Incontro in un ricordo con… Salvatore Accardo

Salvatore Accardo. Foto di Augusto De Luca

Incontro in un ricordo con… Salvatore Accardo

Per la rubrica “Incontro in un ricordo” di Augusto De Luca, oggi parliamo di Salvatore Accardo e della sua musica.

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Quella mattina andai al Teatro San Carlo di Napoli dove avevo un appuntamento con Salvatore Accardo. Entrai e un signore garbato si offrì di accompagnarmi dal Maestro. Attraversammo stanze, corridoi e cunicoli piccoli e grandi.

Sembrava di essere in un labirinto senza fine. Dopo vari saliscendi, arrivammo in un ambiente stretto e lungo e cominciai a sentire, in lontananza, una stupenda melodia, era il meraviglioso suono di un violino; subito capii di essere vicino alla meta. Entrai in una stanza laterale dove vidi Accardo che, nello scorgermi, smise di suonare e mi salutò agitando l’archetto con la mano destra. Dopo i soliti convenevoli cominciammo a parlare di musica. Cosa poteva chiedergli immediatamente, un amante come me di antiquariato e di oggetti d’arte in generale? “Maestro, ma è vero che lei possiede due autentici violini Stradivari?” Lui, senza parlare, mi fece cenno di seguirlo mentre si dirigeva verso alcune custodie che erano su di una panca in fondo alla stanza.

Delicatamente, come se stesse scoperchiando uno scrigno prezioso, ne aprì una: dentro c’era uno splendido violino. Avrei voluto accostarmi, ma lui, con gentilezza, mi fece capire che non dovevo toccarlo. Rimasi estasiato da quella visione, dalle calde venature di quel legno lavorato trecento anni fa da Antonio Stradivari. Non avevo mai visto così da vicino uno strumento che è sicuramente un’icona per tutti ed ero affascinato, quasi ipnotizzato da quell’opera d’arte. Il Maestro mi confessò che per lui il violino era come il prolungamento del suo corpo, cosa che mi colpì molto, perché anche io ho sempre affermato lo stesso della mia fotocamera.

Dopo tutte queste emozioni ci mettemmo al lavoro. Scattai molto e poi scelsi una polaroid manipolata, che avrei pubblicato nel mio libro “Trentuno napoletani di fine secolo”, per Electa Napoli, 1995, e un’altra in bianco e nero più tradizionale, in cui mi piacevano i suoi occhi socchiusi e il volto assorto e concentrato, come immerso in una sorta d’ispirazione. Quella era stata proprio una mattinata da ricordare e raccontare.

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