Barbara Sirotti: una testimonianza in quel di Venezia
Si avvicina la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ed incontriamo Barbara Sirotti che ci parla di Aria e Libera.
Una testimonianza, quella che Barbara Sirotti vuole portare ai molti con i suoi corti, “Aria” e “Libera”, atti a parlare di violenza, di qualcosa di forte e personale vissuto, purtroppo e inaspettatamente, in prima persona…
L’intervista a Barbara Sirotti
Benvenuta sul quotidiano “La Gazzetta dello Spettacolo”, Barbara Sirotti. Cosa puoi dirci sui corti realizzati recentemente, “Aria” e “Libera”, che a breve verranno presentati all’Italian Pavilion in quel di Venezia?
Grazie per questo spazio. “Aria” e “Libera” sono due corti, anzi un ‘doppio-corto’, e prendono spunto da una ‘forte’ esperienza personale. Sono stata vittima di una violenza fisica del tutto inaspettata, sconvolgente, da parte del mio ex compagno. Nulla di nuovo, si potrebbe dire, dati gli elementi che vengono riportati quasi quotidianamente dai fatti di cronaca. Il copione, difatti, è stato esattamente quello. Ho rischiato di morire soffocata e, ‘oggi’, ritengo sia un grande onore poter portare all’Italian Pavilion, nell’ambito della Mostra Internazionale D’arte Cinematografica, per portare, così, la mia testimonianza attraverso il linguaggio del cinema.
Un tema fondamentale, quello di cui parli, legato alla violenza, ad importanti abusi. Quali messaggi lanciare, quali maggiori attenzioni pensi sia necessario apportare?
Il tema è purtroppo estremamente attuale, da tempo universale, e ci costringe a più di una riflessione. Sarebbero tante le cose da dire ma, personalmente, le maggiori attenzioni vorrei indirizzarle proprio alle vittime o, spero, ex vittime. Questi corti indie, pieni di cuore, sono per tutte loro. Dalla violenza si può e si deve uscire ed è necessario l’aiuto di un professionista esterno, psicologo o psicoterapeuta, perché realtà di questo genere vengono riconosciute. Le cicatrici resteranno per sempre a dimostrare che da lì sei passata, e da lì uscirà una luce, quella della rinascita. Dal punto di vista sociale, invece, credo sia urgente, fondamentale, un nuovo concetto di educazione ai sentimenti.
A rendere ancora più importanza al progetto la partecipazione di attori del calibro di Luca Ward, Francesco Pannofino, Alex Poli e Benedetta Degli Innocenti. A cosa devi questa ‘scelta’?
Non li ringrazierò mai del tutto, mai abbastanza, per aver preso parte a tutto ciò. Benedetta Degli Innocenti, tra l’altro, interverrà a Venezia di persona. Ho sempre apprezzato queste celebrities e in questo caso specifico hanno apportato un notevole valore aggiunto con le loro interpretazioni e voci ‘famose’, importanti. Una persona a me cara ha interpretato questa mia scelta in tale modo: “Sembra quasi che dopo tutto il trauma, la violenza, gli abusi, resti l’eco di queste Voci, che abitano ancora la mente e girano intorno alla ragione che cerca una vita d’uscita”. È proprio così!
Chi è oggi Barbara Sirotti e cosa manca a questo tuo percorso?
Barbara Sirotti è un’attrice, e autrice, che per una volta ha cercato non di immedesimarsi, ma di rendere universale ciò che ha vissuto in prima persona. Un processo inverso, che mi sta regalando enormi soddisfazioni. Cosa manca? Arrivare a più persone possibili, sollevare la questione, cercare di sensibilizzare le istituzioni ad una riforma generale.
Cosa non è stato ancora raccontato?
Quello che spesso non viene raccontato è il momento successivo alla violenza. In “Libera” ho cercato di mostrarlo, attraverso una narrazione non lineare, dei flashback che non ritornano al punto di partenza. Non è stato raccontato che spesso è impossibile riconoscere i cosiddetti ‘segnali’, perché magari ci si trova in uno stato di dipendenza affettiva.
Progetti futuri di cui poterci parlare?
Dovrei cominciare un nuovo percorso. Il tema è lo stesso ma la trama è completamente diversa, ancora più noir e misteriosa. Una produzione di Malta sta cercando di recuperare i fondi per la scrittura della sceneggiatura e produzione della serie. Continua, inoltre, il mio impegno verso le vittime. Sto seriamente pensando ad un sistema per raggiungere un pubblico ancora più vasto e cercare di mostrare loro che quelli che all’inizio di una relazione malata sono fili, poi si trasformano in corde e poi ancora in catene. E le catene vanno spezzate, per vivere liberi, nel conforto della propria anima.