Maurizio De Giovanni

Maurizio de Giovanni: un pieno di emozione

Intervista a Maurizio de Giovanni, che con squisita disponibiltà, ci racconta i suoi pensieri tra libri e audiovisivo.

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Maurizio de Giovanni è uno scrittore, sceneggiatore, autore televisivo e drammaturgo di grandissima fama; riassumere le sue opere, le sue realizzazioni, diventa pressochè impossibile ma attraverso questa chiacchierata possiamo scoprire qualcosa in più della sua bella persona e del suo indiscutibile estro creativo.

Maurizio de Giovanni benvenuto sul quotidiano “La Gazzetta dello Spettacolo”, grazie per la sua disponibilità. Quali emozioni sta vivendo dopo il grande successo della fiction “Il Commissario Ricciardi”, di cui Lei è il “papà”?
Sono emozioni forti e contrastanti. Da un lato c’è la felicità, naturalmente. Vedere Ricciardi arrivare così intensamente al pubblico è una gioia enorme. Dall’altro, lo ammetto, c’è una certa sorpresa: questo personaggio è nato in silenzio, sulla carta, e ritrovarmelo così vivo sullo schermo è qualcosa che ancora mi commuove.
E poi c’è un terzo elemento, più divertente. Da quando è andata in onda l’ultima puntata, e ben 6 anni dopo l’uscita del romanzo “Il pianto dell’alba”, molti lettori, anzi più lettrici sicuramente, mi accusano affettuosamente di essere un sadico (per il finale riservato a Enrica). Lo dicono ridendo, ma con un certo coinvolgimento emotivo che mi fa capire quanto quei personaggi siano entrati nel loro cuore».

Maurizio De Giovanni

    Cosa significa per Lei essere narratore?
    «Per me significa ascoltare. Prima ancora di scrivere, bisogna mettersi in una disposizione d’animo attenta, rispettosa. Le storie esistono già: sono intorno a noi, nelle persone che incontriamo, nei loro gesti, nelle loro ferite. Essere narratore è provare a dare a quelle storie una forma che possa essere condivisa, senza tradirle».

    Qual è il segreto, secondo Lei, del grandissimo successo de “Il Commissario Ricciardi”, che ha praticamente messo d’accordo tutti?
    «Se c’è davvero un segreto, credo sia in due qualità del personaggio che sono l’umanità e l’empatia. Ricciardi non è un uomo che osserva da lontano: è un uomo che sente tutto, troppo. Non può scansare il dolore, né il suo né quello degli altri, e questo lo rende immediatamente vicino ai lettori e agli spettatori. Non è un eroe infallibile, non è un duro: è qualcuno che soffre e che continua comunque a fare il proprio dovere, ogni giorno. E forse è proprio questa vulnerabilità, questa capacità di portare il peso degli altri sulle spalle, che crea un legame così forte.
    E poi c’è la cornice della Napoli degli anni ’30, che non è uno sfondo ma un personaggio a sua volta: viva, complessa, profondamente umana. Tutto questo insieme, credo, ha contribuito a questo consenso così ampio».

    Il Commissario Ricciardi, l’Ispettore Lojacono, l’assistente sociale Mina, l’ex agente dei servizi segreti Sara… tante storie, tanti personaggi. Qual è la sua continua fonte d’ispirazione? Con totale ammirazione, le dico che sembra quasi siano gli stessi personaggi a raccontarLe la loro storia…
    «I personaggi arrivano così: bussano piano, ma con una certa insistenza, e continuano a parlare finché non scrivo la loro storia. È un meccanismo misterioso, e va bene così. E poi c’è la città, naturalmente. Napoli è un serbatoio inesauribile di voci, volti, emozioni, contraddizioni. Ogni strada, ogni quartiere, ogni mattina ti regala qualcosa: un gesto, una frase, uno sguardo. È una città che non sta mai ferma e che, in un modo o nell’altro, ti costringe a raccontarla».

    Ha mai avuto difficoltà nello scrivere una “scena” specifica?
    «Le scene più difficili per me sono sempre quelle in cui entrano in gioco i bambini. Penso, per esempio, a Il giorno dei morti o a Buio: raccontare il dolore, la paura o la solitudine attraverso gli occhi di un bambino è qualcosa che richiede un’enorme cautela.
    I bambini non hanno difese, non hanno sovrastrutture: quello che provano è puro, immediato. E proprio per questo la loro sofferenza, anche solo evocata, pesa moltissimo. Scriverla senza cadere nella retorica, e senza mancare di rispetto a quel dolore, è una responsabilità grande.
    Sono le scene in cui più spesso mi fermo, respiro, e ci torno sopra con delicatezza. Perché la fragilità dei piccoli, nella realtà come nella narrativa, è qualcosa che va trattato con estrema attenzione».

    Qual è il suo rapporto con le critiche?
    «Le critiche sono inevitabili e fanno parte del mestiere. Non si può piacere a tutti, e sarebbe anche sospetto se succedesse. L’importante è distinguere tra la critica utile, che ti fa pensare, e quella gratuita, che invece racconta più chi la fa che chi la riceve. Io ascolto le prime e cerco di sorvolare sulle seconde».

    Un consiglio, una frase di cui fa sempre tesoro?
    «Non fare autofiction e rispettare i personaggi. Sembrano banalità, ma sono fondamentali: l’ego è il primo nemico di chi scrive; la mancanza di rispetto verso la storia, il secondo».

    Lei parla spessissimo della sua Napoli, fonte anche d’ispirazione… ma cosa rappresenta per lei la meravigliosa città partenopea?
    «Napoli è il mio orizzonte. È una città che ti chiede molto, e che ti dà moltissimo se sai ascoltarla. È contraddittoria, difficile, bellissima. È un luogo dove la vita trabocca dai marciapiedi, dalle finestre, dalle voci. Per me rappresenta la verità delle emozioni: tutto è un po’ più forte, un po’ più colorato, un po’ più vivo. Non potrei scrivere senza Napoli, nemmeno volendo».

    Maurizio De Giovanni ed il gatto Elvis
    Maurizio De Giovanni ed il gatto Elvis

    La gatta che talvolta si vede in foto con lei… è un super visore ai suoi lavori?
    «Altroché: e non è nemmeno sola. In realtà sono quattro gatti, tutti molto presenti e molto esigenti. Ognuno con il suo carattere, ognuno convinto di essere il vero proprietario di casa, e forse hanno anche ragione.
    Quando scrivo, si sistemano lì intorno: uno sul tavolo, uno vicino alla tastiera, sono compagni silenziosi, ma attentissimi».

    In conclusione le chiedo: nuovi progetti? Nuovi personaggi in cantiere?
    «Ci sono nuovi personaggi che bussano alla porta e chiedono di entrare, e altri già nati che non hanno finito di raccontare quello che devono.
    Posso anticipare che il prossimo libro sarà un nuovo romanzo de I Bastardi di Pizzofalcone. E, naturalmente, ci sono anche altri progetti in movimento, alcune idee che stanno prendendo forma. Diciamo che, nella mia testa, il lavoro non si ferma mai: è un condominio molto affollato».

    Grazie di cuore a Maurizio de Giovanni, per essere stato disponibile e per la sua umiltà, dote assai rara in un mondo che si presenta come una continua competizione.

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