Giulio Cavallini. Foto di Georgette Pavanati.
Giulio Cavallini. Foto di Georgette Pavanati.

Il fantastico mondo di Giulio Cavallini

A tu per tu con Giulio Cavallini

C’è chi impiega una vita per trovare una etichetta adatta a sé. C’è chi poi impiega una vita per disintossicarsi da tutto ciò e crearsi una propria personalità esule dagli stereotipi e che abbracci tutto ciò che maggiormente amiamo.

Giulio Cavallini. Foto di Georgette Pavanati.
Giulio Cavallini. Foto di Georgette Pavanati.

Giulio Cavallini appartiene alla seconda categoria. Riduttivo definirlo solo attore, come riduttivo sarebbe definirlo solo registra, fotografo e tanto altro. Contiene in sé una personalità capace di remixare tutto ciò che apprende e farlo proprio, conservandolo in un grande contenitore chiamato “arte”.

Ma cosa è l’arte davvero per Giulio? “L’arte è soltanto un mezzo per esprimere qualcosa. Laddove le parole non bastano e non ci sono. Vengo da una famiglia legata all’arte: mia madre è storica dell’arte e giornalista, mio nonno architetto importante, mentre l’altro nonno anch’egli giornalista e storico dell’arte. A 3 anni ero alle mostre in giro per l’Italia a visitare musei. In casa mia ci sono solo libri d’arte e cataloghi di mostre. Ho visto l’arte come spettatore agli occhi degli studiosi ed è questo il motivo per cui mi sono interessato a tante cose, perché non le ho viste in modo diverso. Sono linguaggi diversi sicuramente, gli obiettivi sono diversi ma che mi affascinano tutti.

In passato volevo diventare pittore ma i miei genitori non l’hanno lasciato fare. Paradossalmente sono diventato attore perché ho frequentato il liceo classico e ho conosciuto lì il teatro. L’arte penso sia un modo di parlare: c’è un film che mi ha colpito tanto, “L’ultimo ritratto” che parla di Giacometti; c’è l’attore Geoffrey Rush che riesce a far vedere davvero cosa è l’artista: un completo disadattato che però aveva il suo modo di esprimersi e passava ore a creare le sue opere per raccontare ciò che voleva dire”.

Giulio Cavallini. Foto di Francesca Marino.
Giulio Cavallini. Foto di Francesca Marino.

Per descriverlo con una parola, potremmo dire che è un artista poliedrico. “Non penso sia una caratteristica, penso che capita perché ti interessi di tante cose senza farlo apposta. Ti interessi di cinema, di teatro, ti accorgi che sono coerenti e che possono andare insieme. Ai miei occhi però è sempre la stessa cosa. La fotografia me l’ha fatta scoprire mio nonno: ero bambino e mi insegnava a scattare foto e mi è piaciuto un sacco; il teatro l’ho scoperto al liceo e ho continuato con l’Accademia del Teatro Stabile di Torino”. Il rapporto con il teatro però non è stato un colpo di fulmine: “È accaduto che abbia iniziato a recitare in un modo strano: a scuola non ero bravo e la professoressa disse che ci avrebbe dato mezzo voto in più se avessimo fatto teatro. Allora dato che avevo bisogno della sufficienza, quattro mesi prima che finisse il primo anno di liceo mi sono iscritto a teatro. E tra l’altro mi ha anche fatto schifo, era noioso. Poi non so cosa è davvero successo, siamo andati in scena e sono rimasto folgorato. Mi sono detto: oddio devo fare assolutamente questa cosa nella vita. Mi sono iscritto ad una scuola, ho continuato e ho scoperto un sacco di cose. È bello considerarsi poliedrico, anche se è una parola davvero molto forte: io ci provo, faccio delle cose ma mi piace l’idea di farle in modo interconnesso. C’è gente che mi dice: sei regista o attore? Beh io vorrei essere tutte e due: si può? Non vorrei escludere niente perché sono tutte cose super fighe”.

Nonostante la continua ricerca, non sono mancati i momenti di sconforto: “Molto spesso ho pensato di mollare tutto. Ti ritrovi di fronte a difficoltà così soggettive che non sai mai se troverai la soluzione; poi la trovi”. Ma il fil rouge della sua vita è rappresentato dallo sport, in particolare dal nuoto che ha praticato fino ai 18 anni a livello professionale. “Il nuoto mi ha insegnato a fare le cose con una certa forma mentis: devi puntare ad un risultato, lavorare per superarlo e lavorare ancora. Il filo è il lavoro, la fatica, allenarsi. Ho fatto la scuola di recitazione, poi ho scoperto che mi affascinava il cinema e ho provato a fare quello, poi ho fatto esperimenti da solo. È come se mi stessi allenando tutt’ora. Cerco di trarre risultati e cerco di farli meglio di prima. Motto particolare? In un mondo di persone arroganti, la vera arma vincente è la gentilezza. Porsi al di sopra degli altri in modo arrogante non può portare niente perché vedi le cose dall’alto e puoi solo andare in basso. Essere gentili e umili ti porta a fare sempre meglio”. Giulio ci racconta che secondo il suo insegnante all’Accademia per potersi considerare attori devi prima fare 10mila ore di pratica. In un settore come quello dell’arte è tutta questione di fortuna. “L’unica cosa che fai da te è il lavoro. Da te dipende quanto ti ci applichi”.

Recentemente abbiamo visto Giulio tra i personaggi de “La strada di casa”. Ha interpretato Giulio Bettetini, ruolo alquanto complesso e dalle mille sfaccettature: “Giulio Bettetini è un rampollo, figlio di un industriale piemontese venditore all’ingrosso di animali e produce carne macellata. È un ragazzo che da sempre ha avuto tutti gli agi possibili, ha un atteggiamento pieno di sé e sbruffone. Ha un lato anche tenero che viene fuori, quando nell’ultima apparizione va dai Morra chiedendo di aiutarli con i suoi risparmi. La componente sbruffona viene superata dal fatto che è innamorato di Milena. Ovviamente questo è quello che so anche io, mi è stato dato un personaggio costruibile: ha un potenziale di sviluppo molto forte. Dal pubblico è stato recepito in modo antipatico: credo di aver fatto bene il mio ruolo. Doveva essere visto così e ci sono riuscito. Ovviamente provenendo da un background diverso, non posso capire nello specifico tutti gli agi di un ragazzo del genere. Conosco nel torinese molte persone come lui, ho visto come si comportano. Ciò però che mi è stato insegnato è di non giudicare mai il personaggio che interpreti. A me Bettetini non sta simpatico, ma mentre recito devo abbandonare le mie convinzioni. Lui a 25 anni ha sale in zucca, è ormai grande; recitare la parte di un 17enne sicuramente sarebbe stato più difficile. Il tratto in comune con lui è che anche a me diverte fare un po’ il gigione, provarci con le ragazze in un certo modo e mi ci sono ritrovato”.

Giulio può vantare una serie di lavori di cui è stato autore, attore e protagonista; tra tutti spicca il suo ultimo cortometraggio dal titolo “Conseguenze”, realizzato autonomamente con la collaborazione di un amico. Al momento il prodotto è patrocinato dalla città di Torino, dall’associazione Museo Nazionale del Cinema e ha ricevuto i plausi dalla Film Commision Piemontese. “Non so se mi piace essere davanti o dietro le telecamere: sono profondamente un nerd e quindi ciò che ha a che fare con la tecnologia mi esalta. Davanti alla telecamera ho la soddisfazione di dire: ok sto recitando. Diciamo che mi piacciono le due cose allo stesso modo. Per questo nei cortometraggi cerco di fare entrambe le cose, tanto non devo dare conto a nessuno”.

E a questo punto la domanda sorge spontanea: hai trovato la tua strada di casa? “Si. Non c’è cosa che più desideravo, fare un lavoro così grosso e così importante. Avere a che fare con attori che possono solo insegnare delle cose. In questo mestiere mi sento a casa, non potrei fare nient’altro”.

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