LadyOscar

Ladyoscar in scena al Teatro Studio Uno

LadyOscar

Al Teatro Studio Uno dal 14 al 17 gennaio 2016 la compagnia 20 Chiavi Teatro presenta Ladyoscar spettacolo di Ferdinando Vaselli che porta in scena il disagio della periferia attraverso la storia di due giovani tossicodipendenti interpretati da Alessia Berardi e Riccardo Floris.

LADYOSCAR – Due ragazzi, la cocaina, la periferia. Non sappiamo come si chiamino, non usano i loro nomi, sono Coso e Cosa, semplicemente “amò”. Sono in casa, nella brutta periferia di Roma, emblema di tutte le periferie d’Italia. Sono fatti, sempre. Vedono gli aerei passare sopra di loro, vorrebbero prenderli quegli aerei, per andare lontano, sognano un cambiamento, ma non riescono a fare neanche un passo. Ma degli aerei imparano tutti i nomi. Restano immobili. Si parlano addosso. Litigano per la dose, per la roba, per quel barista che ci ha provato. Litigano per un figlio che forse arriverà. Vagheggiano. Si muovono solo le loro parole, che si fanno traccia di qualcosa che non riusciamo a vedere, loro restano imprigionati nell’attesa di un futuro migliore, nella speranza di un cambiamento miracoloso, aspettando di vivere.

NOTE DI REGIA – Un luogo fuori dalla città. Ai margini. Una periferia indistinta. Una provincia enorme che arriva fino a Roma caput mundi. Ma la capitale è solo periferia, una periferia di un impero che non ha più centro. Il centro è il denaro, la merce, il turbocapitalismo senza volto. Roma è erbacce e terra, terra ed erbacce. Sopra volano gli aerei. Atterrano e partono davanti a loro. Protagonisti Coso e Cosa. Chi sono? Una coppia di perenni adolescenti che non riesce ad attraversare la linea d’ombra dell’età matura, rinchiusi in un limbo, animati da un’energia, da un vitalismo, che non trova sbocco se non attraverso una violenza più o meno latente. Sono rinchiusi nel loro guscio da cui ogni tanto tentano di uscire. Senza la volontà di riuscirvi.

Hanno storie diverse, vengono da due mondi che un tempo si conoscevano a malapena e si guardavano con estrema diffidenza se non disprezzo. Adesso vivono mescolati, parlano la stessa lingua, il figlio di papà e la figlia della borgata. E non sono i proletari a desiderare di essere altro, ma è la borghesia che sembra essersi proletarizzata, spesso nelle forme, alcune volte nei contenuti. Delle loro provenienze non rimane che la memoria, dei loro mondi non rimane nulla, tutti e due ormai parlano la stessa lingua. La cocaina è il collante della loro relazione. Una droga per essere dentro e non per stare fuori. Prima la coca era la droga dei ricchi.

Adesso è di tutti. La prende il muratore, la prende l’avvocato, la prende l’immigrato, la prende il politico, il giudice, il cassiere del supermercato, il dottore e l’infermiere, il ladro e il poliziotto, il professore e l’allievo. La coca non ha colore politico. La coca è democratica. O ancora meglio. La coca è un prodotto del mercato globale, è un brand alla pari dell’Iphone e di McDonald’s, non apre nessuna porta delle percezione, non è un surrogato della felicità, è piuttosto un surrogato della normalità.Una normalità fatta di “valori”, come dice Coso. E quali sono i valori? Quelli di una società arcaica e piccolo borghese che si fonde con una modernità senza riferimenti se non quello del denaro, una società in cui Coso e Cosa sanno di non essere protagonisti ma solo spettatori.

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