ELP Tribute Project: la musica immortale di Emerson Lake Palmer è ancora on stage

Mauro Lake BB King dei ELP Tribute Project

ELP Tribute Project ripropone con successo la musica dei tre musicisti britannici che hanno fatto la storia del progressive rock mondiale.

Mauro Lake BB King dei ELP Tribute Project
Mauro Lake BB King dei ELP Tribute Project

Dal 2006, anno in cui Emerson, Lake & Palmer Tribute Project è stato fondato, non ha mai smesso di raccogliere consensi. Mauro Aimetti, bassista e cantante, Larry Ceroni, pianista e Oscar Abelli, batterista, infatti, in questi anni hanno riscosso un lusinghiero successo ed entusiasmato il pubblico esibendosi non soltanto in Italia ma anche all’estero, complici una lunga serie di date in Europa e tanti concerti negli Stati Uniti. Di sicuro il repertorio proposto da Emerson, Lake & Palmer Tribute Project non è dei più semplici da eseguire, ma la cover band dei mitici EL&P (ovvero i compianti Keith Emerson e Greg Lake con Carl Palmer), ci riesce a meraviglia riuscendo a risvegliare emozioni del passato che appartengono anche al presente. Tante le soddisfazioni riscosse in questi anni da Mauro Aimetti e dal suo ELP Tribute Project, primo gruppo rock ad essere invitato a suonare dalla prestigiosa orchestra Sinfonica di Amburgo. Molto seguito anche sui principali canali web, il trio si è esibito nel 2011 durante il Prog Rock Exhibition al Cinema Politeama di Varese davanti a 600 fans presentando lo Show That Never Ends, parte focale della brillante e per certi versi insuperabile carriera dei talentuosi Keith, Greg e Carl. Abbiamo intervistato Mauro Aimetti per saperne di più su ELP Tribute Project, un progetto musicale prog rock che sembra andare al di là dei soliti confini delle cover band godendo di una sua precisa identità musicale ma anche delle difficoltà dell’industria musicale in questo periodo di crisi da Coronavirus…

Mauro (degli ELP Tribute Project), tu sei un musicista e come tutti i tuoi colleghi sei stato costretto ad affrontare il fatto che per via del CoronaVirus non ci si potrà esibire per un bel po’ di tempo. Tu come affronti questa realtà?

La situazione che stiamo vivendo tutti è incredibile. Non mi riferisco unicamente alla nostra categoria e più in generale a quella degli artisti a 360 gradi, ma, chiaramente, a tutta la popolazione a livello mondiale. Ho sempre detto fin dall’inizio e ancor prima del lockdown, che svegliandomi al mattino, mi sembrava di stare dentro a un film di Orwell. E’ un’atmosfera surreale e atipica, ma purtroppo vera e reale. Dopo le prime due settimane di ambientazione, ho cercato di focalizzare e analizzare tutti gli aspetti di questo nemico invisibile, ma micidiale per la nostra salute. Per come sono fatto io, per le esperienze personali di vita vissuta, sono sempre stato abituato a cercare e a vedere il lato positivo anche nella situazione peggiore e avversa. Quindi ho iniziato a pensare che questo Covid 19 se da una parte ci stava togliendo la nostra libertà, dall’altra il silenzio che ci circonda, la natura che si sta riappropriando del suo spazio, l’aria più tersa senza scarichi dei gas delle auto, tutto ciò poteva essere un aiuto per ritrovare se stessi. E, per noi musicisti, se ci pensi le pause musicali sul pentagramma sono i silenzi. Ma una pausa musicale significa dare tensione al brano che si sta eseguendo, le pause sono il respiro dei musicisti. E guarda caso c’è un’analogia che ci riporta al Corona Virus che attacca i polmoni. Ma oltre alle pause musicali, è importante “respirare” quando si suona sul palco, altrimenti non si è rilassati, vedi potrei andare avanti con altri esempi musicali, ma il concetto spero di averlo fatto passare. Come vivo questo momento? Lo vivo come una grande opportunità per riflettere su questa vita che è un lampo, per leggere, ascoltare musica, per scrivere un libro e per studiare sui mei strumenti, il Basso elettrico e la chitarra, e anche esercitarmi e cercare di perfezionare il Canto. “Cantare la Voce” il 22 Aprile u.s. era il compleanno di Demetrio Stratos, ecco, in questo momento, ci sarebbe del tempo per sperimentare come faceva lui con lo strumento di cui siamo dotati tutti e che è l’unico strumento musicale gratuito e che non si deve comprare: le corde vocali.

Clive Nolan tastierista dei Pendragon e degli Arena ha scritto un libro che si intitola This is not the Zombie Apocalypse, una sorta di diario di bordo che racconta la storia sfortunata del tour dei Pendragon che è stato interrotto per via del Coronavirus. Ci sono dei progetti che a causa dell’epidemia anche la tua band potrebbe dover accantonare?

Ho sentito dei Pendragon che sono stati costretti a interrompere e a cancellare il loro Tour appena partito. Come si dice in inglese: “Bad luck!” Spero che Clive e la sua band riescano a recuperare il gap di questa perdita di lavoro, ma siamo in tanti nella stessa situazione, perché al momento nessuno sa nulla di quale sarà il nostro futuro musicale. Ci sono due linee di pensiero. Una è quella che si dovrebbe tornare alla musica dal vivo e ricominciare malamente a Gennaio 2021 con la riapertura dei Teatri, Cinema, Club,s insomma dei venue dedicati ai concerti.

L’altra voce che circola attraverso alcuni musicisti, ma avvalorata dall’OMS, sarebbe che la previsione più rosea di ripresa dei Live concerts avverrà ad Ottobre 2021. In entrambi i casi sarebbe un danno economico incredibile, ormai il 2020 è da considerarsi un anno perso, ma, se si dovesse veramente ricominciare in Autunno 2021, sarebbero quasi due anni di ferma e quindi non so in quanti resisteremmo in una condizione simile. Per quanto riguarda la mia band, stavamo iniziando delle prove e lavorando su nuovi brani, ovviamente abbiamo dovuto interrompere, ma possiamo continuare a studiare il repertorio stando ognuno a casa propria. Di progetti ce ne sono almeno due o tre che bollono in pentola, io spero che riusciremo a realizzarli, sulle tempistiche però ora non ci è dato di sapere. Un promoter straniero mi aveva chiesto l’esclusiva per Olanda, Belgio, Germania e stava confezionando un Tour per il prossimo Autunno 2020 e questo potrebbe essere chiaramente un progetto a rischio per la pandemia. Only God knows! Staremo a vedere.

Clive Nolan con il suo collega Nick Barrett proponevano di risolvere il problema delle esibizioni dal vivo in tempo di virus facendo due shows ogni sera in modo da evitare l’affollamento del pubblico. Secondo te potrebbe funzionare? E tu eventualmente hai una proposta in questo senso?

L’idea potrebbe essere valida, poiché il “doppio turno” lo stanno prevedendo anche per la ripresa delle lezioni nelle scuole. E’ chiaro che stando all’ultima normativa si dovrebbero avere due metri di distanza tra le persone sedute, e anche tra i musicisti sul palco. Ora se parliamo di clubs grossi, teatri, probabilmente la cosa potrebbe essere gestita bene e funzionare. Ma in altri clubs di piccole e medie dimensioni sarebbe improponibile. L’unica cosa positiva, a dispetto della situazione assurda in cui ci troviamo, che quest’idea mi rimanda storicamente agli anni 70 dove il doppio concerto (pomeridiano e serale) nel caso poi del rock progressive era una formula usata molto spesso. Detto questo, bisognerebbe analizzare i costi di un doppio live set, ovvero tutte le persone che lavorano per uno show: dai fonici, ai datori luci, i tecnici, i roadies, gli uomini della security e via dicendo.

Vedo poi che iniziano a girare in rete idee strane come il “Live Drive in” dove si ipotizzano concerti e spettacoli esattamente con la stessa formula del Cinema all’aperto con il pubblico sulle macchine distanziate tra loro. Ma, secondo me, a livello di sicurezza ci sarebbero dei problemi mica da ridere, oltre ai problemi di riuscire a vedere lo show da qualsiasi automobile e posizione all’interno dello spazio riservato a questo ipotetico Drive in. Non ultimo, per me il live è fatto di feeling e percezione, se non vedi il pubblico in faccia come trasmetti? E il pubblico come partecipa chiuso dentro delle macchine di lamiera? Personalmente non credo riuscirei a suonare per un audience composto da parabrezza e parafanghi.

Siamo tutti in isolamento quindi anche per gli ELP Tribute Project sarà difficile esercitarsi “ a distanza”. Come avete ovviato a questo problema?

Noi Emerson, Lake & Palmer Project, abitando in tre città diverse, è un problema a cui ci siamo abituati da sempre. Le prove si fanno a ridosso della partenza del tour. Ti posso anche dire che quando sono partito con questo mio progetto a Maggio 2006, non abbiamo fatto alcuna prova! Ci siamo accordati sul repertorio al telefono con indicazioni precise tipo: “The Barbarian facciamo la versione come dal primo disco in Studio degli ELP, Knife Edge prepariamo la versione del Live in Belgio del 71, e così via…” E ci siamo visti direttamente a teatro a Lugano a suonare sul palco. E funziona, te l’assicuro! Chiaramente se hai dei musicisti preparati e hard core fans di ELP come li ho sempre trovati io. A tal proposito, cito una frase del mio brother in music e batterista Oscar Abelli: “Non siamo mica normali a suonare la musica di Emerson, Lake & Palmer!”

Solo una volta mi è capitato di fare una prova per studiare dei passaggi all’unisono con il tastierista su Skype, ma poi hai il problema del ritardo sul suono dovuto alla connessione di Internet. Il metodo è sempre quello, che ognuno si studia la sua parte a casa, poi si assembla anche durante il soundcheck prima di un concerto. Già sperimentato anche questo e ha funzionato. Mi ricordo che “Jerusalem”, mai eseguita dal vivo, la provammo al soundcheck a Varsavia durante il Poland Tour.

Cosa contate di fare come band quando questa brutta storia sarà solo un ricordo?

Ti rispondo con il titolo di una canzone della PFM: Suonare, suonare! Chiaramentela ripresa sarà dura e lo sarà per tutti. Noi abbiamo una voglia pazzesca di tornare on the road e di sventolare come al solito in alto la bandiera del prog e del rock sinfonico degli ELP.

Mi auguro che possa avvenire un grande cambiamento da parte di tutti. Che ci sia rispetto per noi musicisti, per l’arte, per la cultura, quella vera. Sicuramente noi facciamo un lavoro che può cambiare la vita delle persone, facendogli vedere la vita in un modo diverso, nutrendo il nostro pubblico di bellezza, facendogli respirare per due ore l’odore delle tavole del palcoscenico. Io, ogni sera che suono in concerto, assisto ad un miracolo che si ripete, che io chiamo “processo osmotico”. Tu trasmetti energia dal palco e il pubblico te la rimanda indietro, questa osmosi che si crea tra palco e platea è il principale nutrimento che alimenta noi e loro. Noi musicisti passiamo tutta la vita aspettando che suoni il telefono e che dall’altra parte del filo ci sia qualcuno che ti cerca per proporti una serata. Se non arriva quella chiamata è finita, perché allora ci sentiamo dimenticati, abbandonati al nostro destino? In Italia essere un musicista non è mai stato considerato un mestiere. In altri paesi come la Francia, il musicista, l’artista fa parte del patrimonio culturale ed è una figura importante da salvaguardare.

Avete mai pensato di incidere un disco composto da materiale vostro completamente inedito?

Guarda, ne abbiamo parlato in diverse occasioni, e non è detto che prima o poi non possa accadere. Sicuramente c’è il progetto di registrare un nuovo album e sto lavorando a un’idea che spero possa vedere la luce nel futuro prossimo. Il nostro disco precedente “The Inacoustic Studio Session” masterizzato a Londra ed edito dalla Sony Austria è piaciuto molto e siamo rimasti con le ultime copie fisiche nel box. Le 500 copie iniziali sono state vendute tutte.

Quanto ti è di conforto la musica in questo periodo di quarantena?

La Musica è la mia ragione di vita, la mia medicina, la panacea di tutti i mali dell’uomo. Un mio amico e collega diceva questa frase: La musica è sangue, sudore e polvere da sparo, ovviamente ho fatto mio questo motto. Tu sai che io esattamente un anno fa ho perso mia moglie a soli 49 anni di cancro. La musica è sempre stata la nostra colonna sonora per 33 lunghi e meravigliosi anni vissuti insieme, i miei figli Jaco e Lele suonano anche loro, avere la musica sempre in casa è stato un forte collante e conforto per Barbara e per tutti noi. Se non ci fosse stata la musica credo che sarei morto anch’io. Per me la Musica è la passione, il sacro fuoco che arde, e noi ne siamo i custodi – “keepers of the flame”. Mia moglie negli ultimi giorni di vita mi ha chiesto espressamente di prometterle che qualsiasi cosa fosse accaduta, io sarei andato avanti a fare quello che ho sempre fatto, il musicista. Quindi se già lo era prima, ora più che mai, portare avanti la mia musica è diventata una missione imprescindibile. Come cantava il mio mentore e amico Greg Lake: “There’s no end to my life, no beginning to my death, death is life!”

Su Susanna Marinelli

Giornalista pubblicista, ha scritto tra le altre per le riviste Cioè, Debby, Ragazza Moderna, Vip, Eva 3000, Grand Hotel, Gossip, Tutto, Nuovissimo...Ha partecipato come ospite a varie trasmissioni tv tra cui La Vita in Diretta e in radio per Radio2Rai.

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