Attilio Fontana su La Gazzetta dello Spettacolo Magazine
Attilio Fontana su La Gazzetta dello Spettacolo Magazine

Attilio Fontana: desidero regalare un futuro sereno alla mia famiglia

Attilio Fontana, artista poliedrico, sempre in movimento e impegnato su molti fronti. Attualmente è in Sicilia, a Catania, per curare la regia de “L’Isola che c’è”, che debutterà questo primo luglio.

Un incontro basato sulla musica, sul lockdown, da tutti noi subito, sull’amato teatro e sul ritrovato rapporto con il pubblico, grazie a “One Shot”, portato in scena lo scorso maggio, a Roma. Un periodo di ripresa, di cui lo stesso Attilio ci parla…

Bentornato su La Gazzetta dello Spettacolo ad Attilio Fontana. Come stai?

Caldo a parte, quì a Catania ci sono 42 gradi, sto bene. Sto allestendo uno spettacolo, in questo momento. Sono felice che il mondo possa riaprire e mi auguro si possa tornare presto ad una normalità.

Lo scorso anno le nostre vite sono state stravolte da un qualcosa di inaspettato, di estraneo. Quanto ha influito questa pandemia sul tuo percorso personale e, soprattutto, artistico?

Credo ci abbia cambiati tutti profondamente, perché ci ha imposto un nuovo modo di vivere. Ha quindi viziato alcune cose di cui, fondamentalmente, eravamo già ostaggi, vedi la tecnologia, l’uso dei monitor. Ha dopato alcuni meccanismi che prima riuscivamo a dosare bene. Siamo stati costretti ad abitare in case, al chiuso, utilizzando mascherine, adottando, per forza di cose, diffidenza, azzerando qualsiasi forma di empatia. Invece, per quanto mi riguarda, costruendo la vita sull’empatia, così come accade nel mio lavoro, ho vissuto il tutto in maniera claustrofobica, accettando, per forza di cose, ciò che stava accadendo. Tutto ciò che amo ha a che fare con un pieno contatto diretto, fatto di volti, di occhi, di live, di teatro. Per i miei ragazzi, di certo, è stato bello avere i genitori presenti, ancora più vicini. Questa situazione, in ogni caso, mi ha dato comunque modo di riprendere contatto con la mia musica, un qualcosa di positivo e, per altri versi, claustrofobico, per quanto riguarda la mia parte di anima ribelle. Ho dato vita ad un album acustico, un lavoro a cui tengo molto, e questo è stato un ritorno al mio aspetto da cantautore, a cui non avevo modo di dare molto spazio, vista la velocità delle tournée a cui ho preso parte.

A tal proposito, parlaci del tuo ultimo album, “Sessioni Segrete”, realizzato completamente in acustico, durante il lockdown..

All’inizio ero spaesato ed ho quindi ripreso, come dicevo prima, le mie canzoni, pensando di registrare un disco live, quasi a mo’ di sfida, senza pubblico. Ho quindi radunato le mie forze all’Ellington Club, dove mi erano saltate due date per covid, ed ho chiesto di trasformarlo in uno studio di registrazione, sia audio che video. Questo lavoro si potrebbe definire una sorta di The Best, che racchiude undici brani ed undici video, in un percorso completamente rivisitato. Le canzoni sono state intrappolate in una forma primitiva, vera e sincera, proprio come accadeva nei vinili di una volta. Un sogno che avevo da sempre.

Ad accompagnare questo progetto, alcune barche legate a dei nomi derivanti dai titoli di alcune canzoni presenti nell’album. Da cosa nasce questa idea?

Il tempo a casa era numeroso, ho quindi ripreso la mia attitudine ai colori e alle matite, per dare vita a dieci opere d’arte per ogni copia dell’album. In totale, ho realizzato duecento pezzi, ormai quasi esauriti, dove vi è riportato il testo della canzone e vi è poi, ad accompagnarle, un lavoro pittorico, talvolta arricchito da collage. Ho cercato di salvare, su queste barchette, ciò che rimane della verità, della nostra anima. Nel mio caso, la scrittura, da sempre, è la cosa più intima che ho.

Vent’anni di carriera da solita, precedentemente vissuti insieme a i Ragazzi Italiani. Che ricordi hai di quel periodo?

Ho dei ricordi molto confusi. Era tutto molto veloce ed eravamo giovanissimi. Con la testa di adesso, di certo, avrei registrato molti più ricordi. È stata un’esperienza forte, bellissima, ma come tutte le esperienze forti, pensi soltanto a rimanere a galla, non ti preoccupi del paesaggio. Uno tsunami, quindi, positivo per molti versi e negativo per altri, ma resta comunque un’esperienza incredibile che ho avuto la fortuna di vivere. Per alcuni anni, siamo stati delle vere superstar, avvolti da un successo clamoroso, ma in una forma diversa da oggi. All’epoca era tutto più analogico, non vi erano computer o altri modi per poter contattare chi si seguiva artisticamente, quindi le persone volevano toccarci, scoprire le nostre abitazioni. Era davvero tutto più eclatante, vissuto in un periodo che di certo non tornerà più.

Attilio Fontana. Foto di Maurizio Montani
Attilio Fontana. Foto di Maurizio Montani

Parallelamente alla tua carriera da cantante, vi è anche un percorso da attore..

In questi anni sto lavorando molto in teatro. È un acquario in cui mi muovo bene. Sono in Sicilia, appunto, per mettere in scena uno spettacolo teatrale, “L’Isola che c’è”, di cui curo la regia. Le tavole del palcoscenico, accolgono i miei talenti, consentendomi di essere me stesso, in maniera totale. Vedo questo campo di grano crescere, e questo mi rallegra. Sono stato spesso accusato di essere introverso, schivo, mentre sul palco riesco ad assumere tutti i colori della vita. Il pubblico, fortunatamente, nota questo cambiamento e mi premia. Prossimamente, tra l’altro, sarò tra i protagonisti di “Tre uomini e una culla”, che debutterà al Festival di Borgio Verezzi.

Posso chiederti un personale ricordo di Virna Lisi?

Ho un ricordo molto bello di Virna. Era seria e professionale sul set. Era, soprattutto in “Caterina e le sue figlie”, la locomotiva del progetto, vista da tutti come figura materna, grande. Mi colpì un episodio, in particolare. Dovetti scrivere una canzone, per un nuovo lavoro di canale 5. Il produttore mi chiese di darle lezioni su questo pezzo. Quando entrai nel suo camper, vi fu questo confronto e, sin da subito, mi colpì il suo flusso emotivo, la commozione, legata alle corde di quel tipo di musica che avevo scritto per lei. Era una vera fuoriclasse.

Da qualche anno, sei un papà felice. Quanto influisce oggi, il tuo essere papà, nei testi delle tue canzoni?

Tanto. Mi ha dato una sorta di elettroshock. All’inizio, non lo nascondo, è stato difficile. Avevo uno studio dove, per dodici ore al giorno, potevo dedicarmi alla mia arte, ma forse riuscivo meno. Oggi, invece, penso che tutto ciò mi abbia trasformato in rigorista. Le occasioni creative, per forza di cose, diventano occasioni ghiotte per poter fare goal, senza perdermi nel tergiversare. In questi anni, per assurdo, sto facendo più cose di un tempo. Quindi, tornando alla mia equazione iniziale, il mio pensiero era sbagliato. Faccio meno cose per me, ma tendo a far più cose per la famiglia, cercando di regalare loro un futuro semplice, normale, il meno difficoltoso possibile.

Attilio Fontana. Foto di Maurizio Montani
Attilio Fontana. Foto di Maurizio Montani

Come hai spiegato ai tuoi bimbi ciò che si è verificato nel mondo?

I bambini hanno il radar, quindi fondamentalmente abbiamo spiegato loro ben poco. Il virus era un qualcosa da vivere e come gioco e con normalità. Abbiamo spento la televisione, onde evitare di minare la loro serenità con notizie forti. Abbiamo cercato di dare loro serenità, proteggendoli, dedicandogli momenti di verde, quando possibile, sfruttando spazio in terrazza.

Recentemente sei tornato a calcare il palcoscenico, con lo spettacolo, “One Shot”. Adrenalina pura, immagino…

Si, è stata una bomba atomica, una dose pazzesca di adrenalina. Abbiamo realizzato una doppia replica, dovendo distribuire il pubblico in più serate. È stato strano rivedere una platea, seppur piccola, con delle mascherine in volto, dinanzi a noi. Una gioia indescrivibile, anche da parte del pubblico stesso. Eravamo lì a celebrare la vita. Sul palco, esorcizziamo questo periodo, ridendo di come la vita ci sia stata stravolta. Siamo riusciti a giocare, senza ledere la sensibilità altrui, su quella che è stata la dad, o lo spettacolo in streaming.

Attilio, c’è qualcosa che non sei ancora riuscito a realizzare, a portare in scena?

Il mio sogno è quello di poter portare a Sanremo una mia canzone. Sono riuscito a prendervi parte, anni fa, con I Ragazzi Italiani, e, successivamente, scrivendo un pezzo per un altro artista. Non ti nascondo che, prima o poi, mi piacerebbe esserci.

Progetti futuri di Attilio Fontana?

Porterò di certo in trio, “Sessioni Segrete”. Il 16 luglio saremo al Teatro Lo Spazio, all’aperto, a Roma. È una data importante, perché sarà come scartare per la prima volta, ufficialmente, il pacco. Con Emiliano Reggente, abbiamo in ballo diverse date, con “One Shot”. Una sorta di The Best di questo duo che compie un decennio. Vi è poi “Tre uomini e una culla“, che debutterà il 20, 21 e 22 di agosto a Borgio Verezzi, per poi espandersi dalla prossima stagione, da marzo in poi.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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