Continua fino a marzo nei teatri della provincia ferrarese la tournée del comico gentile Paolo Franceschini
Sguardo sincero, sorriso educato, Paolo Franceschini si contraddistingue nel panorama del cabaret italiano per la sua comicità leggera, garbata, mai esagerata, che ricorda tanto quella degli esordi nei villaggi turistici, quando ogni sera dal palco doveva accontentare un pubblico eterogeneo ma comunque familiare.
Accompagnato dalla band 60 lire, fino al mese di marzo porta in scena nei teatri della provincia di Ferrara il suo nuovo spettacolo Gli elefanti sanno nuotare, scritto da Matteo Pedrini e dallo stesso Paolo Franceschini che ha anche curato la regia in collaborazione con Michael Buttini. . Un sorprendente viaggio tra musica, canzoni e comicità per scoprire quelle curiosità che non tutti conoscono, seguendo lo schema della famosa rubrica de La Settimana Enigmistica “Forse non tutti sanno che”.
Proprio una risposta ad uno di questi interessanti quesiti, anche se non sempre fondamentali, ha suggerito il titolo dello spettacolo. Perché, anche se pesanti e mastodontici, gli elefanti sanno effettivamente nuotare anche lontano dalla riva.
Paolo Franceschini, come ti sei avvicinato al mondo del Cabaret?
Ci arrivo per caso, senza pianificarlo, lavorando intere stagioni nei villaggi turistici. Sono gli anni del mio praticantato artistico. Del costante rapporto con il pubblico e le persone. Imparo in quegli anni ad improvvisare, ad uscire in qualche modo da tutte le situazioni, anche quelle più critiche. Una volta tornato definitivamente a casa mi dedico agli spettacoli di magia e da lì il passo è stato breve per arrivare ad allestire spettacoli di strada. Poi nel 2007 partecipo su Rai Uno alla riedizione del programma televisivo Stasera mi butto condotto da Biagio Izzo e Caterina Balivo. Capitalizzando la visibilità concessa dalla televisione inizio il mio percorso artistico. Poi di recente è arrivato Eccezionale Veramente che mi ha dato la possibilità di accedere a Colorado.
Ti ricordi il tuo primo spettacolo davanti un pubblico pagante?
Sì certo, lo ricordo molto bene. È stato il mio primo approccio con la realtà. Un bagno di vera umiltà. Ero in una pausa tra una stagione di animazione e l’altra. Sapevo che un locale vicino casa mia organizzava delle serate di Cabaret così riesco a fissare una data. La sera della mia prima esibizione riesco a riempire il locale di amici e parenti che colgono soprattutto l’occasione di vedermi, non essendo mai a casa. Con questi presupposti chiaramente lo spettacolo ha un successo straordinario.
Sull’onda dell’euforia, pensando di bissare la serata fortunata col locale pieno di gente soddisfatta, il proprietario mi propone una seconda data ma, senza il supporto degli amici, il risultato non è il medesimo. A me, però, è servito per misurarmi con un pubblico vero, fuori dal recinto protetto di un villaggio turistico dove, conoscendo personalmente i clienti, è molto più facile intrattenere e divertire il pubblico.
Che cos’è il Cabaret per Paolo Franceschini?
Sono sempre stato molto lontano dalle disquisizioni accademiche sul significato da attribuire al cabaret, alla comicità perché cercare di trovare una definizione esatta rischia solo di alimentare inutile polemiche, se non sono proprio create ad arte, quando in realtà tutto si risolve in una frase semplicissima pronunciata, tra gli altri, da Rocco Tanica quando è stato ospite di una puntata di Eccezionale Veramente su LA7: “Comico è chi ridere fa”. Punto. Tutto il resto sono esercizi di stile.
Cosa rappresenta per te il Cabaret?
Per me è un mestiere. Anche se, purtroppo, non è riconosciuto da tutti, questa è una professione a tutti gli effetti coi suoi pregi e i suoi difetti.
Quale è l’aspetto più avvincente di questa professione?
La possibilità di vivere sempre situazioni irripetibili. Puoi avere anche mille date nello stesso teatro ma ogni sera si rinnova quella particolarissima emozione. Anche per questo sono consapevole di essere un privilegiato a poter vivere di questo.
E quale è, eventualmente, l’aspetto più deludente?
Il pressapochismo di chi non ha per niente rispetto di questa professione. Chi ad esempio ti fa lavorare in condizioni precarie senza rispettare i requisiti minimi di quella che è una forma d’arte. Come quando ti chiamano a lavorare in situazioni assurde. I ristoranti, ad esempio, che ti piazzano tra i tavoli della gente che mangia, senza nemmeno avere la possibilità di un palchetto, di un minimo di organizzazione, di un audio curato, delle luci. È chiaro che in questi contesti è difficilissimo creare le condizioni per presentare uno spettacolo di Cabaret, anche perché le persone devono essere preparate a queste proposte culturali.
Consiglieresti ad un giovane artista di seguire questa professione?
Perché non dovrei? Anche se siamo già in tanti, perché se uno è bravo e ha i numeri per farlo non dovrebbe cercare di ritagliarsi il suo piccolo Oceano Blu come dicono gli uomini del marketing. Di monologhisti, ad esempio, ce ne sono già tanti ma noti subito che qualcuno è più bravo degli altri. E non solo perché ha una presenza scenica più incisiva ma perché la qualità dei testi è migliore. Anche tra le nuove leve della nuova generazione ci sono alcune brillanti promesse che avranno sicuramente un luminoso futuro.
Quale è la battuta di Cabaret che preferisci?
Amo con tutto me stesso una battuta in particolare. Anche se non è mia ma di un amico che me l’ha regalata. «Al termine della sua esibizione il Body Painter dichiara: “Ringrazio tutti coloro che coloro”». Ma poi ce ne sarebbe anche una straordinaria dei mitici Ale & Franz nei panni di Gin & Fizz. Fizz: “Perché sei in ritardo?”. Gin: “Oggi mentre scendevo dalle scale sono caduto”. Fizz: “Anche ieri mentre scendevi dalle scale sei caduto”. Gin: “Infatti sono stato dal medico”. Fizz: “E cosa ti ha detto?”. Gin: “Che ho avuto una ricaduta”.