Fabio Mazzari
Fabio Mazzari

Fabio Mazzari: la mia vita, il mio amato teatro

Ha da poco esordito in un nuovo spettacolo teatrale, Fabio Mazzari, che tutti ricorderemo per i tanti ruoli a cui ha preso parte e, in particolar modo, per il ruolo di Alfio Gherardi nella soap opera di Canale 5, “Vivere”.

Un uomo tutto d’un pezzo, legatissimo al suo lavoro, al suo amato teatro, e da sempre innamorato della famiglia, dell’amore. Vi lasciamo a questa sua intervista, ai suoi ricordi e progetti futuri.

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Fabio Mazzari. Come stai?

Vi ringrazio per l’ospitalità, amici de La Gazzetta dello Spettacolo! Sto bene, seppure abbia qualche piccolo acciacco dovuto alla mia età. Cose risolvibili, per fortuna.

Una vita vissuta tra il piccolo schermo e le tavole del palcoscenico. Come ha avuto vita questo viaggio nello spettacolo, nella recitazione?

Il mio percorso artistico ha avuto inizio nel 1968, quando entrai a far parte del Teatro Universitario di bologna, mia città natale. Cominciai come aiuto regista di un giovane gruppo che stava formandosi, perché amavo la regia più della recitazione stessa. In seguito, per motivi che ora non ricordo, ci fu necessità di sostituire un attore per un debutto teatrale. Il più adatto a tale ruolo ero io e così mi avviai a questa carriera. Anni dopo, a Milano, giunse anche il doppiaggio, sino ad ora prerogativa di Roma, e diventai voce di molte serie televisive, come “La Signora del West” e tante altre. Ho anche avuto modo di doppiare un giovane Jack Nicholson e non solo. Ebbi modo di prestare la mia voce anche a molti sceneggiati svizzeri, poi comprati anche dalla Rai. Ho sempre amato vivere a Milano dove viveva la mia famiglia, dove avevo modo di seguire mio figlio, di stare accanto a mia moglie. A premiarmi, anni dopo, la possibilità di prendere parte a “Vivere”, realizzando un provino avventuroso che non sto qui a raccontarvi, vestendo i panni di Alfio Gherardi che mi diede visibilità per ben dieci anni. Mia moglie, nel frattempo, aveva aperto uno spazio teatrale in una ex officina che divenne il mio personale spazio. Fu denominato “Zazie” questo nostro “studio” ed ebbe un seguito notevole, con un pubblico affezionato, vista la vicinanza con noi attori, per ragioni fisiche.

Tra i ricordi più belli legati ai tuoi inizi?

Ricordo che quando ero nei lupetti, ai miei tempi “boy scout”, vi fu una sacra rappresentazione, di genere medioevale, in cui mi fu richiesto di interpretare Gesù, per via della mia altezza. Fui anche crocifisso e si trattò di una scena molto delicata, improvvisata alla meglio. Ne conservo un bel ricordo. Così come ho un bellissimo ricordo dell’incontro avvenuto con mia moglie a Torino, anni dopo. Siamo stati legati per ben cinquantacinque anni. Purtroppo, qualche anno fa, mi ha lasciato creando in me un vuoto enorme.

Il tuo primo ruolo da protagonista?

Il mio primo ruolo da protagonista fu nei panni del Cyrano De Bergerac. Un gruppo giovane di attori, tutti molto bravi e uniti, caratterizzati da un forte amore per la recitazione. Ero l’unico ad esser vestito proprio con i panni dell’epoca.

Il doppiaggio è una costante nel tuo vissuto. Cosa puoi dirci a riguardo?

Si, lo è stato per un buon periodo professionale, per poi interrompersi per qualche anno. Ho doppiato, come dicevo poco prima, molte serie, fiction e film che, dopo alcuni anni, perdevano taluni diritti e dovevano essere nuovamente doppiati. In tali casi tendevo a prestare la mia voce, specie quando alcune voci diventavano talmente note da dover essere riprese da voci altrui. Ho doppiato Jack Nicholson, Dennis Hopper e alcuni altri attori stranieri, da giovani. Per alcuni attori il doppiaggio è la massima espressione, a mio avviso non è sempre così. Si è dentro una corsia obbligatoria dove si sviluppa bene la tecnica vocale ma meno quella recitativa, artistica. A mio avviso, quindi, il doppiaggio appartiene ad un momento occasionale di lavoro ma non è stata la mia massima aspirazione. Il teatro, a mio parere, resta il momento più emozionante. Noto, negli ultimi tempi, dei bravissimi, giovani, doppiatori. Dei miei anni ricordo con piacere Giannini ed il fantastico Gigi Proietti.

La stessa passione, negli anni, è stata impiegata nella regia. Cosa ti piacerebbe poter portare in scena, un domani? Quali attori ti piacerebbe poter dirigere?

Mi piacerebbe poter allestire due testi che, negli anni, mi sono rimasti nel cuore e che avrei voluto allestire nel mio spazio, Zazie. Uno di questi testi è di Anton Čechov, Il Giardino dei ciliegi. L’altro testo, invece, è di Edward Albee, mancato da poco, “Chi ha paura di Virginia Woolf?”. Vi è anche un terzo testo che avrei piacere di portare in scena, da me realizzato: due ladri in una cella, di cui uno più anziano da me impersonato, ed uno più giovane. Un rapporto violento tra i due che, nel tempo, tende a diventare amichevole. Si scoprirà soltanto in seguito chi sono i due personaggi “fuori dal tempo”. Testi, ad ogni modo, legati ad una cultura teatrale di qualche anno fa a cui sono molto legato. Dirigerei volentieri buona parte degli attori presenti oggi nella nostra cultura televisiva e non solo. Parliamo di Elio Germano, di Favino, di Santamaria, di Servillo e Bentivoglio. Non me la sentirei di certo di dirigerli, di dargli toni ed intenzioni, vista la bravura che li caratterizza. Forse sarei io a dover apprendere da loro. Mi piacerebbe, piuttosto, dirigere coloro che presero con me parte a Vivere perché vorrebbe dire che siamo passati ad un’altra dimensione, fuori dalla soap, dalla “gabbia” vissuta. Una gabbia bella, certo, ma limitante per noi attori, al contempo. Sto sentendo con piacere la mia ex collega, Elisabetta De Palo per poter mettere in piedi un progetto. Ne sarei davvero felice!

Fabio Mazzari cosa rappresenta per te lo spazio “Zazie”?

Lo spazio Zazie, nome scelto da mia moglie, ha rappresentato il mio gioco personale, precedentemente ex officina di un vecchio fabbro. Un luogo svuotato, ristrutturato, caratterizzato da una colonna al centro che creava non pochi problemi e che, per fortuna, riuscivamo a superare. Vi ho portato spettacoli personali e appartenenti anche ad altri artisti. Un mondo bellissimo, un regalo pazzesco, che mi ha permesso di fare teatro in una stanza, in un luogo intimo ed esclusivo, coinvolgente.

A regalarti maggiore notorietà, negli anni, il ruolo di Alfio Gherardi in Vivere, la soap opera che ebbe vita su Mediaset nel 1999. Che ricordo hai di quel periodo, dei tuoi colleghi di set e del successo che ti ha regalato?

Conservo un bellissimo ricordo di quel personaggio, del periodo vissuto all’interno della soap opera di Canale 5. Alfio mi ha regalato delle grandi soddisfazioni, delle belle collaborazioni. Mi capitava, addirittura, di incontrare persone che volessero vendermi case, ville, sul lago di Como, convinte che io fossi realmente un ricco signore. A ripensarci mi viene ancora da sorridere. Ricordo, inoltre, che durante il periodo legato alla vicenda del rapimento del mio personaggio, alcune persone erano davvero convinte dell’accaduto e, a loro modo, volevano provare a partecipare alla richiesta di riscatto. A raccontarmi un episodio proprio Lorenzo Ciompi, mio figlio nella soap, fermato da una vecchina che voleva contribuire porgendogli dieci euro.

Quanto c’era di te in quel personaggio?

In comune io e Alfio avevamo la stessa generazione di provenienza, i mitici anni ’60. In particolare, personalmente, ho attraversato il famoso ’68 in cui ero all’università e non potevo che essere coinvolto da quel boom che vi fu, da conflitti e lotte. Alfio era il classico uomo che si era fatto da solo, laureato e preparato, differentemente da me che ho interrotto i miei studi in lettere e filosofia per dedicarmi alla carriera di attore. In comune, inoltre, abbiamo la lealtà, la generosità, la voglia di condividere con il prossimo ed un grande attaccamento alla famiglia. Durante la soap opera “Vivere”, finito di girare, differentemente da molti altri, tornavo da mia moglie e da mio figlio, ed era la cosa che desideravo di più, nella nostra amata Milano.

Fabio Mazzari posso chiederti un personale ricordo di Paolo Calissano, tuo collega in “Vivere”?

Ricordo che, nonostante il suo atteggiarsi a divo della situazione, era una persona molto carina. Ricordo che i miei racconti legati al teatro lo facevano ridere di gusto. Le scene girate in esterna erano un modo per poter raggiungere insieme, con la sua auto, i luoghi del set. Un modo per poter scambiare quattro chiacchiere in più, per stare bene insieme. Una persona salutista che non amava fumare, bere. Mi ha difatti stupito ciò che poi accadde. Mi feci vivo poco con lui quando ebbe i primi problemi giudiziari. Ci sentimmo sui social e, ad oggi, trovo giusto ciò che disse la sua fidanzata: è stato lasciato solo! A mio modo faccio mea culpa anch’io per non avergli trasmesso maggiore appoggio, supporto. Vivevo anch’io un periodo difficile. Ad ogni modo, ho un buon ricordo di lui, seppure fosse “divo”, in minima parte, sul nostro storico set.

Fabio Mazzari e Alessandro Preziosi in Vivere
Fabio Mazzari e Alessandro Preziosi in Vivere

Il nostro vissuto, recentemente, ha subito una inaspettata pandemia. Cosa ti ha lasciato addosso quella esperienza?

Ho avvertito poco la prima parte della pandemia per via del fatto che ho accudito mia moglie, durante i suoi ultimi “istanti” legati, purtroppo, ad una particolare malattia del sangue. Cercavo di farla sorridere, di farla mangiare, di sostentarla come possibile, vegliando su di lei. Successivamente, il lockdown, mi ha poi impedito di vederla, di starle accanto come avrei voluto. Mi è stato poi concesso di vederla “a tappe”, durante i suoi ultimi giorni. Avevo un dolore ed una preoccupazione, dunque, più grande e forte del Covid19.

Chi è Fabio Mazzari nella vita di tutti i giorni?

Fabio Mazzari è un uomo di quasi settantotto anni, e non sono pochi, capace di poter reggere ancora due ore di spettacolo in scena da solo. Mio figlio, ad oggi, è a Palermo, le mie nipoti in Grecia, mia sorella a Bologna che mi è molto vicina, ma non ho altre persone accanto a me. Sono un uomo che, ogni giorno, rivede le battaglie combattute, di cui molte perse ed altre vinte, caratterizzato ancora da un grande entusiasmo che mi spinge ad andare avanti. Noi attori tendiamo a sentirci sempre giovani, grazie ai nostri personaggi che ci permettono di rinascere ogni giorno. Uno scambio, una doppia genesi da cui prendere sempre nuove energie, sempre vita. Sono, inoltre, una persona diretta che cerca affetto, perché ha perso l’affetto più grande che aveva.

C’è qualcosa che avresti voluto fare e che, per chissà quali motivi, non hai potuto portare a termine?

Avrei voluto diventare un calciatore. Da ragazzo promettevo molto bene, tanto da affrontare un provino nei pulcini del Bologna. Fui preso e restai con loro per ben due anni, con la prospettiva di entrare nella primavera. I miei genitori, però, volevano studiassi e quindi dovetti lasciare. Ho poi, in seguito, giocato con la Nazionale Attori partite memorabili in cui ce le davamo di santa ragione (ride). La mia carriera, però, finisce lì. Rimpiango, inoltre, di non aver viaggiato per via della mia pigrizia.

Fabio Mazzari con sua moglie
Fabio Mazzari con sua moglie

Un ruolo che non hai ancora avuto modo di impersonare?

Si, un ruolo c’è: quello di un commissario di polizia! Invidiamo molto, difatti, il mio amico Siravo che in “Vivere” interpretava proprio tale ruolo. Avrei dovuto prendere parte ad un film in cui avrei dovuto interpretare un commissario in pensione, caratterizzato da bellissimi interessi, ma ciò non è più accaduto. Inoltre avrei dovuto impersonare un ex ufficiale dell’esercito sabaudo richiamato dai servizi segreti.

Da padre, Fabio Mazzari, quali valori ha trasmesso a suo figlio?

Ho cercato di trasmettergli gli stessi valori di cui mi nutrivo io da giovane e, tramite questa intervista, spero e penso di essermi raccontato ancora di più. Io e mia moglie abbiamo provato a trasmettergli l’idea che gli adulti non sono una minaccia da temere ma degli amici. Ho cercato di essere il più presente possibile come figura paterna, nonostante il mio viaggiare per lavoro, il mio essere vagabondo. Mio figlio è cresciuto con me, nascosto dietro le tende del teatro o insieme a me sul palco, con Dario Fo.

Puoi anticiparci qualcosa sul futuro artistico di Fabio Mazzari?

Il mio futuro artistico, al momento, prevede il portare in giro lo spettacolo su Franz Kafka. Tre monologhi da portare in giro per l’Italia tra Salerno, Roma, Bologna e non solo. Conto, inoltre, di portare sullo schermo il ruolo di uno psicoanalista. Un’idea che mi piace molto e a cui sta lavorando Luca Guardabascio. Vi sono poi altri progetti importanti, anche cinematografici, ed altri ancora con Guardabascio di cui spero di potervi parlare in futuro.

Ti andrebbe di lasciare un saluto ai nostri lettori del nostro quotidiano?

Lascio un saluto a tutti i lettori de La Gazzetta dello Spettacolo e spero, con le mie risposte, di avervi raccontato qualche aspetto in più del vissuto di un attore, del personale e del professionale. Mi auguro, inoltre, che possiate tutti riprendere ad andare a teatro guardando con un occhio diverso anche il mondo della televisione ed il mestiere dell’attore.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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