Vincenzo Antonucci: a Napoli si recita quotidianamente

Vincenzo Antonucci: a Napoli si recita quotidianamente

Intervista con Vincenzo Antonucci, attualmente nel cast di “Piedone – Uno sbirro a Napoli” con Salvatore Esposito.

Incontriamo il giovanissimo attore Vincenzo Antonucci, nel cast di “Come un padre”, e di “Piedone – Uno sbirro a Napoli”, che ci racconta del suo lavoro sul set.

Benvenuto Vincenzo Antonucci sul quotidiano “La Gazzetta dello Spettacolo”. Fai parte del cast di “Piedone – Uno sbirro a Napoli”, interpretare un personaggio come Manuel, profondamente legato al suo territorio e alle sue radici, ti ha posto delle sfide particolari?
L’unica sfida di quando giro una serie, o un film, è quella di personificare al meglio il personaggio che devo interpretare. In questo caso, forse, io sono molto più legato anche di Manuel al mio territorio, ma ho trasferito in lui le vere radici di uno scugnizzo della sanità.
La sfida in questo ruolo è stata quella di riuscire a portare una verità in entrambi i suoi aspetti, quello che segue il bene e quello che diciamo perde un po’ la bussola.

Vincenzo Antonucci sul set di Piedone – Uno sbirro a Napoli con Salvatore Esposito
Vincenzo Antonucci sul set di “Piedone – Uno sbirro a Napoli” con Salvatore Esposito

La tua carriera è profondamente legata alla città di Napoli. In che modo la tua napoletanità ha influenzato la tua formazione artistica e le tue scelte professionali?
Sarà forse che sono nato nel quartiere di Totò, sarà che a Napoli si recita quotidianamente, che mi sono lasciato ispirare da grandi maestri come Eduardo, ma quando ho scoperto il teatro è subito nato un feeling. È soprattutto grazie al teatro napoletano che sono riuscito ad esprimermi e a farmi conoscere. Sarà grazie alla naturalezza, la spontaneità che Napoli mi ha donato, che sono riuscito ad avere le mie prime occasioni. Le mie scelte professionali ricadono principalmente sulle opportunità che mi si sono presentate.

In “Come un padre”, hai avuto l’opportunità di interpretare una storia ispirata alla vita di un uomo che ha cambiato il volto di un quartiere. Come ti sei preparato a questo ruolo e quale impatto ha avuto su di te l’incontro con questa figura?
Incontrare padre Antonio è stato fondamentale nel mio percorso, dico sempre che se non fossi nato e cresciuto qui, probabilmente non avrei scoperto una passione, forse avrei scelto percorsi, lavori o studi diversi. Padre Antonio accende una luce, di solito è cosi che fa, poi sta a te scegliere la tua strada. Grazie al suo modo di fare del bene ho scoperto quello che poi è diventato a tutti gli effetti il mio lavoro.
Per girare la serie “Come un padre”, ispirata al suo libro intitolato “Noi del rione Sanita”, ho provato a staccarmi dalle esperienze raccontate che conosco benissimo, ma l’ho vissuta un po’ da esterno altrimenti sarebbe stato difficile. La serie è comunque romanzata e ispirata alla storia scritta di don Antonio, io mi sono fidato e lasciato guidare totalmente dal regista Luca Miniero, che ringrazio.
Ovviamente è stato bellissimo far parte di un progetto che raccontasse la nostra storia, di come il quartiere Sanità sia cambiato e migliorato. Nel film si parla proprio del teatro in cui sono cresciuto, e spesso mi sono divertito a raccontare agli altri ragazzi del cast o della troupe, le vere storie di queste persone che hanno cambiato un quartiere; spesso sono stati anche loro a chiedermi di raccontargli queste storie o le vicende dei personaggi. È stato un onore per me fare parte sia della vera storia, sia della serie tv targata Rai.

Come hai vissuto il passaggio dal teatro al cinema e alla televisione?
Tutto è successo gradualmente, inizialmente il teatro mi ha offerto molte più possibilità, poi sono nate le prime opportunità nel campo del cinema e della televisione, io non vedevo l’ora, attendevo questo momento proprio perché mi affascinava il settore video. Scelsi come studi alle superiori la fotografia proprio perché mi stuzzicava questo mondo, ho lavorato spesso anche come fotografo, poi col tempo ho capito che preferivo stare avanti la macchina, ma comunque è una passione che mi resta, una skill.

Il tuo impegno nel Teatro Sanità dimostra come l’arte possa essere uno strumento di trasformazione sociale. Come vedi il ruolo del teatro nella società contemporanea, soprattutto in contesti come quello del Rione Sanità?
Il teatro come disciplina credo possa essere inserito in tutti i programmi scolastici, anche nei corsi di formazione sul lavoro. Non devi per forza diventare un attore o un’attrice, ma fare teatro aiuta a fare gruppo, ad aprire la mente, e forse ne avremmo tutti un po’ bisogno dato che ormai si cerca sempre e solo di pensare a se stessi.

Qual è l’aspetto che ti soddisfa di più del tuo lavoro?
La possibilità di poter vivere altre vite, oltre che la mia. Conoscere storie, emozionarti di queste e farle tue. Quando reciti è quasi tutto giustificato, io lascio sempre nel camerino la vita di Vincenzo, i miei problemi e la quotidianità. Il mio lavoro fa sì che possa staccarmi dalla realtà ed è questo l’aspetto che amo di più.

Il futuro di Vincenzo Antonucci?
Se potessi scrivere io il mio futuro, mi vedrei molto al cinema, nel grande schermo più che in quello piccolo. Mi piace la televisione ma quando sono stato alla Mostra del Cinema di Venezia con “La Santa piccola” di cui ero protagonista, è stato meraviglioso. Mi piacerebbe poter vivere altre esperienze del genere, altri festival prestigiosi come questo e perché no arrivare ai David.

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