai guardato e che avresti voluto girare tu? 

Di film visti ultimamente ce ne sono stati tre che avrei tanto voluto interpretare. Lo chiamavano Jeeg Robot, La pazza gioia nel ruolo proprio di Micaela Ramazzotti e Fortunata in cui Jasmine Trinca è stata meravigliosa.

Sogni nel cassetto e progetti futuri. 

Il mio sogno nel cassetto, che ormai tanto nel cassetto non sta più, è spuntato leggermente fuori, è quello di continuare a lavorare come attrice, a vivere di arte in tutte le sue forme. Nei prossimi mesi usciranno altri due film in cui ho lavorato con la regia di Paolo Virzì e l’altro di Alessio Maria Federici. Il mio progetto è quello di continuare a studiare, crescere ed imparare, realizzandomi sia come donna che come attrice.

Su Anna Chiara Delle Donne

Redattrice

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