Francesco Russo. Foto di Dirk Vogel
Francesco Russo. Foto di Dirk Vogel

Francesco Russo: mai perdere di vista il racconto, la storia

L’attesissimo, “A Classic Horror Story”, approda su Netflix. Tra i protagonisti, troviamo l’attore Francesco Russo, che ricorderete di certo ne “L’amica geniale” e “Ritoccati 2”. Un horror sorprendente, a tratti spiazzante, che, a suo modo, cerca di destrutturare lo stesso genere, rivelandoci un finale del tutto inatteso.

Francesco Russo. Foto di Dirk Vogel
Francesco Russo. Foto di Dirk Vogel

Benvenuto su La Gazzetta dello Spetta­colo, Francesco Russo. Come stai?

Bene, seppure stanco. Sono impegnato nelle prove di, “Ubu re”. Uno spettacolo bello e faticoso, al tempo stesso. Vi invito a venire a vedermi a teatro, ben presto.

Cosa ti ha spinto ad avvicinarti al mondo della recitazione?

Ho iniziato a cinque anni, in una compagnia amatoriale del mio paese. Da allora, non ho più smesso! Ho scelto di perseguire questa strada, e non ho mai cambiato idea su quale dovesse essere il mio percorso. Forse perché sono testardo o, semplicemente, per puro esibizionismo.

Quale insegnamento porti con te, in questo percorso artistico?

Ascolto i registi, ma soprattutto parlo con loro. Cerco di avere un mio ruolo creativo nelle scene, senza dover per forza fungere da macchina che non fa altro che ripetere ciò che gli viene richiesto. Prima di girare, cerco di proporre svolte legate al mio personaggio, in modo da poter fornire maggiore forza al racconto. Soprattutto, quando porto in scena una storia, mi prefiggo di non perdere di vista ciò che sto andando a raccordare. Gli uomini hanno cominciato a emozionarsi raccontandosi attorno a un cerchio di fuoco e sono dell’idea che bisogna sempre tornare a quella dimensione ancestrale, che ci distingue da tutti gli altri animali.

“A Classic horror story”, da questo 14 luglio su Netflix, rappresenta il tuo primo film horror. Pa­rlaci del tuo ruolo..

Interpreto il nerd, il geek, lo sfigato della situazione. Uno degli archetipi del grande cinema horror. Il film, a suo modo, gioca però sulla distruzione, o meglio, la destrutturazione degli archetipi. Più che un film di genere, è un film de-genere. Al contempo, il mio “sfigato”, non è ciò che sembra e, durante la lavorazione, ho cercato di raccontare proprio questo suo cambiamento.

Il genere horror delinea stati d’animo particolari, legati appunto alla paura, a situazioni non di certo quotidiane. Come ti sei preparato ad affrontare tutto ciò?

Ho guardato tantissimi film horror, segnando su di un taccuino le scene che più mi spaventavano. Al contempo, su un altro taccuino, ho segnato le immagini più “sanguinolente”. Quando parlavo, non per forza durante la realizzazione di scene legate alla paura, cercavo di visualizzare davanti agli occhi quelle immagini, in modo che le mie parole stesse fossero pronunciate “in modo sanguinolento”. Non per forza concretamente, ma anche “poeticamente”, volevo che il mio personaggio sputasse sangue.

Francesco Russo. Foto di Dirk Vogel
Francesco Russo. Foto di Dirk Vogel

Qual’era l’atmosfera che si respirava sul set?

Recitare implica un forte scambio di energie, di voglia di fare. Vi è stata grande collaborazione sul set. Devo un grazie enorme a Matilda Lutz, da cui ho appreso davvero tanto, di questo bellissimo mestiere. Ho abusato, e di questo ancora gli sono grato, della pazienza e bravura di Peppino Mazzotta, per non parlare della magnifica troupe che ci ha accompagnato in quelle settimane di riprese. I registi, non ultimi, sono stati disponibili all’ascolto e, come possibile, mi hanno indicato la giusta strada da seguire affinché potessi portare a compimento le scene, nel miglior modo possibile. Addirittura, mi è stata concessa la possibilità di scrivere alcuni dialoghi di mio pugno, libero di poter improvvisare, di poter spaziare tranquillamente.

Puoi anticiparci qualcosa circa i tuoi progetti futuri?

Sto ultimando le riprese della terza stagione de “L’amica geniale”, dove continuo ad impersonare Bruno Soccavo. Nel terzo libro, lo saprete, Bruno mostra le sue ombre, i suoi scheletri nell’armadio. Inoltre, prossimamente, potrete seguirmi in: “Piove”, un horror di Paolo Strippoli e in “Dica trentatré”, di Guido Chiesa, e “Freaks Out”, di Gabriele Mainetti. Dal 20 al 30 di luglio, invece, sarò in scena al Teatro Argentine di Roma, con “Ubu re”, di Alfred Jarry per la regia di Fabio Cherstich.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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