Michele Venitucci

Michele Venitucci: ho imparato a convivere con le mie inquietudini!

Michele Venitucci, bravissimo e versatile attore, che attualmente è presente nel cast de “Fino all’ultimo battito”, il nuovo medical drama ad opera di Cinzia Th. Torrini.

Michele Venitucci

Un incontro profondo, quello che ci regala Michele, legato alle corde della sua professione, della sua anima.

Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo a Michele Venitucci. Come stai?

Sto bene (ride)! Abbiamo vissuto un periodo difficile, ma di arricchimento. Le dinamiche legate allo spettacolo sono ripartite, ma allo stesso tempo, ho una consapevolezza diversa rispetto a prima. Dentro di me vi è qualcosa da risolvere, legato ad una consapevolezza nuova. Abbiamo bisogno, come quando si esce da una riabilitazione, di respirare, di attendere nuovi frutti. Tutto sommato, sono molto sereno!

Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alla recitazione?

Si è trattato di uno scambio, di un passaggio di informazioni e di energie, durante un seminario realizzato nella mia Bari, per cui devo grazie ad una mia insegnante di lettere. Quello è stato il primo contatto, la prima scintilla, legata alla recitazione. Ho poi seguito un secondo corso, con una nuova compagnia, che mi ha portato a pensare a tutto ciò come ad un lavoro. In seguito, ho collaborato con una compagnia locale, prendendo parte ad una prima tournée, per poi partire alla volta di Roma, del Teatro Sistina. Un percorso legato, dunque, al teatro, con successivo incontro con Rubini, che ha rappresentato un ponte, un trampolino di lancio. Una fiamma, quella che mi lega a questo lavoro, che non smette di esistere. Ci sono stati momenti in cui questa fiamma è vacillata, ma non ho mai mollato, nemmeno quando mi è stato chiesto di avere un piano b. Oggi, vi dirò, sono appagato, felice, connesso con il mio lavoro. Mi sento fortunato, perché riesco a vivere del mio lavoro, di quella che, ancora oggi, è la mia strada!

Ti ricordiamo con piacere in “Un Medico in Famiglia”, alcuni anni fa. Un personaggio, il tuo Stefano, davvero ben riuscito, ancora vivo nei cuori dei telespettatori..

È sorprendente ciò che mi è tornato indietro di quel personaggio! Ancora oggi, a distanza di anni, sento le persone parlare bene di “Stefano”, di quanto amore ha trasmesso loro. Un ruolo che, ancora oggi, annovero tra le cose importanti. La serie, quell’anno, aveva subito uno strappo, uno stravolgimento legato a quelle che erano le figure pioniere, eppure ha avuto comunque successo. Sono davvero grato a quell’esperienza!

Attualmente sei nel cast de “Fino all’ultimo battito”, la nuova fiction di Rai Uno. Parlaci del tuo personaggio..

“Fino all’ultimo battito” mi ha permesso di lavorare in un periodo difficile, specie per quanto riguarda il mio settore e, cosa non da poco, mi ha permesso di tornare nella mia amata Puglia. Non prendevo parte ad una serie televisiva così lunga da un po’. Una macchina da guerra, legata a tempistiche e quantità di scene abbastanza impegnative. Non è stato facile riprendere quel ritmo. È stato molto piacevole l’incontro con la Torrini, una grande professionista. Il mio personaggio ha una storia parallela, a sé. Lontano da protagonisti ed antagonisti, va a contrapporsi a tutto ciò, con lo scopo di recuperare il rapporto con la figlia. Un viaggio all’inferno, un qualcosa di poco accennato, legato ad un infortunio calcistico, che sfocia nella depressione, nella perdita di tutto ciò che aveva ed amava. Porta dunque con sé una maschera, sinonimo di spensieratezza, pur di nascondere le fragilità che lo caratterizzano. Le sue vicende, ad ogni modo, si scontrano con quelle del protagonista, Marco Bocci, per poi trasformarsi in una specie di detective, seguendo il medico, provando a mostrare i suoi cambiamenti, screditandolo. Un viaggio isolato, quello che il mio personaggio compie nella serie, che mi ha completamente conquistato.

Una fiction, quella che abbiamo modo di vedere, realizzata al tempo del Covid-19..

Le riprese sono iniziate a metà settembre, durante i vari cambi di colore che viveva la nostra Italia. Vedere luoghi deserti e, al contempo, incontrare persone sotto stretto controllo, era un privilegio. Il non toccarsi prima del ciak, il non sfiorarsi anche con la troupe, non è stato di certo facile. Di certo, è stato ancora più faticoso per chi doveva gestirci. Avevo con me, in Puglia, la mia famiglia da cui, in determinati momenti, non tornavo. Ha rappresentato comunque un’esperienza pazzesca!

Quanto sei riuscito a realizzare dei sogni che avevi da ragazzo?

Difficile essere breve, conciso, ma ci proverò. I miei sogni e le mie ambizioni non sono ancora svanite, assopite. Talvolta, lo riconosco, la rabbia rischiava di trasformare il tutto in frustrazione. Continuo a lavorare sulla mia persona, andando alla ricerca della mia stessa conoscenza. Ho però compreso che, se qualcosa non mi soddisfa, non ha senso continuare a fare la guerra da solo. Il percorso lavorativo, non deve essere soltanto invaso dall’ambizione carrieristica. Ho compreso, in questo momento, che ho semplicemente voglia di lavorare. Avevo intrapreso uno spettacolo teatrale con Alessandro Haber, “Morte di un commesso viaggiatore”, ma il Covid-19 ha interrotto questa corsa. Ho compreso, dunque, che le cose belle restano, così come i tentativi di ricerca, personali e profondi. L’attore ha bisogno di lavorare, di partecipare ad un progetto. Ho imparato a convivere con le mie inquietudini.

Michele Venitucci

Hai realizzato un tuo primo soggetto, “Istmo”. Possiamo aspettarci un nuovo lavoro, a breve, e di saperti alle prese con la regia, in futuro?

“Istmo” ha rappresentato un vero esperimento, nato da un incontro inaspettato con Carlo Fenizi, sceneggiatore e regista. Avevo l’esigenza di creare un’opportunità narrativa, di mettere in scena una storia. Ho scritto un nuovo soggetto, recentemente. Un linguaggio che ho voglia di continuare ad esplorare, prendendone parte anche per quanto riguarda la regia, magari con una iniziale co-regia.

Chi è Michele nella vita di tutti i giorni?

Michele, attualmente, è soprattutto un padre. Un cambiamento forte, quello legato a questa nascita, che ti rende consapevole di non essere più l’unico meritevole di attenzioni. Sono, inoltre, una persona continuamente connessa con il proprio lavoro, in continua ricerca. Questa ricerca mi nutre, mi porta a crescere, permettendomi di essere meno permeabile, in una fase di continuo e positivo rinnovamento. Che io prenda parte ad una fiction, o ad un cortometraggio, non importa che seguito possa avere, conta il rispetto, la professionalità, la sacralità da dare a quel nuovo lavoro.

Cosa prevede il tuo futuro artistico?

Prevede la ripresa dello spettacolo teatrale di cui vi parlavo, per la regia di Leo Muscato, con Alessandro Haber e molti altri attori, prodotto da Placido. Un viaggio, quello che si è bruscamente interrotto, che mi vedeva lontano dal teatro, precedentemente. Vi è inoltre un soggetto scritto, legato ad una collaborazione, che potrebbe diventare un lungometraggio. Vedremo poi dove ci porterà “Fino all’ultimo battito”.

Su Alessia Giallonardo

Nasco a Benevento, nel 1986. testarda a più non posso, perché Toro. Amo la fotografia sin da quando ero piccola e devo questa passione a mio padre. Stesso discorso per la scrittura, per ogni singola sfumatura di un racconto, di un vissuto, di uno storico incontro.

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