Mariagrazia Villa con il suo libro Ethics Gym-Alleniamo l’etica della comunicazione
Mariagrazia Villa con il suo libro Ethics Gym-Alleniamo l’etica della comunicazione

Ethics Gym-Alleniamo l’etica della comunicazione, di Mariagrazia Villa

Incontriamo la giornalista e autrice, Mariagrazia Villa presiede il Comitato etico del Constructive Network, la rete italiana dei comunicatori e professionisti dell’informazione che crede nel giornalismo costruttivo.

Scrive articoli sulle questioni morali inerenti al mondo della comunicazione e dell’informazione per il suo blog Amletica e di recente è tornata in libreria con “Ethics Gym – Alleniamo l’etica della comunicazione” pubblicato con FrancoAngeli per la collana Professioni digitali. Ne parliamo con lei nella nostra rubrica Libri e Scrittori.

Benvenuta, Mariagrazia Villa, su La Gazzetta dello Spettacolo. Tutti comunichiamo, addetti ai lavori e non, ma allora perché la “comunicazione è fuori forma”?

Credo che la comunicazione contemporanea sia fuori forma per una serie di motivi. Nel mio libro mi concentro soprattutto su cinque cause. Anzitutto, l’attitudine distruttiva che manifestiamo nelle nostre relazioni, soprattutto in rete: oggi, la modalità di comunicazione prevalente è quella dell’aggressione a chiunque, dovunque e comunque e, nel caso in cui si subisca un attacco, del conflitto aperto e dichiarato. Poi, l’ipertrofia informativa e comunicativa che impatta sulla qualità della nostra vita: genera uno stato di inquinamento, alterazione e contaminazione dell’equilibrio naturale della comunicazione e implica che sappiamo sempre di più e conosciamo sempre di meno. Poi, la post-verità, una delle patologie più serie per il benessere del nostro agire comunicativo per via dei suoi effetti di pubblico interesse. Quindi, la perdita di consistenza del reale, favorita dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che fa sì che la realtà si stia sgretolando davanti ai nostri occhi, dentro i nostri visori e grazie ai nostri dispositivi indossabili. Infine, la fragilità dell’agente umano nei nuovi ambienti comunicativi dell’internet of things, in cui si trova a interagire con robot e intelligenze artificiali e a capire quale sia il suo posto e il suo valore.

Viviamo nell’era del digitale, che apre scenari di straordinarie opportunità, eppure evidenziamo una situazione di crisi generale sotto numerosi profili. Credi che l’ipertrofia comunicativa e informativa sia deleteria al pari di periodi in cui l’informazione era appannaggio di pochi?

Personalmente, credo che il sovraccarico informativo e comunicativo cui siamo esposti corrisponda proprio a una situazione in cui l’informazione e la comunicazione appartengono a pochi. È come se la maggior parte dell’umanità si muovesse in smisurate discariche di rifiuti informativi e comunicativi, in cui non è in grado di rintracciare un senso utile per la propria vita, mentre pochi individui, che hanno il privilegio di studiare e di prendersi il tempo di una riflessione, sono in grado di comprendere e di scegliere per la propria esistenza con cognizione di causa e consapevolezza delle conseguenze. Per questo è così importante che, nelle società democratiche, le persone imparino a difendersi da questo flusso continuo di informazioni e comunicazioni, per esempio riscoprendo la pratica del silenzio e la meditazione.

Quando nel tuo libro viene citato il concetto di post-verità, che cosa si intende?

Nel mio libro parto dalla definizione che ne è stata data dall’Oxford Dictionary, che l’ha eletta “parola dell’anno” nel 2016, e dal Vocabolario Treccani: la post-verità è un’argomentazione caratterizzata da un forte appello alla emotività che, basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati, tende a essere accettata come vera, influenzando l’opinione pubblica. Da qui, ho svolto una serie di considerazioni per mettere in luce come la post-verità incarni l’essenza della nostra epoca: la privatizzazione della verità, caratterizzata dall’atomizzazione sociale in cui le istituzioni del sapere hanno perso credibilità, “uno vale uno” e tutti pensano di avere ragione, fa sì che nulla sia vero, ma tutto post-vero.

Mariagrazia Villa, arriviamo alle possibili soluzioni: quali sono, quindi, i 5 muscoli da allenare e come possiamo farlo?

Di tutti gli innumerevoli muscoli della coscienza che possiamo allenare, quelli più importanti, a mio avviso, sono: il riconoscimento, il rispetto, la relazione, la reciprocità e la responsabilità. Nel mio libro, l’ho definito “l’apparato muscolare delle 5 R”. Per comunicare in modo moralmente qualificato, occorre riconoscere se stessi e soprattutto l’altro come persona e, dunque, impegnarci a non rinunciare a noi ma, nel contempo, evitare di ridurre il mondo alle nostre visioni, persuasioni, credenze. Il riconoscimento porta al rispetto di sé e dell’interlocutore, ossia all’avere riguardo per noi e per gli altri, negli atteggiamenti e nei comportamenti, astenendoci da atti offensivi o lesivi. La relazione è lo scopo di ogni buona comunicazione e, dunque, il muscolo etico più rilevante: è legato alla capacità di entrare in empatia con l’altro, senza la quale non è possibile aprire, mantenere e sviluppare un reale legame comunicativo. L’essere reciproci significa, per me, comunicare con gli altri come gli altri vorrebbero che noi comunicassimo con loro, anche nel caso in cui loro non stiano comunicando con noi come vorremmo che facessero. Infine, abbiamo bisogno della responsabilità che, soprattutto in questo momento storico, vedo connessa alla diffusione di messaggi di inclusione, che non discriminano, verso tutti colono che risultano ancora esclusi dalla sfera della nostra considerazione morale: le generazioni future, l’ambiente e i tanti gruppi sociali che rischiano di patire il peso delle nostre azioni comunicative.

In chiusura, possiamo pertanto affermare che il saper comunicare equivale a scambiarsi un dono reciproco?

Sì: comunicare bene equivale a creare uno spazio comune di relazione con gli interlocutori, in cui sentirsi reciprocamente a proprio agio, scambiarsi un dono reciproco, fatto di informazioni, pensieri, teorie, ma anche sensazioni, emozioni e sentimenti, e agire nella prospettiva di un’intesa. Su quest’ultimo punto, ci tengo a dire che impegnarsi a trovare un accordo non significa avere le stesse opinioni, ma cercare un terreno comune in cui confrontarsi e, prima ancora, riconoscersi e rispettarsi. Comunicare bene vuol dire saper incontrarsi da posizioni diverse, salvaguardate nella loro diversità.

Il libro è disponibile di seguito:

Altro su Mariagrazia Villa

Dal 2014 è docente di Etica e deontologia ed Etica e media allo IUSVE di Venezia e Verona e si occupa di communication ethics coaching nelle aziende e nelle scuole. Dal 2018, insegna Giornalismo enogastronomico all’Università di Parma.

Ha pubblicato numerosi volumi – tra saggi e manuali divulgativi – sull’etica della comunicazione, il giornalismo d’impresa, la cultura enogastronomica e la food writing.

Su Francesca Ghezzani

Giornalista, addetto stampa, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici. In passato ha collaborato con istituti in qualità di docente di comunicazione ed eventi.

Lascia un commento