Filippo De Masi è nato a Roma in una famiglia nella quale nel salone c’erano la moviola di sua madre, direttrice di doppiaggio, e lo studio di suo padre che componeva musica da film.
Autore televisivo e cinematografico di lunga esperienza, regista di programmi di grande popolarità, ha scritto il libro Le case hanno gli occhi pubblicato di recente da Pegasus Edition nella collana Blacknight.
Benvenuto, Filippo De Masi, su La Gazzetta dello Spettacolo. Regista da una vita, e per vocazione. Scrittore da pochissimo, e per caso. È corretto? Come riassumeresti questi due affermazioni, per quanto riguarda te?
Ho iniziato ad appassionarmi al Cinema fin da bambino, quando andavo nelle sale di registrazione e mio padre, compositore, mi teneva in braccio mentre dirigeva l’orchestra che eseguiva le sue colonne sonore. Allora, gli spezzoni dei film scorrevano in un grande schermo e i musicisti suonavano proprio “sulle immagini” anche per dare modo al regista di osservare l’effetto delle musiche composte per la pellicola, direttamente sulle scene. Per me era semplicemente magia! Ho capito che avrei fatto il regista guardando “Pinocchio” di Comencini in televisione: veder “vivere” un romanzo come quello di Collodi (che la nonna mi leggeva prima di dormire) fu una delle emozioni più forti di tutta l’infanzia! Indubbiamente la mia vocazione nacque in quel momento.
A tredici anni, poi, mi divertivo a inventare sceneggiature che mettevo nero su bianco con una vecchia macchina da scrivere che ancora conservo gelosamente. Il mio sogno era girare quelle storie che “partorivo” a ritmi vertiginosi e mi accorsi che anche la scrittura mi dava la possibilità di sognare. Oggi, rileggendo quelle cose, mi accorgo che per quanto siano ingenue e acerbe, contengono una passione incredibile. Tutto questo per dire che, forse, più che “scrittore per caso”, direi “scrittore per destino”.
Da dove nasce l’amore per il genere horror e per i thriller? Quali i tuoi modelli nel genere letterario (e anche cinematografico?)
Alla fine degli anni settanta, inizio ottanta, nelle prime televisioni private ad orari “proibiti” andavano in onda i film horror e io aspettavo tutto il giorno per arrivare a quel momento. Me li vedevo da solo e mi facevano una paura da matti, ma non riuscivo a rinunciare a quelle scariche di adrenalina! Freda, Fulci, Bava, Argento, Pupi Avati, Carpenter e tanti altri mi hanno regalato fiumi di brividi che devono essere entrati nel mio DNA. Passando alla letteratura, per quanto in gioventù abbia letto davvero di tutto, da Kundera a Tolstoj, da Tolkien a Balzac, passando per Pasolini ed Eco, provavo un piacere quasi fisico a divorare i romanzi di Stephen King, senza dubbio il mio autore preferito. Da lì ho iniziato ad appassionarmi a Stoker, Shelley, senza dimenticare i grandi maestri, Kafka e Lovecraft. Questi sono stati senza dubbio i miei modelli.
Tuo padre che cosa ti ha insegnato a livello umano ed artistico? In che cosa gli assomigli?
Mio padre è stato per me una figura centrale, un’immensa sorgente dalla quale apprendere ogni cosa, umanamente e professionalmente. Lui amava dire che la “sensibilità” è la dote più importante e io ho impiegato tanto tempo per comprendere a fondo questo concetto straordinario. Un giorno, assistendo ad una sua lezione in conservatorio, dove insegnava esercitazioni orchestrali, fui testimone di un episodio che mi colpì profondamente: durante un passaggio piuttosto delicato un trombettista sbagliò una nota e lui fermò l’orchestra. Il giovane allievo si scusò asserendo di essersi distratto e mio padre gli disse “Vedi, caro, non è una questione di concentrazione, è una questione di “sensibilità!”
Là per là non feci tanto caso a quelle parole poi, ripensandoci, capii che valevano più quelle poche parole di ogni altro insegnamento.
Artisticamente lui era un “top player”, io letterariamente sono ancora agli esordi, tuttavia su una cosa siamo molto simili, quando facciamo un lavoro, per modesto che sia, mettiamo sempre il massimo dell’impegno e della serietà, sia per il rispetto che portiamo per gli altri, soprattutto per il rispetto che dobbiamo a noi stessi.
Progetti futuri di Filippo De Masi?
Troppi! Ma sono un “gemelli” e credo sia una nostra caratteristica. Sto finendo di scrivere il prossimo romanzo (al quale lavoro da quando avevo 18 anni) che si chiamerà “I ponti”. Come regista mi occuperò di un programma di Rai Due in onda la domenica pomeriggio e sto scrivendo, con un carissimo amico, un reality un po’ diverso, del quale devo mantenere il riservo più assoluto. Infine, mi sto muovendo per far approdare sugli schermi “Le case hanno gli occhi” che, come dicono in molti, sarebbe un ottimo soggetto per un film o una serie.
Nel mondo dello spettacolo, chi sono i tuoi amici anche nella vita?
Ho davvero tanti amici il cui numero cresce ad ogni esperienza lavorativa; con Roberto Giacobbo ho un rapporto speciale perché abbiamo condiviso quasi quindici anni di vita e non solo professionale. Sono in ottimi rapporti anche con un altro gigante della televisione come Osvaldo Bevilacqua. Pure con lui ho lavorato parecchio e devo dire che è stata una fortuna poter firmare un po’ dei suoi programmi. Recentemente ho conosciuto da vicino Massimiliano Ossini perché abbiamo fatto insieme Kalipè, una prima serata realmente speciale. Devo dire che Massimiliano è una “bella persona” sia professionalmente che umanamente!
Nel mondo del Cinema purtroppo molti dei miei amici con la “A” maiuscola non ci sono più, facendo parte della generazione di mio padre; tra questi posso ricordare sicuramente Folco Quilici, il più grande documentarista italiano di tutti i tempi! Un regista col quale ci sentiamo ancora spesso è Enzo Girolami, noto al pubblico come Enzo G. Castellari. Papà ha composto la colonna sonora per una decina di film suoi e queste musiche sono finite nell’ultimo lavoro di Quentin Tarantino, C’era una volta a Hollywood. Enzo, che per me è “Enzino”, è un regista straordinario, a mio giudizio il migliore ed essere cresciuto guardando i suoi film mi ha aiutato tanto. Chiudo questa piccola carrellata con un mito, fuori e dentro lo schermo, Alberto Sordi! Lui era eccezionale, di una generosità che la gente nemmeno s’immagina lontanamente. Mia madre ci ha lavorato per più di cinquant’anni e averlo conosciuto bene è stato un privilegio!
Dopo la pandemia, a che punto sta il mondo del cinema, della tv, del teatro secondo te?
La pandemia ha cambiato tutto il mondo, non solo quello dello spettacolo. Io credo che da ogni esperienza bisogna imparare qualcosa, altrimenti vivere non serve a niente. Se ci soffermiamo a vedere gli aspetti negativi facciamo un errore imperdonabile; facciamo tesoro, invece, di ciò che questo virus ha portato. Intanto cerchiamo di prendere atto del fatto che vaccinandoci abbiamo fatto in modo che il Covid 19, oggi, sia una banale influenza; poi usiamo i fondi a disposizione per far fare un salto di qualità alla transizione ecologica; stiamo distruggendo questo povero pianeta che ci ospita e invece lo dobbiamo lasciare ai nostri nipoti in modo tale che ci possano vivere serenamente… la sensibiltà!
Per quanto riguarda il Cinema, il Teatro e la Televisione le cose stanno tornando alla normalità, secondo me anche migliori. Sarò ottimista, ma vedo che i nuovi progetti nascono con un po’ più di attenzione verso ogni cosa. L’ultimo film di Alessandro Gassman è stato girato “plastic free”, magari non sarà per combattere la pandemia, ma stiamo iniziando finalmente a capire che ad ogni azione, corrisponde una reazione.
Tra dieci anni Filippo De Masi si vede… dove e come?
Se mi avessi fatto questa domanda dieci anni fa, ti avrei risposto che mi sarei visto a “combattere” dietro la telecamera per fare bene il mio lavoro. Oggi ti rispondo che vorrei essere sempre dietro una macchina da presa, magari a dirigere un film (o una serie) tratto dal mio romanzo e magari il romanzo che starò girando lo devo ancora scrivere…