Diamo la parola al poeta Marco Grattoni. Classe 1964, nativo di Corsico, vive a Milano con la sua famiglia.
Appassionato da sempre di fotografia, la nascita della figlia Giulia, nel 2000, ha rappresentato per lui una fortissima emozione, che l’ha spinto ad avvicinarsi con entusiasmo e dedizione al mondo della poesia. Ha al suo attivo varie sillogi poetiche. Fiori d’inverno, pubblicata da LuoghInteriori Edizioni in questo mese di maggio, è la sua ultima raccolta edita.
Benvenuto Marco Grattoni. Perché hai scelto “Fiori d’inverno” come titolo per la tua silloge poetica?
Ho scelto come titolo “Fiori d’inverno” perché essi rappresentano la forza e la tenacia, essendo capaci di sopravvivere ai più duri e rigidi inverni. Quindi non è sicuramente per la loro bellezza che i fiori d’inverno mi affascinano, ma per la capacità di adattarsi e per la resistenza, a differenza dei fiori primaverili, sicuramente molto più belli ma anche fragili e delicati.
Le liriche contenute in questa tua raccolta hanno un comune denominatore? In caso affermativo, quale, Marco?
Il comune denominatore di questa raccolta è sicuramente la vita, la voglia di vivere e l’amore, anche se alcuni temi trattati farebbero pensare al contrario, come la morte, ma non è la stessa l’inizio di una nuova vita? La nebbia nasce e muore, il sole muore, ma rinasce ogni giorno, come la luna che brilla di sera e sparisce di giorno, per poi ripresentarsi puntuale nella notte. Possiamo dire che il comune denominatore di questa raccolta poetica ricorda il ciclo della vita che continua da migliaia di anni a stupirci.
C’è una lirica alla quale sei particolarmente legato? Se sì, perché?
La lirica a cui sono più affezionato è sicuramente “Seppellitemi dove non crescono più margherite” scritta dopo la morte del mio papà: è un modo per credere che la morte non è definitiva, che la vita continua magari sotto forma di un fiore che ogni anno rinasce per colorare i prati.
Rispetto alle raccolte precedenti, in questa, hai riscontrato qualcosa di diverso, una maturazione?
Sicuramente l’esperienza mi ha portato a migliorarmi e a comporre poesie di qualità sempre maggiore, anche se non c’è mai un limite: sono molto severo con me stesso e non mi accontento. Non sono mai totalmente soddisfatto di quello che scrivo, odio essere banale e ripetitivo e cerco sempre di mantenermi il più autocritico possibile.
Cosa ti ha spinto a scrivere questa silloge poetica? Una serie di emozioni particolarmente intense, di stati d’animo, il bisogno di comunicare un messaggio, o cosa?
Scrivere poesie per me è come uno sfogo, è un qualcosa che non riesco a spiegare. Le emozioni e i sentimenti, gli stati d’animo dai quali trae origine è come se fossero un dolore. Faccio un esempio, per spiegarmi meglio: quando abbiamo mal di testa, accusiamo un malessere e, per farlo cessare, prendiamo un’aspirina e tutto passa, così è per la poesia. Quando mi sento sofferente, malinconico, scrivo una poesia. Così “mi svuoto” liberandomi dal peso che mi stava schiacciando, e ritorna la serenità.