Ugo Gangheri. Foto di Anna Camerlingo
Ugo Gangheri. Foto di Anna Camerlingo

A tu per tu con Ugo Gangheri

Oggi siamo in compagnia di Ugo Gangheri, bravissimo musicista dalla grande sensibilità tanto da voler fare un album per poi devolvere tutto il ricavato delle vendite alla causa volta ad aiutare cani e gatti randagi presenti a dismisura sul territorio.

Il giorno 5 Maggio alle 11: 30 al Teatro Tin ci sarà la presentazione ufficiale del Cd di Gangheri, “Un biplano a sei corde”, che potrà essere anche acquistato direttamente in sede.

Ugo Gangheri. Foto di Anna Camerlingo
Ugo Gangheri. Foto di Anna Camerlingo

Benvenuto Ugo Gangheri, parliamo del tuo approccio con la musica, ricordi quando è avvenuto?

Ricordo perfettamente quando la musica mi ha letteralmente colpito, avevo circa dieci anni e mentre ero preso dal mio mestiere di ragazzino che sognava qualsiasi cosa, mi capitò di ascoltare ad una festa di famiglia “Ogni Volta” di Paul Anka (un americano che nel 1964 si presentò a Sanremo cantando in un italiano improbabile ma efficace, come era consuetudine in quegli anni per gli stranieri) e ricordo che l’eccitazione prodotta da  quella ritmica mi prese talmente forte da costringere mia madre a comprarmi quel 45 giri ed un giradischi. Lo consumai nel senso reale del termine. Ero capace di ascoltarlo anche venti volte di seguito, per il sommo dispiacere di chi si trovava in casa, ma fu fondamentale perché poi la casa si abituò negli anni successivi agli ascolti “meravigliosamente peggiori” tipo Wood Child, di J.Hendrix e Whola Lotta Love degli Zeppelin… Il dado ormai era tratto!

Infine accadde che a 12 anni, ancora con i pantaloni corti, andai di nascosto al teatro Mediterraneo a vedere il mio primo concerto come Ugo Gangheri, quello dei Genesis con l’allora Anthony Phillips alla chitarra prima ancora di Steve Hacket; il mondo si illuminò ed i miei sogni furono da allora a senso unico verso una sola luce: la musica… Fu una vera folgorazione.

Da bambino Ugo Gangheri pensava: “Da grande diventerò musicista”?

Le  folgorazioni, le folgorazioni sono quelle visioni trasformate in reale che segnano il proprio futuro e possono anche essere numericamente più di una ma sono in sostanza dettate in uno spazio temporale ben preciso ovvero accadono soprattutto negli anni che vanno dall’infanzia alla adolescenza anche se, talvolta, seguono quella legge antichissima del “tutto può accadere fino all’ultimo respiro” (il che è vero ma con grossi limiti).

La cosa principale è non smettere mai di sognare, di desiderare, di incantarsi davanti al cielo con la bocca aperta, perché davvero tutto può accadere anche quando sei abituato alla tua vita di adulto …  ci si può all’improvviso trovare davanti una folgorazione.

Da bambino ho vissuto la mia prima folgorazione dopo aver visto un film, il mio primo film al cinema, che aveva come protagonista J.Wayne.

La scoperta di quel mondo “western” ebbe su di me  un fascino straordinario al punto che desideravo di andare da “grande” in quei luoghi con la speranza di vivere avventure incredibili mentre ero intento a cercare l’oro. Dopo aver meglio messo a fuoco le cose, i fatti e le persone in quel  far-west e dopo aver collimato meglio l’idea e resa nitida, capii invece che avrei voluto vivere, sì nel west, ma da pellerossa e non da pistolero.

Ecco cosa immaginavo da bambino: un nativo, vivere come quel popolo che forse più di ogni altro su questo pianeta rappresentava meglio l’amore per la vita… sia la propria che quella del prossimo; rispettando e tutelando anche quella del regno animale e vegetale.

A vent’anni mi “nutrivo” di tutto ciò che era stato scritto, pubblicato e tradotto in quegli anni in Italia sugli Indiani d’America! Respect!

La musica giunse dopo, attraverso l’idea sbagliata che si era formata in mia madre mentre mi vedeva scimmiottare Paul Anka davanti al classico specchio il sabato sera, prima del consueto bagno caldo.

Così mi portò a casa di una signora la quale mi fece sedere su di uno sgabello scricchiolante, quindi poco musicale, davanti ad un pianoforte e facendomi “violenza” sulla postura corretta…essendo io poco incline alle regole ed allo studio e con la “complicità” della noia infinita che la signora produceva, mi allontanai da quel pianoforte (con una sorta di armatura in ghisa) già dalla seconda lezione ma in verità io non ci vedevo e non sentivo nessun fuoco, nessun battito o interesse, evidentemente la mia “ribellione” invocava altro.

Il diavolo però resta sempre in agguato e così, al primo anno delle superiori, mi si avvicinò con un volto che ancora ne seguo le rughe… anche se ero già abbastanza pronto da un po’; i primi dischi acquistati, i primi concerti visti, il rispolvero di una chitarra che anni  prima mi fu regalata da mio padre e poi messa a tacere anzitempo su di un armadio, i pantaloni con le toppe che mi cucivo da solo, i primi ( ed unici ) capelli che crescevano sul collo assieme ad una autonomia intellettuale, producevano un giovane mite ribelle che sapeva leggere, ascoltare, respirare il suo tempo, condividendolo assieme ad un amico fraterno che conosceva tre accordi sparsi sulla chitarra … con quei tre accordi io ci scrissi la mia prima improbabile ed indecente canzone (Flegias).

Parlaci del tuo nuovo progetto discografico, “ Un Biplano a 6 corde” di Ugo Gangheri. Come nasce?

La modalità della risposta a questa domanda è varia, al di là dell’immancabile gusto e piacere nel costruirlo e dargli vita.

Da un lato il disco nasce come una sorta di necessità di preparazione al futuro che mi attende visto l’età più che adulta; mi piacerebbe ritrovarmi a passare più tempo in uno studio di registrazione a pensare e produrre musica per il piacere di farlo in primis e poi con la giusta intenzione di veicolarlo verso produzioni teatrali piuttosto che cinematografiche.

Dico questo perché dopo venti anni al seguito di un simpatico signore, che si chiama Giobbe Covatta e con il quale passo le giornate lavorative, il lieve peso degli anni inizia a reclamare meno migrazione e più stanzialità.

Da un altro lato, però, era da tempo che volevo misurarmi con una esperienza del genere che intenzionalmente era già nell’aria… esattamente da tre anni, quando ho seguito l’intera tournee di “Matti da slegare”, uno spettacolo con Giobbe Covatta ed Enzo Iacchetti la cui regia è di Gioele Dix, il quale mi aveva commissionato le musiche di scena.

In quelle occasioni, con una certa frequenza, dopo la serata accadeva che fosse chiesto ai fonici se esisteva un disco di quelle musiche ascoltate nel corso dello spettacolo e forte di queste richieste, un pomeriggio mentre viaggiavo, guardando le Murge mi sono detto “Perché no?!”.

Così una volta a casa ho iniziato ad ascoltare tutto ciò che musicalmente ho fatto in tutti questi anni e non nascondo di essere andato un po’ in crisi per la quantità di sonorizzazioni e la diversa visione stilistica delle composizioni, al punto che ho dovuto chiedere un intervento esterno ad un mio caro amico al quale ho affidato la produzione artistica.

Mi sono presentato da Carlo di Gennaro con 40 brani, alcuni duravano anche solo meno di un minuto, perché in teatro, musicalmente parlando, spesso bisogna dire tutto in pochissimo tempo.

Carlo ne ha scelti 16 che abbiamo lavorato insieme fornendogli qualcosa che a noi sembrava la cosa più giusta da fare, ovvero farli vivere in uno spazio temporale diverso da quello dell’ansia di “prestazione”dettata dal regista e donandogli soprattutto quella luce implosa che in fondo era semplicemente nascosta.

Infine c’è da dire che volevo lasciarmi indietro la forma canzone per un po’, ma veramente solo per un po’, quel giusto tempo che mi serve per capire il linguaggio estetico e di contenuti che vorrò usare per le prossime canzoni; spesso rifletto sulla mia inclinazione a parlare sempre di meno e sulla base di questo si fa forte il desiderio di un nuovo disco, anche se è altresì vero che muoio dalla voglia di produrmi ed arrangiarmi un disco da solo… e chissà se …

Cosa rappresenta la musica per Ugo Gangheri?

La forma di comunicazione più sincera, esclusiva  e fortemente intima che mai potessi sognare di avere!

Se la cerco si fa trovare giusto appunto,  pronta a coccolarmi o a dirmi il suo punto di vista, e se la lascio ai margini di un mio vissuto sa fare due passi indietro ed essere discreta, quando ho necessità di una carezza un abbraccio, non mi permette mai di chiederlo due volte!

A volte penso che sia più femmina di quanto non lo immagino e la qual cosa devo dire che mi imbarazza non poco, perché è un rapporto basato soprattutto su di un magnifico egoismo: il mio. 

Altre volte, quando mi ritrovo in un angolo buio per scelta quasi vocativa, mi si avvicina con la sua consueta delicatezza e mi dice dove devo mettere i piedi sicuri  per arrivare alla luce, insomma, credo che come un’ ombra sa essere legata per l’eternità alla propria “proiezione umana”… così la musica lo è per chi decide di instaurare una relazione con essa trasformandola in un sodalizio a vita.

Ma come tutte le cose possiede anche un’altra faccia quella della dannazione, della maledizione, tutta l’energia, il credo, la spinta emotiva, profuse per farsi accompagnare nel tempo sugli altopiani della serenità spirituale dove teoricamente si potrebbe creare anche una fonte di reddito. Spesso lei, la musica, produce solo e soltanto amarezza, indecisione, disillusione, al punto di farti mettere in discussione come persona e come musicista almeno fino a quando la tristezza passa perché spazzata via da una “morna” di passaggio.

Lo stato di salute della musica italiana oggi secondo Ugo Gangheri.

Domanda difficile, molto difficile! La musica già da tempo è infettata di virus mai visti prima di adesso … malata di protagonismo, di eccessi vanesiani, di appariscenza nevrotica, di gonfie vacue pienezze, come se ci fossimo dimenticati di che cibo per la mente e per il cuore è stata, lo è, e potrebbe esserlo ancora. Ci siamo dimenticati dell’importanza della sua forza espressiva e di conseguenza l’aggregazione che induceva e che in alcuni casi, per il passato, ha portato folle intere a sovvertire ordini politici a ragione delle libertà .

Il punto è che la musica ha sempre vissuto in simbiosi con la realtà sociale, politica, economica che ne rappresentava il suo tempo, il che non significa che la risposta è la soluzione ma se pensiamo al nostro paese e la sua attualità sociale e politica capiamo immediatamente che in termini di informazione-comunicazione oggi stiamo messi maluccio su quello che cerchiamo e rappresentiamo culturalmente parlando .

In televisione ad esempio, si avvicendano, sera su sera, grotteschi carnevali della finzione e del cattivo gusto, rispetto ai quali una buona parte di noi non può che restare attonita… con questo voglio dire che se la tua dieta è a base di sole proteine, la tua chimica interiore produrrà un uomo di un certo tipo; se è solo di carboidrati verrà fuori un altro tipo e se invece il cibo è solo vegano sarebbe ancora una ulteriore umana diversità; per questo io sono convinto, su diversi piani e settori, che siamo il prodotto di quello di cui ci nutriamo o di quello di cui a volte ci lasciano nutrire.

Avendo il libero arbitrio abbiamo la fortuna di scegliere come e di che nutrirci, ma se prima di te arriva un potere a cucinare e farti trovare la tavola imbandita, allora sei finito come, appunto, l’attualità che ci circonda e che rende sempre di più, attraverso varie forme, il concetto di apparire e non di essere.

Giusto per definire quanto scritto con una immagine televisiva, ti dico che bisognerebbe prendere come riferimento il danno che produce una trasmissione quale “Made in sud” su di una intera città, la cui immagine si estende oltre il Garigliano, su di una generazione che in parte dovrà un domani rappresentare un riferimento per altri e per il  paese.

Sarebbe bello se la televisione desse spazi anche ad “altro”, a uomini e donne di uno spessore diverso, profondo e che producono quella sana, seppur ideologica “controinformazione”, stimolo alla curiosità che da sempre è il  filo che porta alla conoscenza.

Con “altro” intendo “alternativo a…”, perché la nicchia che gradirebbe un “Made in Sud” diverso, non certo con la puzza sotto al naso, c’è!

C’è, infatti, di sicuro chi gradirebbe sentire passi tratti dai libri di Erri de Luca, letti da “Pinco pallo” o apparizioni di Enzo Moscato ed Isa Danieli, piuttosto che  la storia della musica popolare raccontata dal maestro De Simone. Non voglio dire o pensare che era meglio prima, cazzate simili, però di certo, come me e assieme a me, lì fuori c’è un esercito di “invisibili” che non hanno nessun “re della notte a capitanarli” e che sognano una città, una comunità, una generazione, dove la sensibilità e la ricerca del gusto colto (ma appena colto), fatto di modi civili e di leggerezze, raccontata, possa accontentare anche chi non è d’accordo con lo stato attuale.

Va bene che ci siano i programmi che fanno vergognare della propria appartenenza, il quotidiano asservito, la Coca Cola e la Nutella, basta però che ci sia la possibilità di un opposto, una voce che parli differentemente in modo che si possa scegliere, perché la scelta è proprio quella che non si produce più (come sotto a regime), ed è questo a fare la piattezza assoluta della nostra cultura futura.

La musica che non capisco, quella che non reggo per la banalità di cui è modellata, è quella fatta di una eccessiva originalità che non è mai tale… per me va bene, va bene qualsiasi strumento che suoni in qualsiasi modo e qualsiasi voce canti, per me va bene purché ci sia voce, visibilità e possibilità a quello che il mercato ha sempre timbrato con le parole “diverso”, “ altro”, perché è da lì che il mondo dovrebbe ripartire per trovare nuove motivazioni e stimoli, da quelli che da sempre sono considerati ribelli. Aggiungo, inoltre, che bisognerebbe darsi una mossa, visto che un patrimonio di alto livello di cui disponiamo alla voce cantautorato, ad esempio, rischia seriamente l’opacizzazione di chi è relegato al confine di una memoria.

Una canzone non tua che, però, Ugo Gangheri avrebbe voluto scrivere…

Posso fare che te ne dico tre?

La prima  è “Father and Son” di Cat Stevens, perché negli anni in cui è stata scritta, nell’ascoltarla produceva in me tutta la gamma di emozioni e di sensazioni di cui dispone la mia anima: ho pianto, ho sorriso, ho fermato il tempo, ho sognato ad occhi aperti, ho amato, ho disatteso e non con poca vergogna, ho superato certe mie confusioni. Ho alzato barriere, ho vissuto la condivisione come vocazione, ho fallito, ci ho riprovato, ho maledetto, ho sperato, ho vissuto un tempo con la lucida ed effimera consapevolezza che mai sarebbe passato ed invece, prima di aver capito il perché di tutto, sono dovuto diventare padre e vivere, quindi, la più complicata delle professione che tocca ad un uomo, perché figlio si nasce e quindi si diventa, invece padre è solo una parola sconosciuta fino al momento in cui gli dai una forma.

Ps. A distanza di anni quando mi capita di ascoltarla, mi commuovo ancora tanto.

La seconda è “Sognando” di Don Backy; avrei voluto scriverla io per la potenza dell’insieme di parole, e perché la solitudine di cui si parla mi ha sempre toccato profondamente… inoltre è stata una composizione “molto avanti” per il tema trattato negli anni in cui è stata scritta.

Un vero e proprio gioiellino, reso ancor di più tale, da un arrangiamento perfettamente equilibrato che intelligentemente sa stimolare ed evocare la dannazione di una condizione, la dolcezza di chi è diverso, la speranza quasi cinematografica di un finale, uno stato d’animo che cambia ad ogni strofa e che accompagnato da una struttura ritmica, a volte ossessiva ed a volte onirica, sotto la potente voce di Mina… crea la condizione di un piccolo capolavoro.

Encomiabile il coraggio con cui l’autore l’ha proposta.

Una delle pochissime canzoni che amo suonare.

La terza è legata ad una questione facile: si tratta del rispetto ed amore per le mie radici, della mia coerenza fatta di accettazione, di un luogo ed una civiltà che danno vita all’appartenenza, quella che ci portiamo addosso, dentro e fuori per tutta la vita.

Io sono e resterò napoletano, sez. montecalvario, e se solo penso al patrimonio musicale di cui disponiamo (il più consistente al mondo numericamente parlando) mi vengono i brividi!

Mi sarebbe piaciuto scrivere “Scalinatella” di E. Bonagura e G. Cioffi, per la sua indolenza ritmica che la rende unica e le parole che suonano una meraviglia così cantabili e così leggibili dall’immaginazione: una scalinata lunghissima vista dal basso sulla quale, in alto, c’è una lei. Una canzone geniale, originale in ogni sua definizione che riesce a trasmettere la disperazione di un uomo senza più l’amore, con un’eleganza infinita.

Nella vita di Ugo Gangheri, oltre la musica, c’è un’altra passione?

Sarà per la mia Luna in Toro o per la mia acquisita eredità genetica, il mio rapporto con la natura, con l’aria aperta, rappresenta quel qualcosa di imprescindibile, un amore infinito dal quale correre per sentirmi libero da pesi e da noie che esistono per tutti, un riferimento che mi rende veramente e sinceramente felice.

La natura ci parla, ci dice e ci insegna tantissime cose!

Appena posso salgo su al mio castagneto e cammino per ore in cerca di funghi, oppure mi allungo nelle pinete Domizie in cerca di asparagi; so riconoscere diverse specie di erbe spontanee e conosco molte cose che accadono nel regno vegetale. So anche capire certe evoluzioni meteorologiche.

Fin da piccolo la mia curiosità verso la natura mi ha intrigato; mio nonno e mio padre, appassionati di caccia e di pesca, mi hanno fatto vivere un mondo parallelo a quello cittadino, fatto di culture rurali antiche ed affascinanti, piene di racconti, di trasmissioni orali dettate da anziani dalle facce improbabili che nella peggiore avevano combattuto guerre vere insieme a quelle che solo la terra arsa o inzuppata può farti fare, regalandoti in cambio rughe inverosimili e mani poco adatte per una carezza da fare ai propri figli.

La campagna, la natura in genere sono la mia seconda passione!

Se Ugo Gangheri fosse una canzone, che canzone sarebbe?

Senza alcun dubbio ti dico che nel meriggiare pallido e assorto sarei una mia canzone. “Sulo” scritta nel 2012 e che fa parte del disco “L’Ammore e L’Arraggia”. Nell’alba che riluce e nel vento che passa, sarei Pat Garret e Billy the Kid di B.Dylan, mentre invece durante la notte luminosa e senza paure sarei Lua e Estrella di Caetano Veloso. Quando piove cercherei di assecondare la fragile calma diventando Find the Cost of Freedom di Crosby, Stills e Nash. Per una donna che non esiste sarei La Casa del Serpente di Ivano Fossati.

Tra le tante esperienze professionali, ce n’è una che è particolarmente cara ad Ugo Gangheri?

Certamente avere avuto l’opportunità di essere guidato registicamente da Gioele Dix nella scrittura delle musiche di una piece comica; quella è stata un’esperienza molto, molto bella, piena di “effetto postumo”, come lo definisco io, ovvero la gratificazione quasi costante, da parte di qualcuno del pubblico che ne apprezzava la funzione e l’ascolto dopo lo spettacolo… di cui sono state fatte circa cento repliche!

Gioele con quella commissione mi ha fatto crescere tanto in termini di autostima e non solo, e c’è anche da dire che qualche critico le ha citate in alcune recensioni sottolineandone la bellezza (cosa rarissima se non sei un nome).

Nel ringraziare Ugo Gangheri del tempo dedicatoci, chiedo di farci partecipe dei tuoi progetti futuri

Eh il futuro un po’ mi mette angoscia, ti sembrerà strano ma non riesco a vedermi come individuo. Certo ho ancora tanti “sogni da sognare” e tanta voglia di scrivere e fare dischi anche strumentali, ma tremo per quello che vive attorno a me creando morte, per tutto quello che succede e che nessuno vorrebbe che accadesse, per tutte quante le giustizie divine che non rispettano il senso di questa affermazione laddove la si richiede, per questo e tanto altro ancora che una buona parte dell’umanità è costretta a subire e subisce.

Vorrei svegliarmi in un mondo dove ognuno ha una casa, del cibo ed un lavoro ma soprattutto vorrei che la coscienza collettiva prendesse finalmente una ed una sola posizione nei confronti dei potenti, magari disertando il semplice acquisto di ciò che rappresentano; questo potrebbe essere il primo punto di partenza e darebbe, di sicuro, un bel respiro a questo mondo!

Mentre nel mio specifico mi auguro di suonare il mio mondo con le mie canzoni quanto più possibile e che questo disco possa contribuire, sia pur lievemente, ad aiutare i volontari che si occupano dei cani e gatti randagi che hanno bisogno di assistenza, cure, cibo e tutto ciò che ha un costo… amore a parte!

Grazie ad Ugo Gangheri

Su Silvana De Dominicis

Vice direttore di La Gazzetta dello Spettacolo, amante degli animali, la natura e la cucina veg. Umiltà e sensibilità sono nel contempo i miei pregi e difetti.

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