Eduardo de Filippo
Eduardo de Filippo

Eduardo sulle tavole del palcoscenico

Eduardo de Filippo
Eduardo de Filippo

Si intitola “Tavola Tavola, chiodo chiodo” il convegno tenutosi nella Basilica di San Giovanni Maggiore (Na) il giorno 3 dicembre c.a. che ha avuto per tema Eduardo attraverso i racconti di chi l’ha conosciuto. Il titolo è un omaggio a Peppino Mercurio, macchinista del teatro San Ferdinando, che con questa espressione, voleva indicare la minuziosa fatica, la dedizione, l’accuratezza di coloro che si innamorano del palcoscenico

Evento a cura di Bruno Garofalo (fotografo di scena, allievo prima e scenografo poi), è uno dei più stretti collaboratori di Eduardo e deus ex machina di molte delle iniziative legate alla commemorazione del trentennale della scomparsa di De Filippo. Michele Mirabella -e non poteva essere diversamente-  si cala assai bene nel ruolo di padrone di casa: misurato ed elegante, con il suo bagaglio di esperienza anche teatrale,  tiene bene la scena, mattatore e spalla al tempo stesso.

Il primo ospite a lasciare il suo obolo di ricordi è Annamaria Ackermann, che narra il suo incontro con il Maestro, il quale, alla sua richiesta di entrare a far parte della “grande famiglia del teatro”, la liquida con un secco “Piccerè, ma io nun tengo tiempo a perdere” e -solo dietro sua insistenza- chiede all’amministratore di prendere il numero di telefono di quella ragazzina macilenta e dai capelli lisci e lunghi, in un ‘epoca in cui il modello femminile era quello della Lollo e della Loren. La chiamerà tre anni dopo e resterà in compagnia con lui per dieci anni. Sua la lettura di un brano tratto dalla pièce “Bene mio, core mio”.

Subito dopo, guadagna il palco il grande attore Antonio Casagrande, vecchio per finta, incontenibile ed ironico come solo i grandi sanno essere; legge “Baccalà” (poemetto del 1949) e la vecchiaia da lui stesso evocata scompare d’incanto. L’ascoltatore più attento ritrova, nelle parole di Eduardo, una Napoli che, forse non conosce, ma che sente dentro: nell’ odonomastica, nei termini, nel gergoletto. Qui c’è già in nuce il dramma di Gennaro Iovine (Napoli milionaria, 1945) e la filosofica lettura del luttuoso evento bellico di Don Gennaro e di Pasqualino Miele (1950, il film per cui Eduardo scrisse il ruolo di Totò). Non a caso, Eduardo, di guerre ne ha vissute due e si considerava sempre “uno sfollato nella vita”.

A Casagrande fa seguito l’ ingresso di Sergio Solli, uno dei più strenui ammiratori del drammaturgo De Filippo, e che, solo per diletto, frequentava una compagnia teatrale amatoriale. Parrucchiere nel negozio di famiglia, viene invitato a farsi provinare da Eduardo proprio dal suo amico Bruno (Garofalo, ndr) e affronta la prova con la serenità di chi è certo di non aver nulla da perdere. Di lì a dodici giorni partirà per la sua prima tournée e debutterà con “Il monumento” (penultima commedia, 1970), in cui reciterà anche  lo stesso Mirabella. Legge la poesia “O raggio ‘e sole” e racconta aneddoti che ci presentano un Eduardo ironico, talvolta spietato, sfottitore anche attraverso il registro formale dello spagnoleggiante Voi. E dalle sue parole si evince che l’ uomo privato e quello pubblico sono tutt’uno, e che entrambi appoggiano le mani sullo scrittoio, tenendo fermo il foglio  e muovendo velocemente la penna per scrivere battute che, in realtà, ha detto nella vita a suo figlio, ad un amico, ad un attore della sua compagnia.

Di segno opposto, invece, l’intervento di Lina Sastri, che entra in compagnia grazie a Gennarino Palumbo, e che si dichiara “gelosa degli aneddoti” che hanno legato la sua vita a quella di Eduardo; da semplice comparsa verrà chiamata per una sostituzione nel ruolo di Bonaria (Gli esami non finiscono mai, 1973), ruolo che ama profondamente, e regala al pubblico “Uocchie c’ arraggiunate” (1904), accompagnata da Sasà Piedepalumbo, una delle canzoni predilette di Eduardo, che la inserì nell’atto unico “Gennariniello” (1932).

E’, infine, la volta di Antonio Sinagra, pianista e compositore, a cui si devono le note di molte parole (teatrali) e di molte poesie di De Filippo; fa il suo ingresso nella vita di Eduardo in seguito alla scomparsa di Nino Rota (con cui ci furono grandi e importanti collaborazioni), e gli viene chiesto di scrivere due arie e tre recitativi in tre giorni. Eduardo lo sfida continuamente, costringendolo a sottoporre il prodotto di tre giorni di intenso lavoro alla presenza di musicisti come Sergio Bruni, tra un caffè e una chiacchiera. Eppure alla fine, il Maestro gli poggerà una mano sulla spalla e -rivolto ai presenti- dirà: “E’ bravo, eh, ‘o maestro mio ?”.

Chiude questo meraviglioso viaggio nella vita di Eduardo, Antonio Murro, musicista, cantante, attore, che  fa vibrare nell’aria le note di “Si t’o sapesse dicere” (scritta nel 1944); nessuno potrà mai dare di Eduardo De Filippo una definizione univoca, giacchè molti sono i fraintendimenti in cui si incespica quando si tocca e si maneggia -con scarsa cura- la figura di uno che non fu mai “una sola cosa” nella vita. Chi ha amato il suo teatro, continuerà ad accettarlo così: con la sua grande generosità, con una professionalità quasi maniacale, un pò burbero e un pò sornione; con una scrittura e un linguaggio nato a Napoli, ma che seppe farsi universale. L’uomo che ha permesso al mondo di omettere anche il cognome,nel riferirsi a lui, perchè Eduardo è soltanto lui!

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