Marco Giuliani: la famiglia, la mia felicità

Marco Giuliani. Foto di Lorenzo Pesce

Marco Giuliani: la famiglia, la mia felicità

Famiglia, lavoro e valori ben radicati nella sua vita, incontriamo l’attore Marco Giuliani che si racconta in questa intervista.

Incontriamo l’attore Marco Giuliani in occasione della messa in onda della prima puntata di “Doppio Gioco”, in onda da martedì 27 maggio, la nuova serie targata Mediaset in cui vestirà i panni di Renato Menin. Un incontro piacevole, con una persona dai valori ben chiari e dalle radici forti, con una sana passione per la vita, per la sua famiglia, per la libertà…

L’intevista a Marco Giuliani

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Marco Giuliani. Da sempre attore di teatro, televisione e cinema, che ricordo hai di quei primi passi mossi nella recitazione, di come tutto ebbe inizio?
Ricordo l’entusiasmo di quei primi passi mossi nella recitazione, anche perché si tratta di qualcosa che ho sempre nutrito dentro di me. Un qualcosa che sentivo la necessità di sbloccare, di poter controllare, sicuro di appartenere ad una schiera di attori che sentiva, appunto, la necessità di sbloccarsi scoprendo poco a poco i propri limiti, le proprie capacità.

Guardando al presente, che bilancio ne fai di questo tuo percorso artistico e quali consapevolezze hai raggiunto con il passare degli anni?
Una consapevolezza tra tutte, la certezza di non dover per forza cercare la felicità all’interno del mio lavoro. Sono in molti a farlo e si, in parte è giusto ma, personalmente, sono dell’idea che ci siano altre strade per poter essere felici, senza doversi, per forza di cose, ‘aggrappare’ ad altro. Riscontro grande felicità, ad esempio, nel poter vivere la mia famiglia, mio figlio, i rapporti umani, diversamente da quando ero giovane.

Marco Giuliani

Un lavoro precario, la recitazione…
Conosciamo bene il sistema italiano, i fondi legati al tax credit, le varie incertezze, così come l’avvento passato del Covid-19, che ha riconfermato tutto ciò, sdoganando i self tape, tutte cose un po’ fuori tempo per me…

Fondamentalmente hai sempre badato all’essenza delle cose e non al doverci essere per forza…
Assolutamente! Oggi contiamo i followers, non le capacità, quelle reali. Non credo di sbagliare, tra l’altro, nel dire che non vengono prodotte chissà quali serie importanti. Spesso si tratta di mosche bianche che si spera possano portare a qualcosa.

Il teatro è parte di un tuo importante vissuto e, a tal proposito, quanto ti manca e cosa ti ha regalato?
Mi piacerebbe tornare in teatro ma, anche in tal caso, c’è il rischio di andarsi a scontrare con una produzione teatrale che non esiste, con la consapevolezza di dover dedicare molto tempo a questo aspetto. Uno ‘scenario’ che amo molto, che mi regala una giusta dose di adrenalina, ma bisogna valutarne ogni singolo aspetto, specie se sei tu a capo ‘dell’impresa’.

Ti ricordo con piacere nella penultima stagione di “Distretto di Polizia” alle prese con un ruolo ambivalente, diviso tra l’essere buono e cinico. Alla fine ha prevalso il bene, per fortuna. Che ricordo hai di quella esperienza, dei tuoi colleghi di set?
Distretto mi ha regalato uno tra i ruoli più importanti che abbia realizzato, insieme alle varie serie legate comunque a Pietro Valsecchi, alla Taodue Film. Il metterci la faccia riconferma quanto sia importante portare in scena dei ruoli che abbiano una giusta credibilità, le giuste possibilità da portare in scena, lasciandoci liberi di gestire i nostri ruoli, differentemente da come accade oggi.

Un ruolo che hai amato particolarmente e che, se te ne fosse concessa l’occasione, riporteresti in vita?
il ruolo interpretato in “Sulla mia pelle”, nel 2018, una singola scena in cui veniva trascritto il reale verbale di Cucchi, un misto tra emozione, perplessità e dolore. Tra le scene più difficili che ho avuto modo di impersonare e a cui avrei voluto donare un finale diverso. L’episodio si verificò proprio dietro casa mia…

Marco Giuliani

Doveva andare proprio così oppure avresti modificato qualcosa, con il senno di poi?
Doveva andare così? Penso di sì! Evidentemente sono accadute cose che hanno fatto in modo che andasse tutto così. Potevo fare di più? Si! Magari, con il senno di poi, alcune cose non le avrei dette, determinati rapporti li avrei gestiti diversamente, così come tante altre cose.

A tuo avviso cosa manca a questo percorso?
Al mio percorso, onestamente, manca ancora tutto. Manca un personaggio fico, bello, sfaccettato, molto difficile, e che mi consenta di mettermi alla prova.

Presto potremo vederti in “Doppio Gioco”, la nuova serie Mediaset con protagonisti Alessandra Mastronardi e Max Tortora. Cosa dire a riguardo?
Prodotta da Fabila Pictures, in “Doppio Gioco” vestirò i panni di Renato Menin, guardaspalle di Tortora.

Cosa ci sarà nel tuo futuro al di là di questo nuovo progetto?
Il prossimo anno comincerò ad insegnare. Prenderò parte a dei laboratori, dei seminari, a stretto contatto con i giovani.

Chi è oggi Marco, quali passioni caratterizzano il tuo vissuto?
Marco è Marco con le sue mille contraddizioni e le sue obiettività. Sono una persona che è ancora alla ricerca di alcune cose, dopo averne trovate tante altre, e che ha ancora tanta voglia di scoprire, di conoscere e conoscersi. Marco è un bravo attore, un padre, un compagno, un chitarrista e tanto altro…

In quanto padre, quali valori provi a radicare in tuo figlio?
Non gli nascondo nulla, nel bene o nel male. Il livello culturale negli ultimi tempi è sceso in una maniera imbarazzante e ciò che spero è soltanto che mio figlio possa vivere la sua vita con il giusto senso e con estrema libertà. Libertà di pensare qualcosa di diverso dagli altri, senza doversi per forza omologare, restando se stesso, senza paura alcuna.

Cosa puoi anticiparci, nei limiti del possibile, sul tuo futuro artistico?
Ci sarà una nuova serie, oltre “Doppio Gioco”, per la Rai, ambientata alla fine della seconda guerra mondiale, “Morbo K”.

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