Per la rubrica “Incontro in un ricordo” di Augusto De Luca, oggi parliamo di Roma città di storia senza tempo.
Credo che Roma sia la città di tutti, è presente nel nostro patrimonio genetico… si è da sempre romani. Centro del mondo e forse dell’universo, quando si attraversano le sue strade, pur avendo una maestosità che incute rispetto ci si sente a proprio agio. È la città “calda” a cui tutti in qualche modo apparteniamo.
Roma è nostra. Nel racconto fotografico della città il mio è un itinerario del tutto spontaneo e intuitivo dettato solo da ciò che mi ha attratto e spinto ad una sintesi tra realtà esterna, razionalità e creatività.
Con un chiaro riferimento al magico ed al metafisico, matrici che accompagnano tutti i miei lavori, l’intento è stato di proporre una Roma senza tempo, classica e moderna, antica e futura, oltre le mode e gli imperi che l’hanno attraversata dei quali oggi restano solo i segni. Roma non appartiene a nessun tempo. Ho sottolineato ulteriormente la sua totale autonomia e sospensione ritraendola completamente deserta, imprigionata da lunghe icone orizzontali, come il palcoscenico di un teatro dove si recita ogni giorno la vita di cui si intravede solo il riverbero e dove regna sovrano il silenzio. È impossibile dare l’idea di una città così “grande”, così assolutamente piena di tutto e quindi imprendibile nella sua essenza più profonda. Io ho cercato di svelare almeno qualcuno dei suoi segreti. “Certe volte basta un selciato sconnesso, respirare un odore ed ecco che la città è lì, attorno a te” Jean Paul Sartre. In quel periodo vivevo a Roma, circostanza che favoriva particolarmente questo lavoro fotografico.
Avevo modo di programmare ed eventualmente ripetere gli scatti, scegliendo gli orari più favorevoli e quindi la luce migliore per ogni foto. Nel fotografare questa e successivamente anche le altre città, per un fotografo come me che privilegia le strutture architettoniche, eliminando completamente la figura umana, rendendo i luoghi come palcoscenici vuoti che vivono solo attraverso i loro segni e le strutture architettoniche che attraverso lo scorrere del tempo ne raccontano la storia, il vero problema era sempre lo stesso: i simpaticissimi e onnipresenti cinesi o giapponesi…non so bene…perché ammetto di non riuscire a distinguerli. Appena trovavo l’inquadratura giusta e stavo per scattare, ecco che come un’apparizione miracolosa, avanti si materializzava uno di loro con l’inseparabile macchinetta fotografica. Non so quanti scatti con “imprevisto” ho dovuto cancellare e non so quanta pazienza ho dovuto avere; ma io perseveravo e dopo un po’, se nel mirino non ne vedevo un altro, alla fine il click mi ripagava sempre dell’attesa.
Alcune volte durante la caccia alle immagini, si presentavano occasioni irripetibili; come quando una mattina allo Stadio dei Marmi cercando tra le statue una buona foto, notai due colombe bianche immobili sull’avanbraccio di un discobolo che aveva come sfondo un meraviglioso cielo nuvoloso. La foto così com’era sarebbe stata bella ma forse un po banale e allora mi venne l’idea: dissi a Marisa la compagna di allora che quel giorno mi accompagnava, di lanciare una moneta al mio via sulla statua, mentre io ero pronto a scattare con la fedele Hasselblad. E così fu… il tintinnio del metallo sulla pietra fece volare i due colombi all’unisono ed io scattai. Il risultato é in questa foto che pubblico. Negli anni successivi ho fotografato diverse città, ma questi sono altri ricordi…
La Gazzetta dello Spettacolo Il quotidiano dello ShowBiz


