Rosario Galli

Vite sospese, di Rosario Galli

A tu per tu con Rosario Galli, per parlare del suo nuovo romanzo “Vite sospese”, che racconta di Umberto e Betta.

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Incontriamo il drammaturgo, sceneggiatore e regista Rosario Galli, pronto a parlarci del suo nuovo romanzo, “Vite sospese”, di come si è sviluppata questa sua idea e passione per la scrittura…

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Rosario Galli. Un nuovo romanzo all’attivo, “Vite sospese”, per LeStorie Edizioni, un progetto a cui tieni particolarmente. Come ha preso forma, esattamente?
«La prima idea risale a quasi due anni fa. Sentivo la necessità di raccontare il periodo buio della segregazione dovuta alla pandemia e, a poco a poco, ho trovato i protagonisti e lentamente si è dispiegata la storia di Umberto e Betta… Vite sospese che scorrono parallele in un mondo impazzito, depresso, isolato. Per fortuna esiste il Teatro che riesce a salvare le persone, le persone che lo fanno ovviamente, non quelle che si limitano a guardarlo».

Quale moto personale ti spinge a scrivere, ad imprimere le tue emozioni e sensazioni su carta?
«Potrei rispondere che scrivere mi serve per illudermi di contribuire a rendere il mondo un posto migliore ma è solo una piccola bugia innocua. La verità è che scrivere mi ha salvato la vita, mi ha aiutato e mi aiuta a superare i momenti di dolore e di depressione, così come il Teatro. Le due cose per me sono inscindibili, mi hanno accompagnato tutta la vita rendendola sopportabile».

Cosa o chi, a suo tempo, ti ha spinto a scrivere e cosa ti guida, ancora oggi?
«Quando iniziai a scrivere avevo tredici anni e decisi di raccontare la storia di un maresciallo di finanza che esercitava sulle Dolomiti, così provai con un giallo, o se volete un poliziesco, ma non avevo la più pallida idea di come si scrivesse e infatti dopo una ventina di pagine mi fermai e la cosa finì là. Qualche anno dopo scoprii Pirandello, leggendo “Uno nessuno e centomila”. Ne rimasi fui folgorato, sia dal romanzo che dal suo teatro, e mi venne voglia di emularlo… così scrissi il primo dramma teatrale. Da quel momento non mi fermai più e decisi di imparare la tecnica drammaturgica. Mi guida la voglia di sorprendere chi legge, la voglia di destare stupore e meraviglia».

Quale riscontro da parte del pubblico, cosa ti gratifica di volta in volta?
«Il riscontro in cinquant’anni di teatro, che festeggio proprio in questo mese, è quello di migliaia di persone che si sono divertite vedendo i miei spettacoli, e non solo in Italia: assistere a una mia commedia in ungherese e vedere la gente ridere è stata una delle più grandi gratificazioni ricevute».

Chi è Rosario, quali sogni accompagnano il tuo vissuto?
«Chi sono? Un uomo fortunato che ha realizzato ciò che sognava da ragazzino. Alla mia età i sogni sono soprattutto legati alla salute, che mi auguro accompagni il mio prossimo futuro».

Cosa possiamo aspettarci dal tuo futuro artistico?
«Ho rappresentato più di sessanta testi teatrali, ho scritto sceneggiature per serie televisive famose, ho recitato nei più grandi teatri romani… la mia ambizione è stata soddisfatta ampiamente, quindi direi che il mio futuro è lasciato al caso, all’improvvisazione, al momento che fugge, al Kairos che forse riuscirò ad afferrare».

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