Marco Rossetti. Foto di Cristina Scelsi
Marco Rossetti. Foto di Cristina Scelsi

Marco Rossetti si racconta sulla recitazione

Marco Rossetti “Non esiste un punto di arrivo. Questo lavoro è una crescita continua”

Se c’è una cosa che puntualmente ogni essere umano sbaglia è quella di giudicare un libro dalla copertina. Commentiamo, diamo dei giudizi affrettati senza sapere neanche di cosa stiamo parlando nello specifico. E senza neanche chiederci se quella cosa la conosciamo o meno. E questo spesso e volentieri accade anche e soprattutto per quanto riguarda il mondo dello spettacolo. Vediamo un attore e pensiamo “davvero un bel ragazzo quello lì”. E finisce la storia.

Marco Rossetti. Foto di Cristina Scelsi
Marco Rossetti. Foto di Cristina Scelsi

Quello che sto per presentarvi adesso non è un semplice bel ragazzo. Marco Rossetti è un bellissimo ma soprattutto bravissimo attore che conta nel suo curriculum così tante esperienze teatrali, cinematografiche e televisive che solo a contarle ti ci perdi. E lui, in tutta la sua umiltà, ammette che “è ancora molto poco”.  Professionalità, la sua, che si contraddistingue anche e soprattutto per la sua riservatezza, rara caratteristica pertinente a chi fa parte di questo immenso e ricchissimo mondo.

I molti lo riconosceranno sicuramente: ha indossato i panni del tenente Bartolomeo Dossena in Ris Roma, del giovanissimo poliziotto Riccardo Pisi in Squadra mobile. E ancora il latin lover superficiale Mario in “La ragazza dei miei sogni”, il ragazzo scapestrato in “L’estate sta finendo”, il giornalista giovane e coraggioso in “Nomi e cognomi”. E tra i molti amori, non manca il teatro. Saved, Catilina, Love’s kamikaze, Il professionista, solo per citarne alcuni.

Marco Rossetti durante l'intervista. Foto di Cristina Scelsi
Marco Rossetti durante l’intervista. Foto di Cristina Scelsi

L’immagine del bello e dannato è una costante ricorrente nei ruoli interpretati. Ma quanto di Marco c’è in questi ruoli?

Ben poco. Io non sono assolutamente così”, ci racconta. “Sono un tipo che sta sulle sue, che difficilmente riesce ad essere spigliato per quanto riguarda questo ambito. Ma comunque piace anche questa roba, diversamente da quello che può essere lo sciupafemmine un po’ troppo scemo. Chi si vanta delle sue conquiste può piacere, ma ormai è passato di moda. Interpretare un ruolo così, soprattutto per quanto riguarda la televisione e il piccolo schermo, è più difficile perché i ritmi sono diversi; c’è fretta di terminare un grosso lavoro e quindi meno cura dei particolari”.

Oltre al successo e alle soddisfazioni, il mondo della recitazione regala anche molte belle amicizie. Una di queste è quella con il collega Pippo Crotti, conosciuto sul set di Squadra Mobile. Insieme sono protagonisti di tante iniziative che, a detta di Marco, sono ancora top secret.

Secondo me più ne parli delle cose, più queste perdono quel fuoco sacro. Spero che un giorno ne riparleremo a conti fatti, per adesso non si sa ancora nulla. Stiamo scrivendo delle cose nostre, sperando che trovino luce in un momento così difficile e in ombra come è quello dell’Italia in questo momento. Per cui aspettiamo e vediamo”.

Se il piccolo schermo lo ha portato nelle case dei milioni di telespettatori, l’amore per il teatro è qualcosa che non si può descrivere a parole semplici.

L’ultimo spettacolo portato in teatro si chiama Saved. È stato uno spettacolo bellissimo perché il testo era molto profondo e duro. Edward Bond è un autore che fa teatro come è secondo me la concezione del teatro, non come quello che si fa oggi. Uno spettacolo che fa una denuncia sociale molto importante. Per cui questo testo prende uno spaccato della periferia di Londra e lo tramuta all’apparenza in maniera semplicissima: prende un gruppo di ragazzi e un nucleo familiare. E gira tutto intorno all’uccisione di un neonato. Pensi subito che si tratta di una cosa gravissima e negativa; e invece lui capovolge tutta questa roba qua. Questi ragazzi fanno del male ma è come se lui riuscisse a ribaltare il giudizio: li accusi ma in qualche modo li vuoi salvare. Per quanto riguarda poi il nucleo familiare, ci sono questi genitori che denunciano l’abbandono totale della classe sia politica che sociale. Crescono una figlia ma non badano ad essa e lei quindi vive in balia del bulletto, che ero io, che però non è il solito bulletto sciupafemmine. È una cosa molto complessa. Per questo dico che è stato uno spettacolo bellissimo con una compagnia di giovani pazzesca e regista bravissimo”.

Non manca poi la riflessione personale sulla carriera. Quanto Marco può sentirsi pienamente realizzato?

Non ho fatto ancora niente io. Questo lavoro ti permette di crescere sempre, qualsiasi cosa tu fai, qualsiasi persona tu incontri, si cresce sempre. Credo che non ci sia un punto di arrivo. Anzi questo arriva quando una persona si stufa. Ma perché un po’ è l’Italia che ti porta a questo. Prendo ad esempio l’ultimo documentario di Jim Carrey in cui lui prende in giro tutta quella che è Hollywood perché appunto è stufo. A me stufa un po’ il meccanismo totale, non il lavoro in sé. Il lavoro ti fa crescere e conoscere un sacco di cose, ed è bellissimo. Quindi no, non sono arrivato da nessuna parte. Dove vado? Sai quanto è lunga la strada ancora”.

E la relazione con questo mondo non è certo una passeggiata.

Sono un po’ impaurito da tutto ciò. Io sono uno che sta molto sulle sue e questo mondo invece richiede una pubblica relazione di fondo che io in sostanza non sono capace di fare. Però è chiaro che lavori come questo ti portano a conoscere un sacco di gente. E di lì nascono rapporti di amicizia, rapporti umani ma anche lavorativi in questo senso. Il mondo del cinema in sé è davvero un mondo particolare”.

Ed è semplice gestire questo peso in sostanza?

Sono qui, ancora lavoro, ancora lo faccio. Quindi bene o male sì, riesco a gestire tutto questo”.

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