Giornalista e scrittrice da oltre 300 mila copie vendute, Maria Luisa Minarelli è nata a Bologna dove si è laureata in Storia. Ha collaborato con periodici come Storia illustrata e Historia e si è occupata di salute, bellezza e turismo. Nel 1989 ha scritto Donne di denari (Olivares), un saggio sull’imprenditorialità femminile attraverso i secoli, anche tradotto in Germania.
Ha pubblicato Un cuore oscuro, Delitto in Strada Maggiore, La veggente di via de’ Toschi e la fortunata serie con protagonista l’avogadore Marco Pisani (Scarlatto veneziano, Oro veneziano, Sipario veneziano, Crociata veneziana, Biondo veneziano e Oriente veneziano), tradotta in Francia, Spagna e Gran Bretagna, nonché il suo spin-off La congiura dei veleni, ambientato nella Roma di papa Lambertini.
Maria Luisa Minarelli è tornata di recente in libreria con il romanzo giallo noir L’ultima canzone all’Eden per la casa editrice Indomitus Publishing. Ne parliamo con lei per la nostra rubrica Libri e Scrittori.
Maria Luisa Minarelli, ben trovata su La Gazzetta dello Spettacolo. Con questo nuovo libro ti cimenti in un periodo storico che non avevi mai trattato prima?
Ringrazio per l’invito, che mi lusinga. Il ventennio fascista è un periodo che interessa molto ogni scrittore che sia portato all’indagine storica. Quindi l’ho affrontato anni fa col romanzo “Un cuore oscuro” e l’ho ripreso per la serie di gialli storici ambientati a Bologna negli anni Trenta dei quali “L’ultima canzone” è appunto il terzo. I precedenti sono “Delitto in Strada Maggiore” e “La veggente di via de’ Toschi.” Per me è una sfida arrivare a capire come in quegli anni tanta gente si sia lasciata affascinare da un regime oppressivo e roboante. Tra i miei personaggi, anche secondari, ho cercato di ricostruire il campionario degli atteggiamenti degli italiani. C’era chi ci credeva davvero, chi fingeva per trarne vantaggi personali, chi abbozzava per amore di pace, e c’era anche chi si rendeva conto che la situazione internazionale ci avrebbe precipitati verso la catastrofe, ma il partito aveva la forza di sgominare gli oppositori.
Quali sono i temi principali affrontati?
“L’ultima canzone all’Eden” è un giallo storico, e la struttura del romanzo è costituita dalle indagini seguite alla morte improvvisa sul palcoscenico di una bella e famosa cantante. Quindi mi sono divertita a ricostruire gli ambienti del teatro e dell’alta società bolognese dell’epoca, mescolando personaggi di fantasia, i protagonisti della mia storia, con personalità realmente esistite. Ma sottesa alle vicende dell’indagine c’è l’esame storico dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti del fascismo. Atteggiamento non univoco, in quanto nella Curia conviveva chi approvava il regime e chi, come il papa Pio XI, si batteva per conservare alla Chiesa il monopolio della guida spirituale.
Tornano le indagini dell’amato maresciallo Righi, ma quale ruolo svolge, invece, Jacopo Grimani nell’indagine?
Vittorio Righi è un idealista che desidera il trionfo della giustizia, ma ha capito, dati i tempi, che può realizzarlo solo nell’ambito delle sue indagini di polizia, nelle quali deve rispettare regole militari. Jacopo invece è la sua longa manus oscura, che laddove le mansioni dei carabinieri non arrivano può mettere a disposizione i suoi capitali e le sue conoscenze altolocate. Da un romanzo all’altro ambedue i personaggi subiscono, come avviene alle persone reali, una certa evoluzione. Vittorio si fa più ardito e sicuro di sé, Jacopo svela invece i suoi lati umani e dolorosi e l’empatia verso chi soffre.
La donna nella società italiana degli anni ’30 come viene rappresentata?
Purtroppo uno scrittore non ha molti margini di manovra nella rappresentazione dell’immagine femminile del Ventennio. Il regime ribadiva fin troppo che il posto delle donne era la casa e ogni tipo di direttiva spettava agli uomini. Viene da pensare che l’apparato della mistica maschilista del regime si sentisse un po’ traballante qualora avesse dovuto fronteggiare il pensiero femminile. A ogni modo, a tenere le donne al loro posto ci pensavano le norme e le leggi. Alle donne appena sposate era chiesto di dimettersi dal lavoro, la maggior parte delle professioni erano sbarrate, erano approvate le maestre, che gestivano un insegnamento molto simile alla missione di madre di famiglia, ma, per esempio nei Licei, le donne non potevano insegnare le materie umanistiche, come se il loro pensiero potesse confondere gli allievi. Basta sfogliare una qualsiasi delle riviste femminili dell’epoca per annegare in un mare di pregiudizi oltraggiosi e nell’esaltazione delle virtù domestiche. C’era che affermava che il lavoro fuori casa portava ai dissensi nel matrimonio e addirittura alla sterilità. Naturalmente nessuno faceva obiezioni al lavoro delle contadine, lavandaie, domestiche, insomma ai più pesanti lavori manuali.
La famiglia Zangrandi che cosa incarna calata nel contesto storico-culturale di ambientazione?
Gli Zangrandi, protagonisti immaginari del romanzo, sono, come gli altri grandi industriali italiani, gli epigoni degli agrari, i grandi proprietari terrieri che nel biennio rosso 1919/1920 sostennero l’opposizione fascista al nascente socialismo che temevano avrebbe espropriato le loro terre. E una volta instaurato il regime, gli industriali vi aderirono ostentando gelosamente la loro lealtà nell’intento di guadagnare commesse governative e di essere ammessi a far parte di quell’élite che gravitava intorno al potere.
In questo libro troviamo il mondo fascista di Bologna e quello del Vaticano. Passando ora a parlare di Oriente Veneziano, sempre pubblicato con Indomitus Publishing, quali sono i principali conflitti interni e esterni che qui emergono e in che modo la Serenissima e l’impero ottomano sono rappresentati?
“Oriente veneziano” è tutt’altra cosa. Fa parte della serie ambientata a Venezia nel Settecento che ha come protagonisti Marco Pisani, sua moglie Chiara, Nani, il dottor Valentini, l’avvocato Daniele Zen e altri. In particolare “Oriente veneziano” è la storia di una missione diplomatica a Costantinopoli richiesta dallo stesso gran visir Ragip, personaggio storico. È il momento in cui l’impero, abbandonati i costumi cruenti dei secoli precedenti, si apre all’Occidente e vede in Venezia, potenza civile e pacifica, la partner commerciale ideale. Naturalmente anche qui le cose non sono facili e le opposizioni interne al Topkapi, lotte tra concubine, rivalità tra potenti eunuchi, difesa dei privilegi dei visir, faranno precipitare la missione in tragedia. La cosa che, nel corso delle ricerche, ha stupito prima di tutto me stessa è stata la scoperta di quanto gli ottomani fossero all’epoca tolleranti. Sotto il loro impero vivevano differenti etnie, ognuna con le proprie usanze, religione e perfino professione, e tutte convivevano pacificamente. E non compiangiamo troppo le donne dell’harem del sultano: quasi tutte erano ben contente di esserci, e c’era la possibilità di uscirne con un notevole gruzzolo.
La stesura è stata più impegnativa per uno dei due? Se sì, quale e perché?
Ovviamente mi hanno impegnata di più le ricerche per “Oriente veneziano”, ma la stesura de “L’ultima canzone” mi ha tenuta maggiormente sul filo del rasoio di una rappresentazione della realtà nelle sue innumerevoli sfaccettature. Soprattutto intrigante illustrare la posizione del papa Pio XI e dei personaggi della Curia.
Un’ultima domanda Maria Luisa Minarelli… puoi svelarci a cosa stai lavorando in questo momento?
Certo: “L’arciprete di Porta Castiglione”. Siamo sempre a Bologna, fra il ’38 e il ’39, e qui il sostrato della storia sono le persecuzioni contro gli ebrei.