Luca Martera. Foto inviata dall'intervistato.
Luca Martera. Foto inviata dall'intervistato.

Luca Martera, Pulcinella Vs Rocky

100 anni di cinema Napol-Americano: a colloquio con l’ideatore Luca Martera

Intervista a Luca Martera, autore, regista e studioso di mass-media tra Italia e Stati Uniti che presenta la sua conferenza stampa al PAN di Napoli.

Intervista a Luca Martera, autore, regista e studioso di mass-media tra Italia e Stati Uniti che presenta la sua conferenza stampa al PAN di Napoli.
Luca Martera. Foto inviata dall’intervistato.

Il prossimo 18 Aprile, Luca Martera terrà al Palazzo delle Arti di Napoli (PAN) una conferenza-show, promossa dall’associazione culturale “Musae”, dal titolo “AmericaNapoli – Cento anni di film vesuviani tra Cinecittà e Hollywood”. Ma andiamo a scoprire qualcosa in più.

Intanto, grazie per la disponibilità. Vuoi darci qualche anticipazione sulla conferenza?

Sarà una sorta di documentario dal vivo durante il quale racconterò un secolo di relazioni e influenze tra Napoli e gli Stati Uniti con l’aiuto di immagini dal cinema muto fino ad oggi.

C’è un messaggio specifico che Luca Martera vuole mandare attraverso questa iniziativa?

I messaggi – come diceva il famoso produttore cinematografico americano, Samuel Goldwyn – è meglio inviarli col telegramma che con i film. L’obiettivo, semmai, è di raccontare l’incontro-scontro tra queste due culture, così lontane e pur così vicine, per approfondire con aneddoti, fatti storici e curiosità certe analogie e differenze culturali. E i film, da questo punto di vista, rappresentano una meravigliosa e mai noiosa lavagna scolastica interattiva.

America-Napoli

Come nasce la tua passione per il cinema?

Risale all’adolescenza e nasce non come desiderio di fuga ma voglia di saperne di più su come funzionano le cose del mondo. Negli anni ‘80 avevo già le idee chiare: le “americanate” come Rambo, Rocky, ET, Flashdance e Ritorno al Futuro le consideravo “Big Babol per gli occhi” mentre i film italiani mi piacevano perché non avevano il lieto fine. Mi riferisco però non ai terribili film italiani prodotti negli anni ‘80 ma a quelli della gloriosa “commedia all’italiana” degli anni ‘60 e ‘70 che Berlusconi dava sulle sue TV a manetta.

E la passione per gli Stati Uniti?

Be’, dei tanti miti yankee ce n’è uno in particolare che mi aveva sempre affascinato, quello del self-made man. Nella mia stanzetta da adolescente nerd non avevo appeso poster né di cantanti né di calciatori ma solo locandine di film e un murale con lo skyline di Manhattan che ricopriva l’intera parete. Poi, tanti anni dopo, sono andato a vivere a New York e confermo tutto: la velocità, la magia, l’energia, ovvero quella grande bellezza che, come a Roma e Napoli, può tramutarsi in un battito di ciglia in grande monnezza, ma sempre carica di vitalissime scorie radioattive. Quanto al mito del self-made man, alla fine è rimasto tale e quale, buono solo per i manuali di Roberto Re, la realtà è sempre più contraddittoria.

Nel corso della tua carriera hai avuto modo di incontrare molte celebrità e nomi noti dello spettacolo e della cultura. Chi fra i tanti ti ha lasciato un segno particolare?

Tutti e nessuno. Mi spiego: tolti quelli che davvero mi hanno trasmesso qualcosa, dal fuoco sacro a qualche forma di sifilide a livello intellettuale, rimane il gruppone dei laidi e opportunisti che, pur avendo avuto tutto dalla vita, sono rimasti patetici tirchi anaffettivi. Mi riferisco, in particolare, ad alcuni politici, attori e industriali, i quali rimangono “cauti” anche da pensionati per paura di inguaiare loro stessi o i loro amici, e poi forse perché devono ancora sistemare qualche figlio, nipote o amante.

Nel mondo dello spettacolo al giorno d’oggi, c’è più desiderio di “apparire a tutti i costi” o di voler dimostrare il proprio talento?

Tutto il web è video-centrico e la parola, quasi sempre urlata e sgrammaticata, ha lasciato il posto all’immagine, quasi sempre “gellata” e supercafona. Detto questo, il talento è diventato una merce come tante altre e i più bravi – a barare, s’intende – possono arrivare anche a far credere di essere addirittura veri cantanti, attori e comici. Il tutto con la complicità di una certa stampa compiacente, di clic comprati con ricariche PostePay e dell’aiutino di nostra Signora del Piccolo Schermo Maria De Filippi.

Secondo l’opinione di Luca Martera, la cinematografia italiana è in crisi? E perché?

Il primo a mettere in burletta le lamentazioni italiche fu il cantante Rodolfo De Angelis che già nel 1934 cantava Ma cos’è questa crisi? prendendosela con il mondo del teatro. Di crisi del cinema italiano se ne parla praticamente da quando è nato, ma sicuramente a partire dagli anni ’80 abbiamo fatto un po’ la marcia indietro più per mancanza di coraggio che di sguardo. L’Oscar del 2014 a La Grande Bellezza lo considero un insulto a chi ama il vero cinema ma probabilmente non capisco nulla io. Di recente, una mia conoscente americana si è decisa a venire la prima volta a Roma – nonostante la “paura per il colera” – per farsi un selfie davanti al cannone del Gianicolo. Questo desiderio è nato in lei dopo aver visto il film di Sorrentino che si apre con le immagini di un turista giapponese che stramazza al suolo a causa della Sindrome di Stendhal. Troppa bellezza può, in effetti, far male, ma soprattutto può essere anche un incentivo al turismo, come dimostra il caso della mia amica, e quindi i film possono servire anche a questo.

Il più grande attore italiano di tutti i tempi?

Ugo Tognazzi perché poteva fare tutto, dal comico di panza all’intellettuale dopato, rimanendo sempre sublime. Ed è anche per far conoscere ai più giovani grandi attori come questi che da un po’ di tempo sto tenendo queste conferenze-show. Poi per chi volesse approfondire, tengo anche lezioni di 1 ora via skype su come imparare a raccontare per immagini. Non insegno “come raccontare” – visto che sono sufficienti uno smartphone per le riprese e un pc per il montaggio – ma che cosa raccontare, fornendo gli strumenti che servono a costruire in maniera efficace una storia su un tema o un personaggio.

Un film che emoziona Luca Martera in particolar modo?

La lista sarebbe troppo lunga. Cercando però tra i film selezionati per la conferenza, in particolare per illustrare la straordinaria epopea di Carlo Gentile, il fotografo napoletano del Far West che adottò il nativo indiano Carlos Montezuma, non ho trovato di meglio che l’atroce Arrapaho di Ciro Ippolito. Un film davanti al quale scatta quel collaudato meccanismo di contorcimento mentale in base al quale sei consapevole di trovarti di fronte a una roba brutta ma così brutta che diventa capolavoro e che, quindi, ti fa ridere di testa fino alle lacrime.

Ringraziandoti del tempo che hai dedicato, ti chiedo un’ultima cosa: tre motivi per cui consiglieresti la partecipazione alla conferenza-show “America-Napoli 100 anni di film vesuviani tra Cinecittà e Hollywood”.

Sarà un viaggio insolito e appassionante che ci farà capire che per ogni “Al Capone” Napoli ha esportato anche un “Joe Petrosino”.

Sarà anche un viaggio scandaloso e sensuale che farà comprendere chi è il vero corrotto e corruttore tra Napoli (l’Italia, per estensione) e gli Stati Uniti. La risposta non è così scontata, come potrebbe sembrare.

Sarà, infine, un viaggio di Sorrisi & Canzoni (niente TV, per fortuna) che chiarirà una volta per tutte qual è quel misterioso elemento napoletano che, a ogni ascolto del brano Far From Any Road (meglio conosciuto come il tema della serie TV True Detective), fa scattare il brividino lungo la spina dorsale che “scioglie ‘o sang dint’ ‘e ‘vvene sai”.

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