locandina "Il mio Viviani"
locandina "Il mio Viviani"

Raffaele Viviani…l’ indimenticato capostipite

locandina "Il mio Viviani"
locandina “Il mio Viviani”

Mario Aterrano è andato in scena al Nuovo teatro San Carluccio  il 7 maggio c.a. con uno spettacolo intitolato “Il mio Viviani” nell’ ambito della rassegna “Le primtemps des Poetes et des Artistes”, curata da Giuseppe Mascolo.

Figlio di un nobile padre, questo spettacolo nasce infatti dall’ esperienza di Ateranno con “Viviani La nuit”, altro testo teatrale di suo pugno, sempre dedicato all’ autore stabiese; e nasce proprio per la rassegna curata da Mascolo, per l’ edizione del Maggio d’ arte al San Carluccio. Contrariamente a quanto si assiste di solito nel teatro di Via Chiaia, questo non è un “one man show”. Con lui ci sono Anna Spagnuolo che inizia con un’ intensa e sentita interpretazione di “O mare ‘e Margellina” per poi vestire i panni di Prezzetella prima e della donna che, inutilmente anzi volutamente, attende il ritorno del “padrone della sua vita”; eccellente la sua interpretazione di “Bambenella”, senza sbavature interpretative né sudditanze di nessun genere nei confronti della Bambenella per eccellenza e dal ruolo della prostituta a quello di Ermelinda -che saluta addolorata il marito che parte per terre lontane- il passo è  breve: il cambio di scialle e una bella dose di talento.

Altra figura femminile di notevole rilievo è Thayla Orefice: statuaria, sfrontata, malinconica, impudente nel ruolo della scugnizza a Piedigrotta e tra il pubblico del varietè , ha dato il meglio di sé recitando -insieme ad Aterrano- il ruolo della moglie che vede tornare il marito dalla guerra essendosi intanto rifatta una vita insieme ad un altro. Intensa, sensuale e disperata, più che un tipo di Viviani sembra un archetipo: la drammaticità delle sue scelte e della sua vicenda, taciuta sussurrata urlata, sembra lo strumento per la penna di Viviani per dar voce alla tragedia di un’ intera città in balìa del dopoguerra, senza la leggerezza, l’ ironia e il sarcasmo di quella “Napoli Milionaria” che prima del buio della notte, cerca di viversi ogni ora di sole spensieratamente. Viviani, invece, è restìo a lasciare i vicoli e gli uomini che li abitano e li animano: ‘o scupatore, ‘o muzzunaro, ‘o giurnalaio (comunemente conosciuto come lo strillone, rivela il pensiero -assolutamente attuale- dell’ autore sulla stampa e sulle tecniche di comunicazione e spiega a modo suo il mestiere del giornalista a quelli di ieri e a quelli di oggi), le donne che vivono in situazioni di concubinaggio o quelle votate al mestiere più antico del mondo non sono oggetto della sua critica o del suo giudizio. Li lascia parlare, dà loro voce affinché espongano il loro punto di vista e raccontino la storia che li riguarda.

Estremamente incisiva a tal riguardo è la presenza di Ciro Meglio: bellissima voce, timbrica giustamente differente da quella di Aterrano, canta accompagnato da Ciro Cascino al piano, inappuntabile presenza scenica per tutta la durata della pièce; a lui il regista affida il pensiero di Viviani sul fatto che -allora come oggi- nemo propheta in patria e che raramente -anche questo, concetto attualissimo-  la città di Partenope difenda le sue eccellenze. Marco Palmieri dà qui un’ altra bella prova del suo talento; belle collaborazioni al suo attivo, dall’ ultima volta che chi scrive lo ha visto in  teatro (“Nanà” con Caterina De Santis) ha saputo potenziare la sua capacità di improvvisazione ma ha anche affinato l’abilità di introspezione. Il suo Mimì di Montemurro, in mezzo alla bolgia scanzonata e scostumata di Piedigrotta, assume, in alcuni punti, lo spessore della voce dello stesso Viviani.

Infine, Mario Aterrano: autore, regista e interprete di questo suo Viviani, scrive un testo che va ben oltre la messa in scena in quattro quadri. Si tratta di un vero e proprio spettacolo, il cui filo conduttore è lui stesso e la sua indiscussa attitudine alla recitazione, summa di un talento innato e di anni di studio e di esperienze che lo hanno visto recitare (al cinema come in teatro) con nomi di grande rilevanza (Taranto e la Conte, solo per citarne alcuni). Si cambia d’ abito con la stessa velocità di Arturo Brachetti per non spezzare il filo della narrazione, recita e canta, balla e monta sulle sedie della scenografia. Guappo ‘nnamurato, reduce di guerra, canzoni di giacca e serenate addolorate: Aterrano sceglie con cura il materiale da proporre al pubblico e regala risate e sorrisi, ma anche qualche furtiva lacrima. Le coreografie dello spettacolo sono affidate a Carolina Aterrano, assolutamente indovinati gli inserti tersicorei; il fascino del San Carluccio è anche questo, lo scricchiolìo dei passi di una danseuse sulle tavole del palcoscenico.

Su Monica Lucignano

Redattore