L’udienza, scritta in soli due giorni nell’estate del 1975 e ispirata ad una personale esperienza di Vàclav Havel, ha come tema il rapporto del singolo e della società con il potere. Viene presentato un colloquio al tempo stesso realissimo e grottesco: dove il protagonista, un drammaturgo perseguitato per le sue idee di denuncia sociale, è costretto a guadagnarsi da vivere come scaricatore di barili in uno squallido birrificio.
Sarà ricevuto dal “capo”, un rozzo ed alcolizzato individuo, da cui dipende tutto il suo destino. In questa “udienza” vengono messi in evidenza i meccanismi che portano alla repressione delle libertà individuali, che trasformano gli uomini in delatori, in vittime e carnefici. Vengono analizzati anche quei processi che portano l’individuo ad adattarsi al sistema, senza far nulla per poterlo cambiare dal suo interno. Ferdinando, l’intellettuale, infatti rifiuta i compromessi fino ad un certo punto mentre il capo rinuncerebbe volentieri a qualche privilegio garantito dalla sua classe sociale per un po’ di immateriale gloria.
L’amara conclusione si riflette nella consapevolezza e nella presa di coscienza che la solidarietà, tra gli individui, è possibile solo sul piano materiale. «Ciò che mi ha colpito subito del testo – racconta Antimo Casertano – è l’incredibile attualità. Leggendo e rileggendo non facevano altro che saltare fuori riferimenti all’oggi, come il dover scendere a compromessi anche per ottenere ciò che spetta di diritto».