Giuseppe Bucci

Giuseppe Bucci: qualcosa di me ne “In casa con Claude”

Intervista – incontro con Giuseppe Bucci, il regista di “In casa con Claude 2.0”, in scena i primi di dicembre a Roma.

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Un incontro, quello di oggi, con il regista Giuseppe Bucci pronto a parlarci de “In casa con Claude 2.0”, in scena dal 4 al 7 dicembre al Teatro Belli di Roma. Uno spettacolo cucito sulla sua pelle che lo ha del tutto folgorato, sia a livello emotivo che personale…

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Giuseppe Bucci. Dal 4 al 7 dicembre, al Teatro Belli di Roma, sarà in scena una tua regia, “In casa con Claude 2.0”, uno spettacolo a cui tieni particolarmente. Come ha preso esattamente forma?
«Rimasi fulminato, sei anni fa, nel leggere il testo di “In casa con Claude 2.0”. Sembrava fosse cucito sulla mia pelle, in quel particolare periodo. La lotta contro pregiudizio e omofobia erano già una mia priorità ma il personaggio di Yves e di riflesso anche quello di Claude, il ragazzo che Yves uccide senza spiegare il perchè, a livello personale ed emotivo mi hanno folgorato. In un momento intimo, difficile e doloroso, ogni sfumatura, dialogo, emozione, dolore, rimpianto, sessualità, tossicità sembravano attraversare la mia esperienza. Non potevo non portarlo in scena, stravolgendone, però, alcune connotazioni di spazio e tempo. Il monologo finale, poi, ha rappresentato una sfida registica e attoriale intrigante».

Quali apprezzamenti, ti auguri di poter ricevere da parte del pubblico? Quale messaggio trasmettere?
«Su tutto mi aspetto che venga apprezzata la passione, l’impegno e l’amore profuso in questo spettacolo. Un esercizio di regia con prove attoriali particolarmente difficili e rischiose. Bisogna essere totalmente convinti di quello che si sta facendo, e devo dire che gli attori stanno dando il massimo, e spero che il pubblico lo apprezzi ed ami lo spettacolo. Ancora di più, vorrei che fosse recepita la denuncia severa e dolente di quanto i pregiudizi, l’omofobia, l’ostilità di parte della società contro ciò che è ritenuto ‘diverso’, possa condizionare e spezzare tante vite, specie se giovani. Il desiderio di amare e essere amati è universale e non si può stabilire chi ne ha il diritto e chi no. Specie se per orientamento sessuale».

Parliamo di teatro, della classica magia che si crea sulle tavole del palcoscenico. Quali sensazioni sono legate a tutto ciò, alla tua professione?
«Da giovane ho fatto l’attore, per circa dieci anni, per poi dedicarmi alla regia ma l’amore per gli attori, per il palcoscenico, resta qualcosa di fondamentale. Il teatro è stato il primo amore, il luogo in cui ho mosso i miei primi passi. Parliamo di una ‘dipendenza’ che non passerà mai».

Come scegli gli attori presenti nei tuoi progetti?
«Nella vita ho avuto spesso la fortuna di dirigere molti attori e, tra questi, anche alcuni tra i più popolari. La ricerca di un buon cast è da sempre un aspetto stimolante. Per il ruolo dell’ispettore cercavo, in questa occasione, qualcuno che avesse una grande esperienza alle spalle, motivo per cui ho scelto Enrico Sortino. Per il ruolo di Yves, invece, la scelta è stata molto più complessa. Alla fine ho scelto Matteo Santorum, spinto dal suo istinto emotivo, dopo averlo ‘studiato’ per mesi».

Cosa possiamo aspettarci dal tuo futuro artistico?
«A marzo sarò all’Off Off di Roma con un mio adattamento da Orlando, di Virginia Woolf. Il resto, invece, è top secret…».

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