Scoprire la mia identità, ed esplorarla attraverso la pratica teatrale. Questo è uno degli obiettivi primari del corso di alta formazione teatrale “In Altri Tempi e Luoghi” promosso dall’Associazione giovanile Trerrote all’interno del Progetto “Napoli Città Giovane: i giovani costruiscono il futuro della Città”. Evadere da questo tempo,da questo luogo e costruire sé stessi,attraverso il teatro,in quello che il sociologo francese Marc Augè ha definito “non-luogo”,uno spazio cioè che non è identitario,né relazionale,né storico,ma quasi a-temporale. Il corso,iniziato ad Ottobre e che si concluderà a fine Giugno,vede ad oggi la partecipazione di 20 allievi: dodici di essi provengono da un percorso attoriale,mentre otto partecipanti provengono da studi psicologici e sociali. Questo perché “In Altri Tempi e Luoghi” mira alla formazione della figura di attore-educatore attraverso una metodologia che si discosta da quella del teatro tradizionale per avvicinarsi ai metodi di insegnamento e di avviamento alla pratica attoriale propri del Terzo Teatro, i cui padri indiscussi sono Jerzy Grotowski ed Eugenio Barba. Per capire meglio gli obiettivi e le fasi del corso abbiamo intervistato il docente fisso Nicola Laieta,già docente/educatore di “Maestri di Strada” e regista del Progetto del Teatro Stabile di Napoli “Arrevuoto”.
Le chiedo innanzitutto perché dare al corso il nome di “In Altri Tempi e Luoghi”?
Perché il teatro è il luogo della costruzione di un altro mondo possibile. Molto spesso il motivo per cui una persona fa teatro è perché non gli piace il posto, la famiglia, il luogo e magari anche il corpo in cui è nato. L’arte è un sottrarsi alla vita.
Il corso prepara alla figura di attore-educatore: ci spiega meglio cosa intende per “attore-educatore” e come è riuscito ad unire due realtà (quella di chi proviene da un percorso attoriale e chi da un percorso psicologico/educativo)apparentemente distanti?
Gli esercizi dell’attore che proponiamo sono legati al dare forma a qualcosa che è profondo,integro non sono legati alla simulazione: questa è la grande differenza. Non è un corso propedeutico all’istrione, c’è un lavoro sul sé di ogni persona. Un’altra cosa operativa e importante è che abbiamo creato delle coppie: metà degli allievi viene da un percorso educativo-psicologico,metà da un percorso attoriale. L’idea era quindi di simulare per gli educatori il rapporto ragazzo/educatore laddove il compito principale dell’educatore è quello di far crescere la persona, aiutarla a superare il dolore che deriva dall’apprendere. L’apprendere infatti mette a nudo i propri limiti. Il gruppo viene coeso anche da una serie di multivisioni psicologiche, ovvero il luogo dove queste tensioni vengono elaborate e il gruppo inizia a capire quali sono le correnti emozionali che lo influenzano: è nato come un gruppo indifferenziato, e l’analisi che noi facciamo sui nostri comportamenti ci aiuterà a diventare un gruppo produttivo e trasformativo che è legato al compito per cui si è creato.
Lei nelle sue lezioni insiste molto sull’importanza del corpo nell’arte attoriale e ogni sua lezione inizia con una fase di training. Quanto è importante questa fase?
Il discorso col corpo è molto complesso, dipende dalla consapevolezza con cui viene affrontato. C’è un atteggiamento corporeo che deriva da una precisa psicologia quotidiana: l’attore se vuole essere capace di impersonare un altro essere, deve neutralizzare i suoi atteggiamenti ed esserne cosciente. Ad esempio io arrivo qui come persona,mi neutralizzo attraverso il training e posso così accordare lo strumento per provare varie possibilità. Il training è quindi sicuramente un accordo dello strumento corpo-voce ed è molto importante nella fase di formazione dell’attore,ma non è una religione,non è necessario per tutti gli attori.
Il corso è arricchito da diversi seminari con professionisti del settore (ricordiamo,tra gli altri, Marina Rippa,Marco Zezza,Salvatore Cantalupo),il vero valore aggiunto del corso. In che modo possono essere formativi per gli allievi gli incontri con questi Maestri?
Così come accade nell’apprendimento a scuola, questo funziona quando è legato all’esperienza della persona. Lentamente con i primi maestri gli allievi hanno messo a fuoco un pezzo personale: lavorando su qualcosa che è proprio possono incominciare a capire come le diverse nozioni che imparano da me possono trovare un applicazione pratica e ci aiuta a non creare confusione. Su un proprio pezzo quindi gli occhi di tanti maestri che ti aiutano a tirare fuori il senso.
La genesi dello spettacolo finale si rifà in pieno a quella propria del Terzo Teatro: non si lavorerà quindi su un testo già scritto e determinato, ma si costruirà man mano attraverso diverse fasi la messinscena finale. Può dirci in cosa consisterà lo spettacolo finale di “In Altri Tempi e Luoghi”?
La genesi dello spettacolo si articola in due fasi: la prima è legata ad un racconto personale che diventa man mano teatro. Il palcoscenico potrebbe essere la strada (parliamo quindi di teatro invisibile) o il palcoscenico vero e proprio. Dato che ho scelto anche registi più vicini al teatro tradizionale, nell’ultima fase gli allievi approcceranno ad un testo e quindi si avvicineranno al teatro di finzione. E’ probabile che questo testo avrà delle interferenze che vengono dalle creature nate dai loro pezzi personali e il testo che metteranno in scena. Il fine del corso è quello ascoltare la voce dei giovani della città,fargli capire che la città è loro e restituire in qualche modo questa voce alla città. Per questo vorrei trovare un palcoscenico che sia la città di Napoli. Il testo parlerà sicuramente della tematica dei ragazzi ancora bambini,colpa di una società che non li fa crescere.