Giacomo Casaula in Gaber Forever
Giacomo Casaula in Gaber Forever

Giacomo Casaula ci racconta il suo Gaber

Così giovane, già così con una grande storia dietro sé. Non è facile oggi trovare un giovane e sì, perché Giacomo Casaula, poliedrico cantautore ma anche attore, cantastorie, scrittore, autore, direttore artistico, che a soli 25 anni, con già due lauree nel cassetto, possa vantare già una carriera professionale così intensa.

Una carriera che passa dal teatro alla musica, alla scrittura con grande disinvoltura. È pur vero che nel DNA di Giacomo Casaula c’è buon vino, essendo nipote dell’attrice napoletana Annamaria Ackermann, ma tuttavia il ragazzo di suo ha già fatto un bel percorso, ed è solo all’inizio. Lo incontriamo alla vigilia dello spettacolo “L’estate è già altrove”, testo e regia di Francesco Puccio, che il prossimo 7 maggio andrà in scena a Villa Di Donato e in cui Giacomo interpreta una serie di brani con l’accompagnamento musicale al piano di Ernesto Tortorella.

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo a Giacomo Casaula. A leggere il tuo curriculum sembra di imbattersi in un artista avanti con gli anni, poi guardi la carta d’identità, e scopri la verità. Vogliamo parlare di un ragazzo precoce.

Dicono tutti così, diciamo che ho già fatto per ora tante cose. L’ispirazione probabilmente deriva da una base genetica innegabile, che poi mi è stata trasmessa. Quando ero piccolo andavo spesso nei camerini della nonna, ho potuto respirare un mondo meraviglioso, teatro, trucco, scene. Ma un passaggio fondamentale è quando a 14 anni ho preso parte al laboratorio sperimentale teatrale del mio Liceo, e lì è scoccata la scintilla. A quel punto mi sono aggrappato a questo mondo artistico, e anno dopo anno ne ho assaporato le trasformazioni.

Dunque subito nel mondo dei grandi perdendo la leggerezza della fanciullezza?

Non proprio così, è vero che da bambino ero timido, tuttavia ero molto socievole con tanti amici con cui condividevo varie cose. Tra queste lo sport, diciamo calcio e pallacanestro. Altri sport come motori o quelli individuali tipo tennis non mi hanno mai fatto impazzire. Tuttavia fui costretto a prendere una decisione. Frequentavo il laboratorio e partecipavo a un torneo di calcetto, era troppo faticoso fare entrambe le cose, alla fine scelsi il teatro.

Giacomo Casaula adolescente trova la sua strada, e quando le prime emozioni del palcoscenico?

Avevo 16/17 anni si svolgeva il saggio finale del corso, interpretavo Arpagone nell’Avaro di Moliere, forse andai bene, ero stato bravo, ebbi un applauso bellissimo. Era un teatro da circa 700 posti, era quasi pieno, ci fu un rimbombo che ricordo ancora oggi. Alla fine un’emozione così forte che capii poteva e doveva diventare la mia professione. Poi nel corso degli anni acquisisci sicurezza, maturità e soprattutto ti appropri della velocità dei dialoghi.

Quanto ha pesato essere figlio d’arte?

Nonna non mi ha fatto mai scuola, certo la osservavo, ascoltavo il suo modo di dialogare, osservavo la sua postura. Lei è sempre stata severa con me, ma con la giusta obiettività sul piano professionale. È chiaro che ogni tanto le chiedevo qualche parere, su quella scuola, su quel teatro, su quella rappresentazione. Poi il nostro rapporto si è ulteriormente sviluppato strada facendo.

Spazi in diversi campi artistici, ce ne sarà uno che ti piace di più…

Sono tutti vasi comunicanti, nessuno prevarica l’altro, mi piace giocare con le parole, con testi delle canzoni, in teatro. Comunque il palcoscenico, inteso come teatro è il primo amore che mi ha aperto una prospettiva. Tuttavia anche la musica ha un posto importante.

Appunto la musica, in particolare hai costruito degli spettacoli su personaggi come Gaber, Rino Gaetano, De André, c’è un filo comune che li unisce. E soprattutto di questi chi è il tuo preferito e perché?

C’è un filo comune in tutti gli spettacoli. Hanno tutti e tre il grande merito di dire tante cose, e di trattare tanti temi. La mia preferenza a livello affettivo va a Rino Gaetano, è stata la prima scoperta, il primo amore. A pelle la sua musica dà i brividi, poi passano gli anni e trovi riferimenti attualissimi, è pazzesco. Giorgio Gaber, invece, l’ho scoperto tardi, ma mi ha fatto capire che cos’è questo teatro canzone, abbinare la musica ai testi live. Quando l’ho scoperto all’epoca per me è stata un’illuminazione, peccato non averlo visto dal vivo. Di Fabrizio De André ricordo i suoi testi immensi, poetici, e mi colpì voce la voce bassa, e semiroca da fumatore troppo forte. Nello spettacolo Nichilismi e fashion week leggo i monologhi di Gaber, mentre quelli di Gaetano e De André sono scritti da me.

Hai anche la capacità di rendere contemporanei brani e scritti antichi, greci e latini, anche questa una passione dai tempi della scuola.

Questo grazie a spettacoli scritti da Francesco Puccio, grande regista teatrale. Siamo nella Magna Grecia e come ci voltiamo e ci giriamo siamo circondati da elementi greco-latini. È stata una scommessa creare un progetto teatrale su un testo antico e renderlo contemporaneo. In questo spettacolo io faccio l’attore performante, e interagisco di volta in volta con altri attori. Ci sono anche monologhi scritti da lui, il mito classico è sempre presente, è un progetto a 360 gradi con anche delle basi musicali appropriate.

E poi sei anche scrittore, già due romanzi prodotti, quali i temi hai trattato e da dove hai tratto ispirazione.

Il primo romanzo “Scie ad andamento lento” è cresciuto insieme a me. L’ho scritto nell’arco di sette anni e l’ho finito a 25. È l’elogio della lentezza che mi ha sempre affascinato. Uno scritto fuori dal tempo, fuori da tutto, che se non fosse che per qualche riferimento a qualche oggetto attuale si potrebbe datare in qualsiasi tempo. È un qualcosa che affronta un tema fuori moda, e nonostante sia autobiografico con riferimenti a luoghi e cose a me care, va controcorrente rispetto alla mia professione, è difficile essere molto pacato nel mondo dello spettacolo. Il secondo “Siamo tutti figli unici” è nato durante il Covid, sono stato molto più veloce, giusto un anno. Il tema principale è la solitudine che attraversa le generazioni, ogni membro della famiglia protagonista la vive a modo suo. Un conto è viverla a un’età, un altro a un’altra. All’interno convivono varie forme di scrittura, dal romanzo stesso, alla lettera al diario. È un lavoro più completo. Avverto una maggiore maturità da scrittore.

Quale sarà la tua prossima creatura e che tema tratterà?

Due progetti e il mio spettacolo. Innanzitutto stiamo finendo insieme a Davide Trezza due brani musicali nuovi, registrati a breve, che faranno da apripista allo spettacolo Nichilismo e fashion week, il 26 maggio sarò allo Spark a piazza Borsa, e poi tante presentazioni del secondo libro. Siamo stati troppo fermi, finalmente si riparte.

Che cosa vuole fare Giacomo Casaula da grande e se c’è un sogno nel cassetto?

Il sogno c’è ed è lo scudetto del Napoli. Tornando al lavoro, continuare quello che sto facendo aprendomi a platee sempre più grandi. Magari altre esperienze in arti e pubblico diverso. Poi scrivere un altro romanzo.

Insomma un po’ vanitoso?

Vanità nella giusta misura, ho altri difetti, forse sono troppo testardo, devo sbattere contro prima di convincermi. E certe volte il bicchiere lo vedo a metà, né mezzo pieno, né mezzo vuoto.

Intervista a cura di Max Bonardi

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