Stefano Pesce: recitare insegna a vivere
Intervista all’attore Stefano Pesce, che si racconta sulla sua lunga carriera televisiva con un focus su “Balene”.
Incontriamo l’attore Stefano Pesce, anche lui nella serie diretta da Alessandro Casale, “Balene – Amiche per sempre”, un progetto più che apprezzato, targato Rai e prodotto da Fastfilm. Un artista che vive un mestiere bellissimo, certo che recitare insegni, in qualche modo, a vivere.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Stefano Pesce. Sei tra gli interpreti della fiction “Balene – Amiche per sempre”, guidata dal regista Alessandro Casale. Come si è sviluppato questo nuovo ruolo e quanta preparazione a riguardo?
La diversità più grande, rispetto ai ruoli precedenti, si è verificata nel momento in cui sono andato ad esplorare qualcosa di più vasto, cercando di capire quali analogie accompagnassero questa mia nuova esperienza. Il regista, nonché amico, Alessandro Casale, mi ha espressamente richiesto di impersonare un uomo mite, rispettoso, capace di subire i sentimenti e movimenti altrui. Un uomo che guarda alla vita che gli passa davanti. Ho provato, quindi, ad essere tutto ciò e, per di più, nelle mani di una donna.
Come hai vissuto il set e l’intero filo motivazionale della serie?
Questa serie è nata per mettere a fuoco la possibilità, per delle donne di mezza età, di rimettere in piedi un’esistenza con un altro ritmo e protagonismo. Il mio impegno è stato questo, quello di essere in ascolto di ciò che mi era stato richiesto, grazie anche al supporto dei miei colleghi, per lo più di Paolo Sassanelli e Carla Signoris. Insieme a Paolo, un collega con cui ho realizzato tanto altro, come l’ultimo progetto, “Incanto”, abbiamo cercato di modellare il ruolo in funzione di queste due protagoniste, il vero traino della serie.
Un percorso ricco di esperienze, quello realizzato sino ad oggi, ma cosa ti ha regalato, su tutto?
Recitare insegna a vivere! Il discorso è molto ampio e, personalmente, posso semplicemente dirti che questo mestiere mi consente di analizzare degli aspetti anche caratteriali che mi portano a comprendere come ci rapportiamo con l’esistenza, chiarendone il senso. Un modo per ipotizzare te stesso in altre salse.
C’è mai stato un piano B su cui poter fare affidamento?
Nessun piano B! Ho tentato di laurearmi in economia e commercio ma, nel mentre, ero già impegnato nel mio percorso da attore. Ho mollato tutto. Se proprio devo pensare a qualcosa, potrei dirti che avrei voluto fare il pilota. Guidare mi piace molto, mi rasserena, mi consente di avere dinanzi una lunghissima strada da percorrere. Senti, vedi, rimane un bellissimo momento sospeso.

L’ambiente dello spettacolo vive un periodo non bellissimo, legato a situazioni particolari dovute al Tax Credit, così come ad una guerra inattesa. Quali sensazioni a riguardo?
Ho scritto un soggetto, una storia familiare che riguarda i territori occupati in Israele. Un progetto presentato, in parte, e nato per parlare di ciò che ci succede, dei vari genocidi, di tutto ciò che accade nel mondo. Spero di potervelo mostrare, a breve.
Quali ruoli non sono stati ancora toccati?
Tantissimi! Mi piacerebbe portare in scena dei personaggi che sono realmente esistiti, qualche barone annidato nei suoi possedimenti, così come ruoli che si rifanno alla commedia, ai sentimenti. Il cinema italiano non ha ben capito questo genere, a mio parere. Tra l’altro, ho appena finito di girare un cortometraggio in cui interpreto un longobardo, un vero orrore per l’umanità, intitolato “Lupo longobardo”.
In passato sei stato parte dell’amatissima serie Mediaset, “Distretto di Polizia”…
Si, ho preso parte alla quarta serie per poi ‘resuscitare’ nell’ultima stagione, l’undicesima. Il grande pregio di Distretto, delle primissime stagioni realizzate da Renato De Maria, era nel dimostrare che si poteva fare cinema anche sul piccolo schermo. Ebbe un successo enorme!
Cosa desideri portare avanti oggi?
L’insegnamento, su tutto. Attualmente sono direttore artistico di un corso per attori che si svolge in Emilia Romagna, la regione in cui vivo, ed è finanziato dall’Europa e dalla stessa regione Emilia. Insieme alla co-direttrice, Licia Navarrini, invitiamo svariati artisti romani per far sì che possano prendervi parte. Un’altra strada a me cara, anche se faticosa, è legata al dirigere alcuni piccoli film. È accaduto con “Tre visi” e anche con “Lupo longobardo”. Il prossimo obiettivo consisterà nel realizzare un lungometraggio, qualcosa sul dramma di Gaza.
Quali consapevolezze sono state raggiunte con il passare del tempo e chi è oggi Stefano Pesce?
Sono consapevole di ciò che si può fare, e bene. Questa consapevolezza, a sua volta, impone, però, delle scelte. Spero, più che altro, di essere migliorato caratterialmente, con la possibilità di poter esprimere bene chi sono, mettendo a disposizione ciò che faccio per rappresentare al meglio l’uomo. Per il resto, posso dirti che sono un uomo di cinquantotto anni che, per fortuna, ne dimostra meno, grazie ad un impegno fisico. Mi definisco fortunato, innamorato di mia figlia, che sono venuto a trovare a Venezia proprio in questi giorni, e vivo a Bologna, dove ho una compagna. Ho due genitori anziani di cui mi occupo e, se devo dirla tutta, tornare a Bologna mi ha riunito a quello che è sempre stato il mio modo di essere, la mia vera identità territoriale. La città, con i suoi pregi e difetti, è ciò che più mi si confà.