Giacomo Casaula: sono un fauture di ideali

Giacomo Casaula: sono un fauture di ideali

Intervista al giovane artista poliedrico Giacomo Casaula, che ci racconta del suo percorso e delle novità professionali.

Giacomo Casaula spazia dal teatro, alla musica leggera, dalla scrittura sino al teatro-canzone. Un giovane, che grazie al suo talento, ed alle sue capacità di dialogo, ha già anche assaporato il gusto di tenere una lezione all’Università. È successo alla facoltà di Pedagogia generale e sociale di Piacenza, dove prendendo spunto da tematiche dei suoi libri, ha interagito con una platea di ragazzi particolarmente attenta e coinvolta. Lo incontriamo alla vigilia del suo prossimo concerto, una serata sabato prossimo presso il Circolo Ilva di Bagnoli.

Bentornato sul quotidiano “La Gazzetta dello Spettacolo”. Se dovessi chiederti: chi è l’artista Giacomo Casaula?
A livello professionale questo termine artista lo sento mio, faccio teatro, teatro – canzone, scrivo testi e libri e incido dischi. Sul piano personale, sono un ragazzo di 32 anni, riflessivo, conflittuale, che osserva quello che accade nel mondo esterno in toto, grazie a un’educazione fatta di dubbi e domande, contrasti e conflitti già da adolescente. Molto introspettivo forse perché figlio unico, ma fortunatamente circondato da tanti veri amici, – per me l’amicizia è un valore importantissimo -, verso i quali sono molto inclusivo ed estroverso.

Come approdi al mondo dello spettacolo?
In due modi diversi, ma paralleli. Da una parte, l’aspetto familiare genetico, mia nonna è l’attrice Anna Maria Ackermann. All’età di 5 anni la seguivo e circolavo dietro le quinte. Poi a 14 anni, in quarto ginnasio, la folgorazione del laboratorio teatrale del mio liceo classico, il Marco Galdi di Cava dei Tirreni, diretto da Gaetano Stella. In tre anni ogni venerdì spaziavamo tra testi del teatro in senso lato, Pirandello, Cechov, Moliere. L’hobby poi si è trasformato, e la consapevolezza che fosse una strada da seguire è giunta intorno ai 20 anni.

Giacomo Casaula in scena

Qual è stato l’humus della tua vita artistica, attori cantanti da cui trarre ispirazione?
Sul piano musicale la svolta è arrivata l’anno dopo l’inizio del laboratorio teatrale. A 15 anni Rino Gaetano mi ha illuminato, h24 era tutto un video, sentivo le canzoni, approfondivo i testi. Mi affascinava quel suo essere stralunato, e al tempo stesso si sentiva, e si leggeva nelle sue canzoni, il suo essere meridionale. E ho provato anche a imitarlo, Nel 2008, c’erano due giornate dell’arte, e io ho cantai per la prima volta “Gianna” e “Il cielo è sempre più blu”. Per l’occasione fittai frac e cilindro. Da lì altri cantautori, De André, Bennato, Lolli, Guccini, De Gregori. Poi nel 2012, a 20 anni, scoprii il pianeta Gaber, si aprì il capitolo teatro – canzone. Vidi frammenti dei suoi spettacoli su Youtube e pensai, questo fa spettacoli come li voglio fare io. E il mio primo spettacolo lo feci a febbraio dell’anno dopo. Da lì, insieme a un musicista, Davide Trezza, dopo lunghe conversazioni, scrittura dei testi, e musica, sono nati progetti di teatro – canzone personale, come gli spettacoli “Nichilismi fashion week” del 2020, e “Amore sintetico” del 2023. E ora sto lavorando da un paio di settimane a un progetto inedito. Con noi anche Andrea Barone e un altro carissimo amico Francesco Oreste. Sarà uno spettacolo molto fotografico, storie di persone con spunti presi dalla realtà, dove ci sarà politico e sociale, ci si aprirà al mondo.

Idee e ideali, come ti poni di fronte a questi due termini e che giudizio dai della tua generazione.
Sono un grande fautore degli ideali, malgrado sia fuori luogo. La mia prospettiva del mondo vede prima le idee e poi gli ideali. Per quanto sia un incrollabile ottimista, vedo che i miei coetanei, hanno delle radici meno salde e forti, è tutto molto precario, dal piano professionale alle difficoltà personali. C’è precarietà nelle amicizie, spesso molto virtuali. Le generazioni precedenti avevano radici più salde, ora ci si muove al buio. Una cosa è certa, una buona fetta di questa situazione non l’abbiamo costruita noi. Prima c’erano certezze maggiori che si sono andate via via sbriciolando. Passione ed entusiasmo latitano.

Che bolle in pentola oltre alla musica?
Sul fronte teatrale ci sono vari progetti. Faccio parte del “Antico fa testo”, una compagnia ideata da Francesco Puccio. A fine estate abbiamo messo in scena “Nessuno sfugge al ciclope”. Si prendono testi antichi e li si mettono in scena rendendoli più contemporanei. Ma ce ne sono altri. Da attore mi voglio dedicare a 360 gradi a uno spettacolo “Il caso di Alessandro e Maria” di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, l’atto unico messo in scena per la prima volta l’anno scorso a Villa di Donato. Come scrittore è in itinere il terzo romanzo. Dopo aver toccato la lentezza e poi la solitudine, il tema sarà il dolore di vivere, che a stento cerchiamo di anestetizzare. E prenderà spunto da un fatto di cronaca.

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