Michaela Ghersi: quando le parole sono possibili

Michaela Ghersi: quando le parole sono possibili

L’importanza della lingua italiana e della sua potenza, raccontata nel mondo moderno dei social dalla giornalista Michaela Ghersi.

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Intervista esclusiva alla giornalista Michaela Ghersi, nota sui social per la sua pagina “Parole_possibili” e per il “SuperLAB“. Luoghi in cui sviscera scientemente la bellezza della lingua italiana, attraverso la sua potenza, le sue vibrazioni e  i suoi colori con tutte le sfumature.

Benvenuta sul quotidiano “La Gazzetta dello Spettacolo” a Michaela Ghersi. A chi ancora non ti conoscesse, ti vorresti presentare? Chi è Michaela Ghersi?
Sono una giornalista che da più di trent’anni lavora con le parole: un’artigiana della parola. Ho scritto di design, moda, arte, architettura, viaggi, costume e società per diverse testate, e oggi continuo a farlo con il progetto Parole possibili. È il luogo dove intreccio la mia esperienza professionale con la passione per la lingua italiana, cercando di restituire bellezza e creatività.

Sulla tua pagina Instagram si legge una frase “Scrivere è dare leggerezza al pensiero”. Ci potresti dire meglio?
Scrivere significa togliere peso al caos che abbiamo dentro. Dare forma alle idee le rende più chiare e più leggere. È come se la parola scritta fosse un aquilone che solleva il pensiero da terra: non lo cancella, ma lo rende maneggevole, condivisibile.

Spesso nei tuoi reel analizzi espressioni e parole, talvolta confrontandole con anglicismi troppo utilizzati nella nostra società. Pensi che la nostra lingua italiana sia talvolta messa da parte per altre?
Sì, accade spesso. Non sono contraria agli anglicismi quando sono necessari, come per la tecnologia, ma osservo un uso disinvolto che rischia di impoverire l’italiano. È una lingua ricchissima, capace di sfumature e invenzioni: il mio lavoro è ricordarlo, restituendo dignità e forza alle parole che già abbiamo.

Tu hai scritto su un post che «ogni fiore che incontriamo è un dono». In questa frase ci vedrei un senso metaforico, lo potresti spiegare?
Un fiore, reale o metaforico, è sempre un incontro inatteso. Può essere una persona, una parola, un momento. Considerarlo un dono significa allenarsi alla gratitudine per ciò che accade e che attraversa il nostro cammino, anche solo per pochi istanti.

In una tua sezione, presente nella rubrica, vi è quella dedicata alle “parole urticanti”. Ci potresti dire quali sono le tue prime 5 e spiegarci il perché?
“Assolutamente” perché è una risposta ambigua.
“Piuttosto che” utilizzato al posto di oppure: e’ un errore insopportabile.
“Un attimino/un momentino”: un diminutivo che svilisce il tempo.
“A prescindere” perché lascia il discorso sospeso: a prescindere da cosa?
“Ciao a tutti”, che nel mio lavoro di divulgazione rompe l’intimità del dialogo diretto con chi ascolta.
Sono urticanti perché tolgono precisione, eleganza o autenticità al discorso.

Di cosa ti occupi nel SuperLAB e a chi è diretto?
Il SuperLAB è uno spazio di approfondimento dedicato agli abbonati, dove ogni settimana pubblico tre contenuti: il sabato mitologia, la domenica italiano e grammatica, il lunedì modi di dire ed espressioni curiose. Mi lascio però guidare anche dalla creatività, dall’attualità e dagli spunti che incontro nel quotidiano: così nascono argomenti inediti. Talvolta inserisco anche temi dedicati all’arte, quando visito una mostra che ritengo interessante e che voglio condividere con chi mi segue.

La poesia ha un posto speciale. Cosa rappresentano per te le parole poetiche? Che immagine assoceresti ad esse?
La poesia è l’arte di dire molto con poco, di racchiudere un sentimento in poche sillabe. Le parole poetiche ci fanno sognare, ci sorprendono, ci toccano all’improvviso. Se penso a un’immagine, è quella di una brezza che muove le vele: non la vedi, ma ne percepisci subito la presenza.

Cosa ti piacerebbe vedere di più in città culturali come, per esempio, Milano, Firenze o Roma e cosa non ci vorresti vedere?
Vorrei più luoghi dove la cultura sia accessibile a tutti. Più spazi di lettura, di teatro, di musica che diventino parte della vita quotidiana. E non vorrei più vedere eventi culturali ridotti a vetrine commerciali: la cultura non è una cornice, è sostanza.

Se tu fossi un romanzo, quale saresti, quale tra i suoi personaggi saresti e perché?
Forse sarei Il barone rampante di Calvino, o meglio Cosimo, che sceglie di vivere sugli alberi senza mai scendere. Perché è un personaggio sospeso: radicato nella realtà, ma sempre con lo sguardo altrove, in cerca di un punto più alto da cui osservare.

Se a Parole possibili tu volessi abbinare un animale, quale sarebbe?
Un gatto certosino: elegante, silenzioso, capace di muoversi tra le parole con agilità, ma anche di fermarsi a contemplare.

A dei ragazzi o a delle persone non abituate a leggere, quali autori consiglieresti?
Per cominciare direi Italo Calvino e Natalia Ginzburg: due autori che restano sempre attuali per chiarezza, ritmo e profondità. Se guardo oltre confine, penso a Murakami: la sua scrittura sospesa tra realtà e sogno ha la forza di catturare anche chi non è abituato a leggere.

Cos’è il silenzio per una che vive di parole e quale dipinto ci assoceresti?
Il silenzio, per chi vive di parole, è un compagno necessario: è la tela bianca su cui le parole possono posarsi. Lo associo a L’Embellie di René Magritte, uno di quei cieli assoluti e blu del Belgio, con nuvole bianche sospese che sembrano una fantasia. In quel dipinto una porta aperta si confonde con il cielo e con l’orizzonte, creando un varco inatteso: dentro e fuori si mescolano, realtà e immaginazione si incontrano. Il silenzio è proprio questo: una soglia invisibile che ci solleva e ci invita a sostare, ad ascoltare, a sognare.

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