A tu per tu con Alessio Praticò
Abbiamo incontrato il bravissimo Alessio Praticò, che dal 14 marzo è in onda con “Il Cacciatore” su Rai 2, nei panni di Enzo Brusca. Ma nella carriera dell’artista, tanti rilevanti progetti si alternano e si sono alternati, come “Il Miracolo” che andrà in onda su Sky Atlantic dal 28 marzo, o ancora “Trust” di Danny Boyle (in onda in primavera). Al cinema lo abbiamo visto maschile del film “Antonia” e “Lea” di Marco Tullio Giordana.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Alessio Praticò. Sei in TV con la serie Il Cacciatore. Presentami il tuo personaggio…
Nella serie “Il Cacciatore” interpreto Enzo Brusca, fratello di Giovanni, tristemente conosciuto per essere stato uno degli esecutori materiali del delitto del piccolo Giuseppe Di Matteo, insieme a Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo. È un personaggio che vive tantissimi conflitti interni, forse più di tutti. Tra questi, direi, il suo sentirsi poco considerato dal fratello Giovanni che è per lui un modello, da emulare.
Ti assomiglia? In cosa credi di essere diverso da lui?
Direi proprio che è quanto di più lontano da quello che sono. E non solo per via di una condotta di vita completamente opposta alla mia, ma anche per via di un rapporto di odio/amore nei confronti del fratello Giovanni. Atteggiamento forse normale tra fratelli. Io Alessio, invece, sono figlio unico. Però forse potrei riscontrare delle somiglianze nel suo sentirsi molte volte un “pesce fuor d’acqua”. Del resto, chi di noi non ha mai provato, nella propria vita, almeno una volta, questa sensazione?
Cosa pensi di aver donato al tuo personaggio e cosa pensi che ti abbia donato lui?
Quello che ho fatto è stato ricercare le singole sfumature del mio Enzo. Entrare “nell’umano” del personaggio. Il rischio nell’interpretare un ruolo “da cattivo” è quello di cadere nello stereotipo. O peggio di giudicare il personaggio. L’attore non deve farlo, deve portare avanti il “modus operandi” del personaggio stesso, giusto o sbagliato che sia. Ho lavorato sulla sensazione di inadeguatezza di Enzo, inadeguatezza col mondo che gli sta intorno, inadeguatezza con il fratello, che per lui è un modello, da imitare e a cui aspirare. Invece credo che “lui” mi abbia portato necessariamente a dover ricreare una sorta di empatia, tipica di chi ha un fratello o una sorella. Che per me è una cosa sconosciuta o comunque nuova.
Cosa rappresenta per te questa esperienza?
Ogni esperienza per me rappresenta una crescita. Soprattutto quando ti confronti con grandi professionisti. Ogni singola persona ti lascia inevitabilmente un qualcosa. Sta a noi riuscire ad assorbirla, essere come spugne, per crescere e migliorare, sempre di più. Questa esperienza è una di quelle. Posso dire che c’è stato un bellissimo gioco di squadra e tantissima “umanità” da parte di tutti. E non è scontato. Quindi direi, anzi sottoscrivo: è stata un’esperienza fantastica. E sono felice di essere stato parte di questo bellissimo progetto.
Perché bisogna guardare Il Cacciatore?
Potrei elencarne tantissimi di motivi per me molto validi. Mi limiterò a dire, perché è una serie veramente ben fatta che racconta un arco storico temporale del nostro Paese di solito poco esplorato, il periodo degli anni ’90, successivo alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Perché la narrazione degli eventi è fedelissima e avviene attraverso due punti di vista, quello di chi combatte il male e quello di chi lo porta avanti. Così, si ha sempre una visione d’insieme, a 360 gradi. E poi perché lancia un messaggio importante e molto chiaro ovvero che perseguire il bene, sempre e a tutti i costi (ed è quello che fa il protagonista, Saverio Barone, con la sua squadra), citando l’amico e collega Francesco Montanari, è “cool”! Sì, è proprio vero, “il bene è cool”.
Come é stato lavorare con il cast e con i registi?
É stato molto bello, davvero. Sul set c’era sempre un clima familiare, un clima sereno. Questo non può che essere d’aiuto per il proprio lavoro. Si sono creati dei bei rapporti umani e di amicizia, che vanno oltre il set. Una gran bella squadra e un gran bel lavoro di squadra, come dicevo.
Prossimamente ti vedremo su Sky Atlantic con la serie di Niccolò Ammaniti, “Il miracolo”. Parlami del progetto e del tuo personaggio…
In realtà non posso ancora dire molto. Posso dire però che si tratta di un progetto ambizioso, un progetto che sposta la narrazione su atmosfere distopiche, mistery e a tratti fantasy. Atmosfere solitamente poco percorse all’interno del panorama italiano. Ne “Il Miracolo” invece, interpreto Salvo, un giovane padre di famiglia che dovrà affrontare una prova per nulla semplice. Non posso dire di più.
E invece questo personaggio ti assomiglia? Cosa pensi ti abbia donato?
Direi che Salvo per alcuni aspetti mi somigli abbastanza. Quello che forse mi ha donato è una maggiore consapevolezza del fatto che tutto può accadere, all’improvviso. Tutto cambia. Anche quando pensi che le cose non
stiano andando per il verso giusto, in realtà qualcosa accadrà ed è pronta, lì, a palesarsi. E per il lavoro che faccio è il pane quotidiano.
Ma chi è Alessio e come entra nella tua vita la recitazione?
Alessio è un ragazzo timido, sì, sicuramente sono una persona timida, almeno all’inizio. Non saprei descrivermi in toto, in realtà. In ogni caso la recitazione è un qualcosa che mi porto dietro fin da piccolino, dai tempi dell’asilo direi. Ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno fatto amare il Teatro e la recitazione. Poi, un po’ per compiacere i miei e un po’ per una questione di completezza personale, ho preferito portare a termine gli studi in Architettura prima di lanciarmi a pieno con lo studio della recitazione. Dopo la laurea sono entrato infatti alla Scuola del Teatro Stabile di Genova. É lì che è iniziato tutto, in maniera più seria, diciamo.
C’è un ruolo che adesso vorresti ottenere e perché?
Mi piacerebbe confrontarmi su un ruolo che tocchi corde più vicine alla commedia. A teatro mi è capitato diverse volte. Mi piacerebbe quindi affrontare un personaggio all’interno di una commedia anche al cinema o in televisione. Vedremo.
L’augurio che vuoi fare alla persona che sarai?
L’augurio che voglio fare alla persona che sarò è quello di rimanere sempre così come sono, magari con qualche consapevolezza e con un velo di leggerezza in più, che non guasta mai, anzi. Ma sopratutto mi auguro di poter continuare a fare il lavoro che faccio. Poter fare della tua passione, il tuo lavoro, è un privilegio. Quindi mi sento un privilegiato. E non posso fare altro che ringraziare.