E’ partito da Bologna il tour europeo di Robbie Williams in celebrazione dei suoi venticinque anni di carriera.
Due serate da tutto esaurito in una Casalecchio di Reno gelata, cosa che non ha fermato i temerari fans che hanno addirittura pernottato davanti ai cancelli per aggiudicarsi la tanto agognata transenna.
Lo confesso, tra di loro c’ero anche io. Non tra gli accampati in notturna, la neve mi ha fatto preferire il caldo del mio letto, ma tra coloro che dalla prima mattinata erano già lì fuori in attesa.
I concerti vissuti così sono quasi sempre i più belli, perché puoi condividere l’esperienza con altre persone, conoscerne di nuove, rivederne di vecchie, passare del tempo in più in quella bolla che, in fondo, sappiamo bene come ci fa sentire.
Robbie Williams è sulle scene da più di 30 anni, ormai, prima coi Take That e poi come solista, e quasi tutte le persone presenti sono con lui da altrettanto tempo e, chi non lo è, ha recuperato più che in fretta il tempo perso.
E’ di famiglia, ormai, e pertanto viene trattato da tutti (o quasi) come tale. Pertanto vogliamo solo stargli vicino.
La scaletta, come di consueto, presenta le sue hit più famose, intervallate da momenti in cui l’artista si ferma a raccontarsi, ad intrattenere, perché in fondo è questo il talento che lo contraddistingue, oltre a quello ovvio nello scrivere canzoni.
Non è mai stata una persona che si è vergognata di mostrarsi vulnerabile o semplicemente per quella che è, e durante queste serate ha tenuto a ribadire che tutti i bassi della sua vita sono stati decisamente superati dagli alti.
Dall’amore della sua famiglia e dal nostro, senza i quali ammette lui stesso che a quest’ora probabilmente non sarebbe nemmeno più tra noi.
Non è un semplice concerto, è un percorso, un racconto quando, tra una hit e l’altra, ecco che sbucano i ricordi legati al periodo dei suoi esordi coi Take That, la band che lo ha reso famoso, e al momento in cui tutto è cambiato e si è ritrovato solo.
Solo ma non veramente solo. Come ha detto, infatti, qualcun altro, ho visto brillare una stella, una stella che molti hanno il coraggio di definire cadente, quando invece avrebbe solo avuto da ricredersi se avesse visto il pubblico variegato presente in queste due serate appena.
Cercando di mantenere un certo distacco, eviterò di soffermarmi troppo sul fatto che lui è la mia stella da un’intera vita, perché sembrerebbe di parte, ma alla fine si tratterebbe soltanto di specificare l’ovvio.
Robbie Williams viene da una boyband, in un periodo in cui eravamo strapieni di boyband che cercavano di sopravvivere. E lui ne è uscito vincente, nonostante gli anni bui, la droga, la riabilitazione, ed è andato oltre… e ha ancora una lunga storia da raccontare.
Lo fa con la sua solita faccia da schiaffi, quella che ci ha fatte innamorare da ragazzine e quella che ha attirato le donne adulte perse per quegli occhi molto simili al colore dei fiumi perlati e quei capelli grigi che lo rendono l’uomo affascinante che obiettivamente è.
Gli uomini possono solo stare a guardare con ammirazione a questo animale da palcoscenico, che interagisce e non molla il suo pubblico neanche un secondo. Possono stare a guardare e rendere grazie al destino che gli ha permesso di assistere a cotanto spettacolo.
Uno spettacolo che ha concentrato in un paio d’ore intensissime 30 anni di una vita che, a tratti, si potrebbe definire allo sbando, ma che ha lasciato inequivocabilmente il segno.
Uno spettacolo che se non lo vedi almeno una volta allora faresti meglio a non parlarne. Uno spettacolo che, però, tutti dovrebbero vedere. Per rendere la loro esistenza meno vuota e, chissà, darsi una motivazione in più per continuare a lottare.