Stefano Cassetti. Foto di Mauro Angelantoni
Stefano Cassetti. Foto di Mauro Angelantoni

Stefano Cassetti: attore per caso e per passione

Attore per caso e per passione, Stefano Cassetti nutre un grande amore per la recitazione, per tutto ciò che concerne il suo mestiere.

Ben presto, potremo vederlo nella nuova serie di Rai 3, “Germinal”, tratta dal romanzo di Emile Zola, ambientato nel 1800. Un lavoro legato, ancora una volta, alla Francia, per un attore che ha saputo farsi apprezzare anche fuori dalla nostra penisola.

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Stefano Cassetti. Come stai?

Sto bene, vi ringrazio per avermelo chiesto.

Presto potremo vederti nella fiction francese, “Germinal”. Che esperienza ha rappresentato per te?

“Germinal” parla di quelle che sono state le lotte sindacali, attuate verso la fine del 1800. Un dipinto dell’epoca caratterizzato da tanti piccoli dettagli, sullo sfondo, legati al nostro contemporaneo. Segue passo passo la prosa di Emile Zola, da cui prende spunto. Gli operai impersonati nella serie, vivono in condizioni estreme mentre l’alta borghesia francese sfrutta tutto ciò circondandosi di tutti i privilegi possibili. Si tratta di un forte spaccato di ciò che è stata la nostra storia. Consiglio a tutti di guardare la serie, è molto educativa, specie per i giovani.

Cosa puoi anticiparci sul personaggio che hai avuto modo di interpretare all’interno della serie?

Il personaggio che impersono, Souvarine, è un grande intellettuale dell’epoca, sfruttato, ma con la possibilità di documentarsi su ciò che sono le rivolte, il sistema capitalista. Nel romanzo, al contempo, si evince che è di origini russe, dettaglio poi scomparso nella trasposizione televisiva. Questa figura vive il tutto da “esterno”, in disparte, osservando ciò che accade, realizzando, alla fine, un gesto clamoroso. Preferisco non anticiparvi altro onde evitare di svelare il tutto.

Compiamo un viaggio a ritroso, a quelli che sono stati i tuoi inizi. Che ricordo ne hai?

Tutto ha avuto inizio per caso, senza avere modo di pormi alcuna domanda. Le cose, alcune volte, capitano, appunto, senza programmarle, e questa deve essere stata la mia fortuna. Ero a Parigi, nel momento giusto, in un ristorante, nel mentre in cui si parlava di un ruolo caratterizzato da un accento italiano. Sono passati ventidue anni. I primi anni, ti dirò, faticavo a capire cosa mi stesse accadendo. Soltanto con il tempo ho potuto apprezzare davvero ciò che vivevo, con tutta la naturalezza possibile.

Quanto sei riuscito a realizzare da allora?

Non ho mai avuto grandi aspettative. Sono una persona analitica, metodica, forse anche per via degli studi scientifici affrontati. Questo lavoro, il modo in cui vi sono entrato, mi ha sempre portato a pensare ad esso come ad un regalo. Credo che le aspettative facciano male alla psiche. Penso sia una fortuna non averne, apprezzando ciò che accade senza aggiungere altri pensieri.

Il tuo primo film da protagonista ti portò ad impersonare il serial killer Roberto Succo, per la regia di Cédric Kahn. Che ricordo ne hai?

Ho vissuto il tutto intensamente, anche se, sarò sincero. non mi sentivo all’altezza della situazione. Un periodo complicato, legato al non avere un metodo, allo scoprire di giorno in giorno cose nuove, senza potermi godere a dovere questo lavoro fantastico. Ad ogni modo, mi ha lasciato l’idea che tutto può essere possibile, senza dover pensare per forza di non potercela fare. Ingenuità condita a pazzia ma con coraggio.

Nell’arco della tua carriera hai spesso prestato volto e voce a dei cattivi. Cosa vuol dire per un attore impersonare tali ruoli così differenti dal proprio modo di essere?

Parliamo di qualcosa di complesso, difficile da spiegare. Chi mi conosce, spesso, mi dice che è complicato vedermi in tali ruoli, conoscendo bene quanto sia pulita la mia anima. Allo stesso tempo, mi piace estremizzare il tutto, constatando quanto bene funziona su di me. Tra l’altro, lavorando spesso all’estero, sembra sia più facile andare a cercare cose così lontane dal mio reale modo di essere.

Ti piacerebbe, almeno in una occasione, poter essere dietro la macchina da presa?

Sicuramente! Ho questa idea da qualche tempo. Difatti, da qualche anno, sto scrivendo una sceneggiatura e, non appena sarà compiuta, mi auguro di riuscire a portarla in scena.

Chi è Stefano Cassetti nel quotidiano?

Sono in continuo movimento. Amo lo sport, mi piace viaggiare e fatico a stare fermo per più di tre settimane nello stesso posto.

Puoi anticiparci altro sul tuo futuro artistico?

Ho in ballo diversi lavori legati alla Francia, in preparazione tra maggio, giugno e luglio. A breve, tra l’altro, uscirà un film per la regia di Andrea Magnani, La lunga corsa”, realizzato a Kiev. Una città bellissima, purtroppo martoriata, attualmente. Non ultimo, uscirà un nuovo film ad opera di Isild Le Besco.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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