A tu per tu con Lorenzo Balducci, che ci racconta la sua vita da attore e soprattutto il suo nuovo spettacolo teatrale.
Lorenzo Balducci è un giovane attore romano, molto preparato e con i piedi ben saldi; che con umiltà affronta il suo mestiere e che, dopo anni di gavetta e tante esperienze con registi importanti quali Avati, Verdone e Virzì, costruendo il suo curriculum tra cinema, televisione e teatro, adesso affronta uno spettacolo scritto da lui stesso, dal titolo Salvami mostro! Con esso, porta in scena diversi dei suoi tanti personaggi che da anni li fa conoscere attraverso i suoi social.
Benvenuto Lorenzo Balducci sul quotidiano “La Gazzetta dello spettacolo”. Sei un giovane attore, con un curriculum brillante sia al cinema che in teatro. Debutti nel 2001 sul grande schermo con il regista Pupi Avati ne I cavalieri che fecero l’impresa. Ma negli anni sei stato diretto, tra i tanti anche da Verdone a Virzí. Tra loro con chi torneresti volentieri a lavorare?
«Ciao! Se consideriamo i pochi grandi con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Beh, posso dire tornando indietro con la memoria che il mio è un ricordo lontanissimo, era il 2002/2003 quando incontrai Verdone e lavorai tre giorni su quel set (Ma che colpa abbiamo noi 2003). All’epoca il mio ruolo, pur essendo una partecipazione, era tutto tranne che comico. Anzi rappresentava la parte più amara della dinamica familiare. È così grande la stima che ho per Carlo Verdone, che negli anni è cresciuta ancora di più, essendo entrato a contatto con quella che è la mia natura comica e tragicomica, ti dico che con questa consapevolezza attuale, sarebbe bello condividere di nuovo un lavoro con lui. Prima come spettatore, ho amato tanto Carlo e continuo ad amarlo; ma oggi con la consapevolezza di un quarantatreenne e non del ventunenne di allora e con tutto l’amore che adesso ho per il mio lato comico, surreale ed estroverso, sarebbe ancora più interessante stare a contatto con quel tipo di comicità che possiede Carlo Verdone. Una comicità da cui ho preso spunto, anche in maniera involontaria, senza andare a “rubare”. Diciamo che c’è qualcosa a cui mi rifaccio dell’universo di Carlo, quando affronto i miei personaggi. Lui è un maestro».
Con quali artisti anche stranieri, ti piacerebbe misurarti?
«Beh sì, ci sono stati, ma non è un pensiero costante e quotidiano. Non mi precludo neppure la possibilità di fantasticare quando vedo qualcosa che mi piace. Così come è stato per anni, quando vedevo il lavoro di Jim Carey o di Robin Williams; quindi quando ero molto più giovane, fantasticavo molto di più su queste cose. Poi col tempo uno lavora con situazioni “ più terrene”, che ha la possibilità di toccare con mano, oltre alle fantasie. Per dirti, l’altro giorno ero stato al cinema a vedere Wicked II, un film che ha diversi elementi di commedia al suo interno. Sai quando esco da un cinema, mi trovo a fantasticare su ciò che ho visto non solo come spettatore ma come artista. Certo non penso che vorrei interpretare il prossimo capitolo di Wicked che non c’è, però sicuramente penso che è una fortuna stare a contatto con attori internazionali che provengono da un’altra cultura, questo ti permette di alzare il livello della posta in gioco, sia che tu sia su un palcoscenico e che su un set. Questo l’ho sperimentato qualche volta, ad esempio in Francia o in altri contesti stranieri. Ed è bellissimo e spaventoso allo stesso tempo, vedere il modo in cui imponi a te stesso di essere al livello delle persone di cui hai così grande stima e con cui stai lavorando. Tutto ciò, ovviamente può succedere anche in Italia, non è una cosa prettamente estera. Per esempio, un’esperienza simile mi è capitata poco meno di un anno fa con Silvio Orlando, Barbara Ronchi e Valentina Bellé, non c’è bisogno di andare all’estero per vivere questo tipo di livello. Per tanto tempo, ho avuto il sogno americano, ora assolutamente no, però ho sognato tanto con attori quali Leonardo Di Caprio o Joaquin Phoenix, ma non al punto di ossessionarmi che volevo lavorare con loro. Ci ho provato a farlo in America, è stata un’avventura abbastanza impegnativa, solo per ottenere un Visto lavorativo, che poi in realtà non ho mai sfruttato. Assolutamente la vita è troppo breve per stressarsi così tanto, quindi mi piace concentrarmi sulle cose che sono più afferrabili».
Hai scritto il tuo primo spettacolo Salvami mostro, con il quale sei in tour e sarai a Roma dal 27 al 31 dicembre. Insomma, delle feste col botto! Dunque ci vorresti anticipare qualcosa, su com’è nato questo spettacolo e cosa porti in scena?
«Lo spettacolo Salvami mostro, nasce dall’esigenza di voler raccontare sul palcoscenico la realtà che io faccio vedere con i miei video sui social. Tecnicamente parlando è la ragione per cui è nato; dal 2021 facevo degli spettacoli, non scritti da me ma da un autore straordinario che è un amico, un collega e un maestro, che è Mariano Lamberti e insieme a Riccardo Petrini. Per tre anni consecutivi hanno scritto tre monologhi fondamentalmente comici, con cenni autobiografici. Ad un certo punto finita la trilogia , nella mia mente si è fatta spazio l’idea di voler scrivere e raccontare per la prima volta, anche perché non sono un autore teatrale, così l’unico modo per potermi cimentare con un’opera teatrale mia, era quella di portare in scena quello che conosco. Al momento sono i personaggi dei miei video che faccio sui social e di cui sono autore, sia di quello che scrivo, di quello che monto, di quello che interpreto, che di quello che gestisco come costumista. Ecco, sono piccole mie creazioni. Per lo spettacolo Salvami mostro!, la sfida era questa, cioè portare quel format di un minuto e mezzo di video e quel tipo di comicità sul palcoscenico. Quindi diluire quella realtà attraverso uno spettacolo che raccontasse la “mostruosità “ dell’essere umano. In questo senso è stato facile trovare il titolo, perché la parola mostro è una parola che mi piace. La trovo comica, pop e inquietante allo stesso tempo e poi mi piace l’idea di questo imperativo nei titoli, perché amo i verbi imperativi. Quindi, l’idea di chiedere ad un mostro di essere salvato lo trovavo un cortocircuito abbastanza utile per il mio obiettivo. Poi esattamente, a quale mostro ci stiamo riferendo, lo capiamo durante lo spettacolo; perché non volevo semplicemente portare una parte dei miei tanti personaggi sul palcoscenico, anche perché portarli tutti sarebbe impossibile, volevo che ci fosse una storia che facesse da traino e giustificasse la presenza di questi personaggi sul palcoscenico. Non sono semplici sketch o cabaret in cui li faccio vivere, ma c’è una storia vera e propria, potrei dire che è come vedere un film. Per quanto difficile, essendo da solo in palcoscenico, ho trovato un modo per renderlo dinamico, grazie ad una infinità di video realizzati solo per lo spettacolo, che non sono quelli già visti sui social, bensì sono ricreati per esso. Alla fine sul palco i personaggi sono tanti, cinque in scena e poi ce ne sono tanti sullo schermo. Insomma al termine si esce dallo spettacolo con la sensazione di aver fatto una ricarica dei personaggi che porto sui social».
A tal proposito, esilaranti sono le tue performance sui social, che ovviamente mostrano i lati umani di vizi e virtù, portandoli agli estremi. Come hai avuto l’idea di questi contenuti?
«Diciamo che è nato tutto in maniera spontanea, perché i video che ho iniziato nel 2020, durante la pandemia, erano stati preceduti da tutta una serie di reel che non hanno nulla a che vedere con il lavoro che faccio adesso sui social. Comunque hanno rappresentato una gavetta a livello tecnico e artistico. I video che facevo li pubblicavo su YouTube e l’ho fatto dal 2011 al 2019, poi l’anno dopo ho iniziato con quelli sui social. Tra il 2020 e il 2021 si sono trasformati in quello che faccio oggi. Il fatto di raccontare l’assurdo, mi ha sempre appassionato; così come la cultura pop, l’elemento musicale e la stranezza intesa come avere un’identità che solitamente viene etichettata “ nella norma” che poi degenera e che ha varie diramazioni. Anche perché, nel tempo, sempre riguardo ai video, ho viaggiato su una serie di livelli che è quello del racconto, attraverso il lipsync di cantanti, personaggi televisivi e del mondo dei cartoni animati, che mi appartiene e poi la società, fatta di gente fondamentalmente “mostruosa” che può essere la commessa del supermercato, oppure possono essere i familiari o anche l’hostess, o il tassista. Adesso, ad esempio, con la mia amica e collega Elisabetta, ho finito di girare la scena della coppia a Natale, intenta a girare per i centri commerciali, mangiare panettone e giocare a carte. Tutto quello che nella vita, io trovo spaventoso e da cui prenderei le distanze, sia come atteggiamento invadente che come volgarità, lo esorcizzo così. Per dirti a me piace ascoltare la colonna sonora di Braveheart, per rilassarmi e da persona ansiosa, cerco di ricercare l’equilibrio e la quiete che quei personaggi impediscono di avere. In questo li trovo molto utili nel racconto di quella realtà. Quello che io odio è ciò che trovo più divertente in quel racconto spietato del quotidiano. Io mi diverto così, quando li faccio parlare con quel loro tono alto, che comunicano urlandosi le cose, lo trovo comico e con essi attuo un equilibrio narrativo».
In tutto questo scenario di personaggi , chi è Lorenzo persona?
«Lorenzo è un ragazzo timido, riservato e osservatore del mondo che ruota intorno a lui. Osservo in silenzio e parlo molto meno delle persone di cui mi circondo, perché la mia mente funziona molto di più nel silenzio, contrariamente per come la gente mi vede con questa sorta di follia negli spettacoli. Io riservo molto tempo all’osservazione e al mondo circostante, per utilizzare i miei strumenti utili a raccontare e gestire quel mondo. Prima di tutto per raccontarlo come attore e poi per gestirlo come essere umano. Io sono facilmente impressionabile, ho un lungo passato di bambino prima e ragazzo dopo, che si è sentito disadattato, diverso, non altezza e non capace di viaggiare allo stesso ritmo degli altri. Ma ringrazio il fatto di essere stato fedele alla mia natura, grazie al tempo e ce n’è voluto tanto e questo mi ha permesso di tirare fuori una modalità espressiva e artistica, come uomo che mi consente di comunicare nella maniera più onesta col mondo. Per tanto tempo ho pensato, come tanti, che la diversità fosse qualcosa da combattere, indebolire o silenziare e invece non è così. Mentre invece quello è il potenziale da proteggere con orgoglio».
Se tu fossi un personaggio fantastico, chi saresti e perchè?
«Allora, io attingo da chi racconto da diversi anni. Quindi non posso non dire quelli che sono i miei personaggi preferiti e tra questi c’è Fantaghirò. Pensa due giorni fa sono stato in Puglia per girare l’ennesimo video su Fantaghirò, con i miei amici della Puglia abbiamo questa oramai tradizione di girare video su di lei. Questo è il quarto anno. Abbiamo creato una marea di personaggi della serie. Per farti capire la mia passione per la serie, ti dico che a quindici anni costrinsi i miei genitori a visitare il castello in cui originariamente è stato girato Fantaghirò. Prendemmo un volo per Praga e dopo 300 km di auto, abbiamo raggiunto il castello che si trovava ad una distanza impossibile. Per cui, sia il personaggio di Fantaghirò, Mila Azuki, fanno parte della cultura pop. Attraverso loro, ho avuto un livello di immedesimazione così forte al punto che io continuo a rivedere le puntate. Perché in Mila e Shiro ma ancor più in Fantaghirò c’è il tema dell’identità. Questa ragazza con dei comportamenti, modi e sensazioni che non si vogliono inglobare a certe etichette. Così com’è il modo poco accademico di Mila, di affrontare lo sport in modo vincente, sempre capace di imparare dagli errori e di impegnarsi quotidianamente nel raggiungere gli obiettivi, nonostante sia bassina e non avendo le caratteristiche di una giocatrice professionista. Per cui quest’idea in entrambe di impegnarsi per raggiungere un obiettivo, è forte. Ultimamente sto finendo di vedere Stranger Things, che mi ha accompagnato in questi 10 anni, attraverso la filosofia e nell’idea di questo mondo sottosopra e di tutta la zona oscura che fa parte di noi . Lì è tutto quello che c’è, dietro a tutto quell’universo che trovo estremamente interessante e stimolante per la crescita soprattutto personale».
In ultimo, cosa ti senti di dire ai giovani che hanno dei sogni ma non sanno come concretizzare, perché non sempre aiutati dalla società?
«Questa è la domanda più difficile, seppur semplice, nel senso che non ho mai amato la sensazione di dare un consiglio dall’alto della mia, seppur giovane, esperienza. Sicuramente a quarantatrè anni, rispetto ad un diciottenne che ha il sogno di fare l’attore, anche solo per una pura questione di esperienza, posso far capire quello che è il mio punto di vista, parlando a loro come se parlassi al me giovanissimo. Per cui, credo che se ho un sogno così grande, ho bisogno di verificare attraverso lo studio la conferma del percorso e delle competenze per farlo. Perché a volte un sogno si scontra con la realtà. Credo che sia giusto essere sognatori, ma con razionalità e restando consapevoli di tutto ciò che è la quotidianità, anche con ulteriore piano B, a secondo che le cose vadano o non vadano in un certo modo. Questo è un concetto che vale per qualunque professione, però quella artistica che conosco, è molto problematica se pensiamo ai tagli che stanno facendo, senza voler aprire questo file. Quindi, il sogno ha senso quando incontra impegno e fatica e il mettersi in gioco. Il sogno non va inteso come “ sogno del successo” ma è la costruzione mattone dopo mattone di una propria identità artistica. Non è la fama. Personalmente pagherei oro per poter fare questo lavoro fino a quando questo corpo me lo permette, non per la fama, ma per il fatto che lo amo e quindi anche a loro direi che bisogna amare questo mestiere. Io amo stare su un palcoscenico, quindi il tutto va fatto a prescindere dal sogno di fama e successo, perché ci deve essere una struttura solida e terrena».
La Gazzetta dello Spettacolo Il quotidiano dello ShowBiz


