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Barbara Chichiarelli: dopo Favolacce, mi piacerebbe un ruolo da cantante

Una chiacchierata lunga, intensa e soprattutto piacevole con l’umiltà e il punto di vista chiaro e deciso di Barbara Chichiarelli: attrice talentuosa che si è fatta spazio nel mondo della fiction e del cinema italiano, interpretando ruoli di donne dagli interessanti aspetti socio-psicologici.

E l’ultima “fatica” è Favolacce, che la vede protagonista nel ruolo di Dalila, insieme a Bruno (interpretato da Elio Germano), dove interpreta una donna, moglie e mamma, che i registi Fabio e Damiano D’Innocenzo, hanno trasformato da personaggio di una “favola nera” in interprete dell’audiovisivo che si è guadagnato il Premio come Miglior Sceneggiatura a Berlino.

Barbara Chichiarelli in una foto di scena dal film Favolacce
Barbara Chichiarelli in una foto di scena dal film Favolacce

Benvenuta Barbara Chichiarelli su La Gazzetta dello Spettacolo. Parliamo di donne, ma soprattutto, parliamo di una figura come quella di Dalila, proiettata al 2020, dove la donna sta raggiungendo i suoi traguardi, ma forse non ancora tutti quelli che gli spettano… come è stato per te indossare i panni di questo personaggio?

Grazie a voi. Di solito non giudico mai nessun personaggio che interpreto e non posso parlare di difficoltà, perché l’aiuto grandissimo è venuto dalla sceneggiatura, dove c’era già tutto. E poi insieme ad Elio abbiamo costruito insieme queste due figure.

Dalila è nata un po’ dalla carta, un po’ dalle direttive sul set di Fabio e Damiano che non sono stati mai categorici e ci hanno lasciato molto spazio per indagare e sperimentare.

La novità per me su questo set è stata quella di non sapere mai dov’era la macchina da presa, perché solo poche volte erano visivamente nel mio raggio d’azione. Questo è stato un aiuto perché non si sentiva la pressione. Ma in generale, non ho difficoltà ad inserirmi nell’immaginario… Il più delle volte parto dal corpo per costruire un personaggio, e mi chiedo “Che corpo ha questa donna? E’ curva, è dritta? E il suo tono di voce?“. Questo lavoro poi viene coadiuvato anche dai vestiti, che ti aiutano come un altro corpo, a capire come si colloca questo personaggio.

Fortunatamente nella mia breve esperienza, ho avuto la possibilità di lavorare con dei grandissimi professionisti del mondo dei costumi sia in teatro, che al cinema, che in TV.

La voce fuori campo di Max Tortora legge ad inizio film: “quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata“. Favolacce è un racconto significativo e tragico. Perché lo spettatore dovrebbe guardarlo?

Per più ragioni sicuramente. La prima che mi viene in mente è che già dai primi frames, la fotografia di questo film è bella, inusuale, particolare e stacca completamente da quello che è il panorama italiano del cinema. Successivamente, come tutti i film che cercano di raccontare la complessità, senza ridurla, diventa una visione interessante perché non c’è una morale, una spiegazione e tutto è volutamente lasciato nell’ambiguità senza spiegare.

Terzo motivo è per entrare in una narrazione entrando in una complessità, non riducendola. La prima volta che ho letto la sceneggiatura “ho visto” riportare in immagini quello che io avevo letto… forse non ho tantissima esperienza in questo senso, ma veramente ho trovato bella questa restituzione dallo script alle immagini.

Parliamo di Barbara. Favolacce è l’ennesima firma importante nella tua carriera dopo Özpetek, e dopo Serie di tutto rispetto come Suburra o La compagnia del Cigno. In poche parole, come definiresti Barbara, quest’attrice “romana de Roma” che si è fatta spazio nel panorama italiano?

Come mi definirei? (ndr ride) Sicuramente mi reputo una persona molto curiosa nella vita come nel lavoro. Penso di essere una persona molto umile sia nella vita privata che nel lavoro, e fondamentalmente sono un’entusiasta della vita e delle cose.

Barbara Chichiarelli in uno scatto della serie Suburra. Foto di James Minchin
Barbara Chichiarelli in uno scatto della serie Suburra. Foto di James Minchin

Non ho mai vissuto questo lavoro con sentimenti nefasti come invidia e rabbia.

Gli invidiosi pensano che non ci sia spazio per tutti, ma io penso che non sia così, perché ognuno di noi ha la sua specificità. Con questo non nego che sia difficile entrare e soprattutto rimanere in questo mondo… magari tra 10 anni ti potrò confermare questa affermazione.

Credo poi che la mia vita privata sia legata alla vita professionale perché un attore deve fare un attore su se stesso e se cresce umanamente, riesce a far crescere i suoi personaggi. La mia metafora preferita è quella del delivery della pizza: l’importante non è per il cliente chi consegna la pizza, ma la pizza in se, e tu da delivery, negli anni cominci a dare sempre più valore a quella pizza pensando a farla arrivare calda e buona dal cliente.

Approfondiamo cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale nella tua vita. Hai raccontato che durante il periodo dell’Accademia sei stata anche una barlady: cosa hai portato della barlady nella vita da attrice e quale caratteristica dell’attrice, avevi già in te te, quando facevi la barlady?

Nella vita ho fatto tantissimi lavori prima di decidere di concentrarmi su quello dell’attrice, che è nato in me come passione. Ho portato quindi sempre con me la propensione alla recitazione nel quotidiano, sin da piccola, quando dicevo un sacco di bugie (ndr ride).

Recitare significa dire bene le bugie… Specifico, ovviamente bugie bianche dei bambini. Inventavo delle storie incredibili per giustificare ritardi. Degli altri lavori, ho portato con me invece lo spirito di gruppo che mi viene anche dallo sport. Ho fatto pallavolo a livello agonistico fino ad un infortunio, e quello mi ha fatto capire l’importanza dello spirito di squadra e lavorare insieme agli altri… e anche in un locale, quando dovevi servire 300 coperti ed eravamo in 3, ho sempre apprezzato il concetto di squadra.
Il teatro mi ha insegnato più la condivisione, mentre il ciak puoi farlo anche da solo… ma il tutto dipende sempre dagli ambienti che hai intorno e da quello che il regista, come direttore d’orchestra, va a creare.

Apriamoci al mondo dello Spettacolo a 360 gradi: cinema, televisione e teatro sono il tuo habitat naturale. Ma se parlassimo di Musica? Cosa ascolti?

A me piace molto la musica e ascolto veramente di tutto! Non ho un genere preferito, ma scelgo la musica a seconda del momento: se sono stanca, se voglio motivarmi, tutto va di pari passo al momento specifico.

Purtroppo, il mio grande rimpianto è non aver approfondito mai nessuno strumento. Forse lo strumento che vorrei approfondire è “la mia voce”. Amo cantare, ho sempre voluto cantare, ma avendo cambiato spesso insegnante, difficilmente sono riuscita a portare avanti questo studio.

Barbara Chichiarelli. Foto di Alessandro Cantarini
Barbara Chichiarelli. Foto di Alessandro Cantarini

Quindi un ruolo da cantante dobbiamo aspettarcelo?

Non ne posso parlare, ma studierò due canzoni molto impegnative e questa cosa mi torna… magari… sto immaginando già la scena (ndr ride).

C’è qualcosa dentro o fuori al tuo lavoro che ti da serenità?

Credo che oltre a tutte le polemiche legati ai mancati riconoscimenti verso la nostra categoria, io confido nel fatto che le persone si stiano rendendo conto che “noi dello Spettacolo e Cultura” siamo necessari. Gli audiovisivi e il teatro mi fanno pensare ad un pensiero positivo e felice: il lavoro ci sarà e probabilmente di maggiore qualità. Spero si portino avanti solo i progetti che valgono.

Pensi che gli attori usciranno cambiati dal CoronaVirus?

Quello dipenderà come tutto “dai soldi”, dalle produzioni e dal modo in cui si gestirà questa ripartenza. Può darsi che questo accada, ma può darsi anche che si trovino modi alternativi per lavorare. Io in questi due mesi mi sono dedicata alla scrittura. Sto scrivendo una sceneggiatura per rispondere alla mia esigenza di dire: come ripartiamo? Non so se firmerò una prima regia, ma non posso fare a meno di pensare che noi attori siamo molto esposti ai rischi e a tal proposito ho pensato a tante cose sul come poter girare in maniera alternativa e lavorare lo stesso.

Accanto al set canonico, magari altri tipi di set e produzioni teatrali… Se questa ripartenza andasse in parallelo a quello che sembra essere la nascita delle piattaforme che hanno modificato il cinema, forse usciremo tutti cambiati senza escludere nessuno: attori e maestranze.

Forse ci sarà da convivere 1 o 2 anni con questa situazione… e che facciamo, per 2 anni non lavoriamo? Impariamo ad essere propositivi e ragionare sui cambiamenti che siamo costretti a fare proprio fisicamente: a prescindere da etica e politica. Questo perché l’uomo poi si vede costretto a modificare le sue scelte.

Non appena sarà possibile tornare sul palcoscenico e sui set, verso che futuro ti senti proiettata?

Ci sono molti progetti teatrali in cantiere, alcuni dovrebbero partire quest’estate ma posso parlarti solo del macro-contenitore, che è la Biennale Teatro di Venezia. Siamo in fase di stretta finale per capire quando, dove e perché, ma spero vivamente che estate e inverno di lavoro tornino per il lavoro.

Poi dovremmo chiudere il set della seconda stagione de La Compagnia del Cigno, con la regia di Ivan Cotroneo sulla Rai, ma anche li siamo in attesa di capire i tempi…

Ringrazio Barbara Chichiarelli per la sua disponibilità immensa ed il costruttivo confronto su quello che deve e può essere un mondo dello Spettacolo orientato ad arte e cultura, e non agli individualismi.

Su Francesco Russo

Francesco Russo, giornalista e direttore del quotidiano "La Gazzetta dello Spettacolo", comunicatore digitale ed ufficio stampa di eventi e VIP.

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