A tu per tu con Ulderico Pesce, che ritorna sulle pagine del nostro quotidiano per il suo nuovo spettacolo teatrale.
Ritroviamo Ulderico Pesce in occasione dello spettacolo “La rivolta di San Mauro”, un progetto a cui tiene particolarmente, in scena il 15 e il 16 novembre al Teatro di Villa Lazzaroni.
Ben ritrovato su La Gazzetta dello Spettacolo, Ulderico Pesce. Un nuovo spettacolo ti vedrà nuovamente in scena, “La rivolta di San Mauro”, un progetto a cui ti sei preparato con meticolosa attenzione. Cosa puoi svelarci a riguardo?
«Per costruire questo spettacolo ho faticato molto, specie nel rintracciare i documenti storici. Parliamo della Rivolta dei Campanacci del 30 e 31 marzo 1940, la prima rivolta popolare antifascista d’Italia relativa ad un piccolo paesino della Basilicata in provincia di Matera, San Mauro Forte. Una rivolta che ebbe come conseguenza due morti, due manifestanti uccisi dai carabinieri, cinque feriti e centotrenta arresti nel carcere di Matera. La memoria storica si era persa, quindi ho dovuto fare un lavoro di recupero delle carte processuali del ’40 e del ’41, quasi del tutto irreperibili. Inoltre, ho intervistato l’ultima testimone, Maria Antonia Marinaro, all’epoca incinta al nono mese di gravidanza, il cui marito fu ferito e arrestato. Altra cosa straordinaria è che sono riuscito a rintracciare il figlio di una carcerata, Antonia Miccio, all’epoca dei fatti al primo mese di gravidanza. Partorirà in carcere il figlio Pasquale Cirillo, ancora in vita. Con lui siamo diventati molto amici nel tempo. Per lui fu davvero difficile accettare di rendere pubblico che fosse nato in galera, cosa non facile da dire. Mi rivelò che all’epoca fu motivo di emarginazione. Nonostante le varie difficoltà, sono riuscito ad ottenere un buon materiale ed è nato questo spettacolo. Perché la Rivolta dei Campanacci? Perché in questo paese, cuore interno della Basilicata, passavano le mandrie e pertanto avevano una tradizione dei Campanacci molto forte. Tutt’ora, a Carnevale, fanno una grande sfilata di Campanacci enormi, grandi 50 cm. Ricordiamo anche che in occasione di quella Rivolta popolare vennero usati anche i Campanacci oltre alle forche, le falci, asce e bastoni. Per tali motivi, sono felice di venire a Roma il 15 e 16 novembre al Teatro di Villa Lazzaroni a mostrare questo spettacolo».
Quale insegnamento possiamo trarre da questa nuova pièce?
«Il primo insegnamento forte che possiamo trarre da questo spettacolo è che la dittatura fa gravi danni. In questa storia ci sono 2 morti, 5 feriti e 130 persone arrestate per un anno e mezzo, con un bambino nato in carcere. Le dittature portano alla morte, alla soppressione della libertà, della dignità umana. Quindi, altro grande insegnamento, è che la dittatura va combattuta sempre e qui a combatterla sono gli ultimi, è il popolo contadino che si ribella. Ottocento persone che assalgono il palazzo del Podestà, la Caserma dei Carabinieri».
Quali rituali ti accompagnano prima di essere in scena?
«Non ho un rituale, però ogni volta che recito, non so se si può dire, circa mezz’ora prima dell’inizio dello spettacolo devo andare in bagno. È come se, ogni qualvolta io debba fare qualcosa di molto importante e in cui credo, il mio stomaco, il mio intestino, si dovessero organizzare e ripulirsi. Non è un rituale, o forse si. Chissà.. Mi viene in mente ora che lo stomaco è l’organo più importante che abbiamo dal punto di vista dell’emotività tanto che Dante Alighieri, quando parla nella Vita Nuova dell’incontro con Beatrice, gli organi che reagiscono sono tre: il cervello che comanda i muscoli, il cuore le pulsioni del sangue, ma soprattutto lo stomaco che lo fa piangere. Quindi se c’è un organo collegato all’emotività, alle emozioni è proprio lo stomaco».
Cosa possiamo aspettarci dal tuo futuro artistico?
«Mi piacerebbe mettere in scena una Medea. Mi interessa molto il mito del rapporto tra Medea e Giasone. Trovo che i tempi attuali abbiano molto a che fare con il rapporto tra Medea e Giasone. D’altronde è modernissimo, Giasone. È un Trump, un Netanyahu, che va nella Colchide con l’obiettivo di prelevarne la materia prima. La Colchide al tempo era piena di oro e lui va a rubare il vello d’oro. Solo che si tratta un furto che avviene attraverso l’amore, perché Medea si innamora di lui. Giasone invece è molto innamorato della materia prima. Infatti, dopo aver generato 2 figli con Medea, la tradisce e vuole sposarsi con la figlia del re Creonte».
La Gazzetta dello Spettacolo Il quotidiano dello ShowBiz

