Mari Conti - Hangin on a kiss
Mari Conti - Hangin on a kiss

Mari Conti: il futuro musicale si chiama ancora donna

Era il 1984, quando – in pieno edonismo reaganiano – probabilmente a qualche mese dalla sua rielezione a Presidente degli Stati uniti d’America – e sul finire della Guerra Fredda, mi dedicavo ad auto-istruirmi al cinema Italiano, dopo aver trascorso almeno la metà della mia adolescenza a guardare film prodotti dalla Old e dalla New Hollywood.

Certo, prima John Wayne e Marlon Brando poi Robert De Niro e Dustin Hoffman– a discapito dello Spaghetti Western e dei Serial anni Settanta tra Giraldi e Monnezza – erano stati apparentemente più educativi, o almeno più divertenti.

Lo ammetto: a parte Amarcord di Fellini e Novecento di Bertolucci, mettiamoci un paio di pellicole di Ettore Scola e di Pasolini, il sottoscritto era rimasto sufficientemente ignorante in materia di cinema nazionale. Una vergogna.

Il Benito di Cinecittà, notoriamente e storicamente nazionalista, mi avrebbe conciato per le feste, negli anni Trenta!

In musica leggera, no. Lì, ero stato più bravo….

Dopo qualche esplorazione doverosa nei rock’n roll europeisti dei Beatles e nella songwriter Generation, avevo seguito, amato e imitato i cantautori italiani. 

Gli anni Ottanta, brutali e alticci di comodità irrinunciabili, erano diventati la culla di nuovi modi di comunicare, sia nei mezzi (appunto media) sia nel valore individuale, quindi poco sociale e sempre meno collettivo, di usare la cultura di massa.

I vinili, provati e sfiniti, scomparvero nel giro di qualche acquisizione societaria, trasformando sapidi artigiani del master musicale in professionisti delle frequenze ottimizzate.

Poco male. Se dal grammofono si era passati all’HI FI, nel giro di una cinquantina d’anni, il CD sarebbe stato una soluzione bonsai del vinile, ospitabile anche in automobili a prova di musicassetta. Facile, pratico e rotondo.

Il supporto minore, lo sappiamo, s’eclissò nel regno dei Plus (come Google, ad esempio) ma la musica però imparò a resistere, a digitalizzarsi. 

A iTune-izzarsi e a Spotify-izzarsi.

Quindi, insediatasi in nuovi format giovanilistici, come Amici, X-Factor e Grandi Programmi Fratelli Gemelli, divorò mandrie di talentuosi militi (noti per un po’, ignoti per molto) lasciando alla musica italiana il ricordo degli anni migliori: quelli, ahimè, del passato dei nuovi vecchi.

Ci hanno creduto oppure ci hanno fatto credere che alcune (e lo dico sul serio) delle brave artiste donna (come Emma, Alessandra, XYZ) lasciassero nella Storia un segno come interpreti, restando invece “Mine” inesplose, oppure come cantautrici. 

In quest’ultimo caso, è stato ancora più complicato, perché l’Italia, non possiamo negarlo, è un Paese sessista, nel quale ancora oggi, il pubblico è considerato prevalentemente femminile: quindi il “cantautore” è uomo perché scrive e canta, la donna – spesso – ribadisco “nella cultura di massa e ormai storicamente comprovata” è interprete. 

Balle di impronta maschilista, nelle mani lavate di politici Pilati anti-suffragette? Forse.

Una cosa è certa, però. Si sono sbagliati. In tanti. 

Si è sbagliato chi ha cercato di seguire la mainstream, la corrente principale che ha portato a riempire il vuoto imperante con il nulla circostanziale.

Eppure c’è chi va contro. 

Ieri mi è arrivato un videoclip di un artista chiamata Mari Conti, romana, che testimonia l’esistenza di un mondo parallelo, una sorta di Second Planet (un pianeta Terra posto sopra o sotto la terra), che – a dispetto di un mercato goffo e anti-democratico come quello della non discografia contemporanea – risponde ancora a dei parametri qualitativamente altissimi.

Mari Conti - Hangin on a kiss

Questo per due motivi: canta in inglese, senza voler essere internazionale, bensì globale; usa ricerca e tormentone pop, in maniera elegante ma leggera, per raccontare la bellezza dell’amore che non si perde mai, nemmeno quando è ostacolato da distanze materiali, apparentemente imbattibili. 

Le cose invisibili, come nella bellissima Hangin’ on a Kiss di Mari Conti, vincono.

Non è il riscatto del ricordo presente sul momento assente: è la rivincita dell’amore sui “mai”, con i “sempre” che la armano di coraggio e pazienza. 

Tornando a quel 1984, anno Orwelliano dal sapore metapsichico, ripenso ad un film di Marco Ferreri intitolato “Il futuro è donna”. 

Mi colpì ad un punto tale che mi immaginai un avvenire al femminile, trasformato da nuove rivoluzioni sociali compiute per mano dell’uomo comune.

Intanto, guardo il video della brava Conti e, mentre mi scorrono negli occhi le immagini e mi vibrano nelle orecchie le note della sua canzone, mi pare di intravedere un ex-presente che è quasi futuro. 

E, se non si chiamerà donna o Mari Conti, sarà sicuramente, come cita lo slogan della canzone, Hangin’ on a Kiss, ovvero “aggrappato ad un bacio”.

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