Mino Caprio: impegno e dedizione in ogni cosa che faccio

Mino Caprio: impegno e dedizione in ogni cosa che faccio

Intervista a Mino Caprio: dal doppiaggio alla recitazione, ecco quello che sono i suoi racconti di carriera.

Una voce a tutti nota quella di Mino Caprio che ricordiamo per Martin Short, Peter Griffin nella serie I Griffin e non solo. Una persona dai modi gentili, con un ampio vissuto da ricordare, e qualche piccolo rimpianto. I più fortunati potranno incontrarlo questo 20 ottobre in occasione de “Suggestioni dal set”, a Roma.

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Mino Caprio. Presto prenderai parte all’evento realizzato da Marco Bonardelli, “Suggestioni dal set”, giunto alla sua undicesima edizione, in programma il 20 ottobre nell’ambito della XIX Festa del Cinema di Roma. Quali sensazioni a riguardo?
Vivo in maniera distaccata, paradossalmente, le situazioni legate al mio lavoro, e ciò da sempre. Credo di aver dato più io al doppiaggio, durante la mia carriera, che il contrario. Bisogna essere, a mio parere, dei buoni venditori di sé stessi, cosa che io non sono stato affatto, per poter affrontare questo mestiere in toto. Mi sono reso conto, quando facevo teatro, che i colleghi simpatizzavano per me ma, con il passare degli anni, ho forse perso quell’innamoramento che avevo per la professione. Quando ero con loro preferivo dedicarmi a visitare chiese, piazze e quanto altro con un fare ‘disincantato’ al vissuto lavorativo iniziale. Mio fratello mi ripeteva spesso che avrei dovuto fare tutt’altro e quindi oggi posso dirti che faccio l’attore ma è come se non lo fossi del tutto, non in piena regola, almeno… e ciò senza pentimento alcuno.

Che ricordo hai di quei primi passi mossi nella recitazione e nel doppiaggio?
Ho incontrato attori, divenuti poi colleghi, davvero importanti, affrontando tutto con i piedi per terra, restando fedele al mio carattere, al mio essere.

Cosa è mancato a questo tuo percorso di vita?
Nel doppiaggio, in particolar modo, mi è dispiaciuto non poter prestare la voce a Woody Allen. Ho avuto come maestro proprio Oreste Lionello, con cui nell’83 ho realizzato un provino per interpretare un grande attore inglese, e l’approccio che lui ebbe come voce di Allen ha rappresentato qualcosa di splendido. Lo ricordiamo, in particolare, nel Bagaglino e come uomo di grande cultura. L’ho subito adorato, sin dal primo provino dinanzi al leggio. Ricordo che un tempo mi divertivo anche ad imitarlo. Quando è venuto a mancare, con mio grande dispiacere, il ‘suo’ Allen realizzava regie per poi riprendere a lavorare da poco come attore. Ero in montagna, con la famiglia, nella Val Senales, in Alto Adige e ricordo che lasciai l’auto a mia moglie di fretta e furia e presi il treno per tornare a Roma, a tarda sera, per tentare il provino per la sua voce. Purtroppo non vinsi, andò avanti Leo Gullotta, bravissimo tra l’altro, ma porto con me quel dispiacere. Avrei voluto avere la possibilità di essere anche voce per Robin Williams, per cui fu poi scelto Carlo Valli. Un ultimo rammarico è legato alla tournée con Salvo Randone a cui presi parte quando aveva ormai compiuto ottant’anni. Non mi sarebbe dispiaciuto ‘accompagnarlo’ ancora per un po’ in scena.

Una voce particolare e molto bella, capace di entrare nelle case degli italiani, quella di Mino Caprio…
Non ti nascondo che vengo riconosciuto spessissimo, sia in situazioni particolari come ospedali e quanto di simile, e in contesti come metropolitane, persino in momenti di grande ‘confusione’, segno che la mia voce è nei cuori altrui. È di certo una fortuna poter fare un lavoro del genere, essere ‘amati’, apprezzati, nel nostro piccolo.

Se di ‘amore’ si parla, cosa ti ha appagato di più tra la recitazione e il doppiaggio?
La recitazione ti porta ad utilizzare il corpo, la propria espressività, diversamente il doppiaggio. Ho amato interpretare ruoli come “La verità sta in cielo”, per la regia di R.Faenza, con l’occasione di potermi rivedere al cinema, così come ho apprezzato la partecipazione in due episodi di “Don Matteo”. Mi offrono spesso ruoli del genere, cardinali o nonni, per cui mia moglie mi prende spesso in giro. Cambiare mi piace, mi affascina, motivo per cui quando vengo scelto sono felice di poter spaziare, che si tratti di recitazione o doppiaggio, vi è poca distinzione. Metto impegno e dedizione in ogni cosa che faccio, con la passione di sempre.

Un consiglio a chi vorrebbe poter intraprendere un cammino legato al doppiaggio, alla recitazione?
Invito i giovani ad abituarsi a connettersi con i vecchi sceneggiati dell’epoca realizzati da grandi attori, e questo tramite Rai Play. Temi ancora attuali, maestri da poter ancora apprezzare. Le fiction di oggi sono caratterizzate da attori acerbi, per la maggiore, motivo per cui si ricorre ai soliti, Favino, Elio Germano, Fabrizio Giffuni, Toni Servillo e simili. Qualche tempo fa ho rivisto, ancora una volta, una bravissima Lea Massari in Anna Karenina, di una bravura e verità come poche. Lo studio è fondamentale, che si tratti di letteratura italiana o straniera, e lo stesso vale per il doppiaggio. I film doppiati da Rinaldi, Barbetti, Sibaldi, Di Meo, la Savagnone e tanti altri sono da apprezzare sempre più, con un occhio abbastanza scettico sulle accademie. Non portano nulla di nuovo, non regalano nuova linfa, migliorie e insegnamenti ai giovani di oggi.

Lascia un commento