Il Gufo, di Emma Saponaro

Il Gufo, di Emma Saponaro

È in libreria “Il Gufo”, il nuovo romanzo di Emma Saponaro. Intervista all’autrice per farci raccontare aneddoti e curiosità.

Il libro Il Gufo (Les Flâneurs Edizioni, copertina di Alessandro Arrigo, prefazione di Patrizia Rinaldi) prende il titolo dal soprannome del suo protagonista, un ex commissario di polizia diventato investigatore privato in seguito a una serie di disavventure giudiziarie.

Iracondo, burbero, al limite dell’alcolismo, il Gufo trascina le sue giornate fra una indagine e l’altra, strapazzando chi gli sta vicino, soprattutto le donne, compresa quella che lo ama profondamente. Tutto cambia, quando una mattina il Gufo riceve una misteriosa e-mail firmata “Madre Disperata”. Nella e-mail la donna comincia a raccontare una storia, ma senza entrare troppo nei particolari e promettendo di inviare altre e-mail con le quali spiegherà tutto.

L’e-mail farà deragliare il già compromesso equilibrio del Gufo, scatenando una serie di eventi tutti da gustare, prima di un finale a sorpresa. Ne parliamo con l’autrice per la nostra rubrica Libri e Scrittori.

Emma Saponaro, ben ritrovata su La Gazzetta dello Spettacolo. Ci eravamo lasciate parlando di “Se devo essere una mela”, pubblicato sempre con Les Flâneurs. Oggi cosa ci proponi?
Ben ritrovati a voi. C’è chi lo definisce noir psicologico, chi semplicemente romanzo, comunque questo nuovo testo ha subìto una virata nello stile. L’ironia è concentrata in pochi passi, i più leggeri, e anziché ridere e divertirsi, con Il Gufo, questo il titolo, si inseguono enigmi e misteri, si ipotizzano soluzioni e, soprattutto, si affrontano domande che inducono inevitabilmente a riflessioni più o meno dolorose.

“Il Gufo” affronta temi delicati come la violenza di genere e le discriminazioni sessiste. Rispetto a un tempo cosa abbiamo conquistato come società e dove, invece, ci siamo arenati a tuo avviso?
Questa è una domanda che mi mette in difficoltà, perché non sono mai serena quando si parla di conquiste sociali soprattutto per le donne. Siamo nel terzo millennio e le previsioni dicono che dobbiamo aspettare 134 anni perché uomo e donna siano considerati alla pari. Mi viene da ridere. E da piangere. Meno di ottant’anni fa ancora non votavamo, e dopo aver ottenuto il diritto al voto abbiamo dovuto aspettare trent’anni per la prima ministra. E poi tutte le leggi “a nostro favore” sono a dir poco ridicole. Per esempio, l’abolizione del reato di adulterio, riferito ovviamente a quello femminile perché l’uomo doveva tradire la moglie per dimostrare la sua maschilità. Ebbene, perché mai abbiamo dovuto aspettare il 1981 per l’abolizione del delitto d’onore? Qualcosa non quadra. Tutto questo per dire che anche in Parlamento si riflette una mentalità patriarcale della quale abbiamo assorbito meccanismi, pensieri, comportamenti che sono assolutamente sbagliati, quindi da affrontare e abbattere. Oggi, i femminicidi – anche se alcuni uomini mettono in dubbio perfino questo termine –, le violenze sessuali, le prepotenze, le molestie danno un quadro triste e drammatico della nostra società che ancora considera la donna un possesso, un oggetto, e non soggetto, da dominare. Dobbiamo lavorare tanto, ma tanto, e non mi riferisco solo alla giustizia e alla legislazione: noi donne non siamo violente né vendicative, ma vogliamo capire per attuare un cambiamento, e i veri cambiamenti si fanno a livello sociale e culturale, le condanne non bastano.

Che uomo troviamo dietro all’investigatore?
Guido Vitali, questo il vero nome, è oggi un uomo goffo, panciuto. Ha un passato complicato: una infanzia in cui ha dovuto elemosinare un po’ di amore, brillante nello studio e nella carriera di commissario di polizia poi interrotta a causa di una pesante vicenda giudiziaria a suo carico. Da qui il suo crollo emotivo e un cambiamento di stile di vita. Risolve ogni tribolazione interna ingurgitando whisky, è diffidente e scontroso con l’intero genere umano soprattutto con quello femminile.

Potremmo dire che l’indagine vera è sull’indagante?
In un certo senso, sì. L’indagante è indagato, e lui questo non lo sopporta, è infuriato. Ho scelto una figura importante come può essere un “indagatore” di professione, rappresentante di quella autorità che dovrebbe proteggerti, ma è anch’essa piena di pregiudizi maschilisti e…

Le tematiche legate al mondo femminile non sono solo statistiche o titoli di cronaca: sono esperienze che appartengono a molte di noi, te compresa. Scrivere Il Gufo che cosa ti ha permesso di fare?
Ho parlato con donne che hanno subìto violenza, e questo è stato molto doloroso. Ho vissuto il disagio dell’impotenza e della rabbia, per questo ho voluto dedicare il libro alle nostre sorelle e alle nostre figlie, perché la violenza e la sopraffazione è un problema sociale che riguarda tutte. Anzi, il mio auspicio è che un giorno anche tutti gli uomini ritengano le donne tali, sorelle e figlie, non per proteggerle, ma per rispettarle. Per noi è facile, come me penso che molte donne sentano una ferita ogni volta che leggono una notizia di cronaca di un abuso o una violenza, delitti che la vittima è costretta a portarsi con sé per tutta la vita. E ciò lo ritengo disumano e inaccettabile. Per questo credo anzi sono convinta che sia necessario agire al di là degli interventi legislativi e giudiziari. Bisogna ascoltare questi uomini per capire come intervenire per un cambiamento prima che commettano queste atrocità. Intervenire nelle scuole, nelle famiglie, nei centri di ascolto per uomini violenti. E qualora il reato sia stato commesso, intervenire per un recupero e lavorare sul cambiamento. Altrimenti entreremo in un circolo vizioso dove il condannato dopo pochi anni uscirà con lo stesso rancore, forse accresciuto, verso una moglie o una donna che minaccia il suo “potere”. Infine, la stesura di questo libro è stata impegnativa anche sul piano della documentazione. Ho dovuto interpellare un investigatore privato, leggere libri sui misteri informatici e uno sugli esami autoptici.

Hai apertamente dichiarato, infatti, che la stesura è stata molto travagliata… raccontaci.
Ho voluto raccontare una storia di violenza dal punto di vista di un uomo che non sopporta le donne, quindi sono dovuta entrare nei suoi vestiti ma anche nella sua testa, studiare i tratti psicologici e reagire non come Emma ma come uno che vede in una vittima di stalking, per citare un esempio, una provocatrice che vuole stuzzicare la gelosia del suo ex. Non mi invento nulla, basta farsi un giro sui social o sui forum per vedere di quanto maschilismo siamo impregnati. Un esempio per tutti. È di pochi giorni fa la condanna dell’ex marito di Gisèle Pelicot, la settantaduenne drogata con il Tavor dal marito per dieci anni per farla stuprare (questo è un termine che mi fa male alla testa) da altri cinquanta uomini (e altri trenta pare non siano stati identificati), ebbene, io provo ribrezzo, disgusto per questi uomini che facevano sesso con una donna sedata, ma non siamo tutti uguali: sotto la notizia purtroppo ci sono commenti del tipo “siamo sicuri che lei non fosse consapevole?”. Non mi capacito! Sono veramente disgustata.

Sei founder ed editor di iBookki, progetto editoriale di piattaforma di contenuti narrativi destinati alla Generazione Z. Che tipo di interlocutore, al di là dell’età anagrafica, ti trovi di fronte?
Questo è un progetto al quale tengo molto, perché cerca di recuperare il terreno che abbiamo perso, in quanto a diffusione della lettura di libri e di storie. Detto molto in breve, è una piattaforma sulla quale i ragazzi della generazione Z troveranno racconti scritti da autori professionisti della loro stessa età. Questi autori non solo potranno parlare dei loro stessi problemi, ma condivideranno lo sguardo sul mondo, la lingua, l’approccio alla vita.

Parli spesso di educazione e di stereotipi. In chiusura, qual è il ruolo della scuola in questa rivoluzione culturale?
Ascoltare i bambini, educarli alla affettività, ma soprattutto educare anche al distacco, al fallimento, all’abbandono. A volte i ragazzi, gli adolescenti magari con qualche foruncolo sul viso si sentono brutti, si sentono rifiutati dalla ragazzina che preferisce il figo di turno e allora iniziano a chiudersi in sé stessi. Se incappano nei giri sbagliati, soprattutto in rete esistono gruppi odiatori di donne, è un pericolo…

Ultima cosa ma fondamentale: cambiamo i libri di testo della scuola primaria. Sono farciti di stereotipi che differenziano il genere maschile da quello femminile. Se la differenza tra uomo e donna è culturale (l’uso dell’ipotetico è volutamente sarcastico), allora cerchiamo di non essere complici di uno spartiacque che non esiste!

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