Daniela Stallo - Bruciati vivi

Bruciati vivi, il noir di Daniela Stallo

Tarantina di nascita, pisana d’adozione, la scrittrice Daniela Stallo è tornata in libreria con Bruciati Vivi, un noir dove fatti di sangue e indagini si intrecciano a un racconto di scuola, di donne, di desideri e ricerca della felicità.

Daniela Stallo - Bruciati vivi

Daniela Stallo, ti abbiamo vista percorrere l’Italia in lungo e largo per presenziare a rassegne letterari, premi internazionali, eventi culturali… quanta soddisfazione ti sta dando quello libro?

Avevo a cuore due cose. Innanzitutto scrivere storie, tenere compagnia al lettore per lo spazio di un libro, riuscire a lavorare con le parole. Ci sono arrivata non giovanissima. Ho un lavoro “ufficiale” da ormai trent’anni. Qualche anno fa è uscito un mio libro di racconti. Poi ho visto avvicendarsi, nella vita, altri eventi che hanno preso spazio, tempo, energie. Credevo che fosse tardi, sono contenta perché ho capito che c’è sempre tempo, e possibilità. Il lavoro che c’è dopo il libro, una volta pubblicato, mi era sconosciuto. Non lo amo particolarmente, mettersi in pubblico per raccontare oltre il racconto mi risulta faticoso, credevo che si potesse scrivere un libro e che lui riuscisse a camminare da solo, affidarlo al mondo come un figlio adulto già autonomo. Ho dovuto imparare, ho conosciuto belle persone nuove, posti, librerie, autori, compagni di viaggio. Continuo a pensare che mi piacerebbe restare nelle retrovie, ma il cammino mi dà soddisfazione.

E avevo a cuore che si parlasse del problema, che si iniziasse a prendere atto del tema del libro. Un inizio, e l’accoglienza del pubblico mi fa sperare. Lo Stato, l’opinione pubblica devono conoscere, rispettare e valorizzare il lavoro degli insegnanti.

Soffermiamoci sul titolo, indubbiamente forte e di impatto… sei stata tu a sceglierlo?

La casa editrice ha accettato il titolo originario che ho proposto. Un atto di coraggio, in effetti, perché può apparire inquietante, crudo, benché, debba precisare, che di bruciato vivo, nel libro, non c’è nessuno. Nessuna vittima bruciata. Il titolo prende avvio da una libera traduzione e interpretazione di burnout, bruciarsi, esaurirsi. Bruciati vivi sono i lavoratori, nello specifico della scuola, e dunque il tema è lo stress psicofisico del docente. Siamo in una scuola differente rispetto a quella a cui siamo abituati, a quella a cui ci hanno abituato tanta narrativa e molto cinema.

È una scuola grigia, non rassicurante, frustrante, dove colleghi e studenti non sempre si amano e non sempre sono amati. Il tempo e la disillusione incidono fortemente sulla condizione del lavoratore.

Mi piace però dire che il titolo non si riferisce solo ai lavoratori della scuola e che il libro sia un noir sul lavoro: la routine, la demotivazione, la percezione dell’inutilità, lo scollamento, l’alienazione sono comuni a molti lavoratori.

“È un libro sulla scuola – hai dichiarato. All’inizio volevo scrivere dei meccanismi burocratici nella scuola, domande, trasferimenti, assegnazioni, cose che neppure chi ci sta dentro capisce fino in fondo. Forse cercavo io stessa un senso, o solo una spiegazione, credevo che scrivendo si sarebbe sbrogliato il groviglio di norme, leggi, leggine, commi, eccezioni. Poi, invece, la storia è andata per conto suo…”. In che senso?

Ci pensavo da tempo a un libro sulla scuola. Spesso, anche a persone come me che ci lavorano danni, che hanno a che fare da una vita con gli ingranaggi di un sistema – sono figlia di insegnanti, di scuola sento parlare da bambina-, alcuni meccanismi, certe norme, l’organizzazione complessa che si sgrana in procedure, moduli, domande, termini, sembrano irragionevoli, macchinose e inutili. Pare che abbiano a che fare molto con la pubblica amministrazione pura e molto meno con l’istruzione. Spesso non li comprendo e di certo li subisco. Allora l’idea era quella di scrivere una storia attraverso cui trovare il senso agli ingranaggi del sistema. Poi, invece, Carmela, una collaboratrice scolastica, grande lavoratrice, instancabile, che accoglieva ogni richiesta, un’amica, un sostegno, in un giorno di particolare lavoro, uno di quei giorni febbrili, il centralino squillava in continuazione, gente andava e veniva, esasperata, mi disse: perché non scrivi un libro in cui muore qualcuno in una scuola? E così la storia ha iniziato un percorso diverso da quello che stava seguendo, si è come liberata, è andata con naturalezza dove voleva.

È stato facile trattare un tema come quello della sindrome da burnout o si è rivelato un percorso in salita?

Ho studiato. Prima di scrivere, e durante la formazione del libro, perché niente fosse improvvisato, ho consultato gli studi del dott. Lodolo D’Oria che da anni si dedica al problema, con specifico approfondimento alla scuola, e altro materiale. Lo stesso dottor Lodolo D’Oria ha visionato il testo.

Ho osservato per anni, da insegnante, i nostri comportamenti, mi sono analizzata, ho parlato con psicologi, ho preso appunti. Cercavo di scrivere un libro doloroso, ma allo stesso tempo senza scadere nell’eccesso, nel sensazionalismo che diventa caricatura di certi modi di fare. Ho dovuto impormi rigore.

Non è stato un percorso in salita, è stato un lavoro, scrivere è un lavoro che spesso ha poco a che fare con l’ispirazione e molto con la disciplina.

Sai che la letteratura gialla si divide tra numerosi sottogeneri. Il noir cosa permette di fare a uno scrittore in più di un thriller?

È stata una scelta. Il noir mi consentiva di trattare un tema, era il pretesto per raccontare una storia e una donna, il palcoscenico strutturato ad hoc perché Luisa, la protagonista, e la sua tragedia si muovessero. Il noir non mette necessariamente in risalto le indagini, l’investigatore, la trama criminale, quanto il mondo occulto, delle persone, dell’ambiente che stanno dietro il delitto. Il crimine, i crimini del romanzo servono perché i personaggi di Bruciati vivi accompagnino il lettore in un viaggio nella mente, prima che nelle loro azioni. E poi, alla fine del libro, nessuno è consolato, nessuno si salva, non esistono riscatti.

In chiusura, se la storia di Luisa diventasse un film, chi vorresti come attori per interpretare la sua parte e quella dei personaggi collaterali?

Qualcuno mi ha detto, in questi mesi che avrebbe visto Bruciati vivi come rappresentazione teatrale, in un monologo della protagonista che esclude l’azione.

Certo, un film… chi non vorrebbe vedere il proprio libro diventare film. Ci vedrei, come sfondo ai delitti, tanta strada, pioggia e una Golf che scorazza. Pur amando molto il cinema, non sono davvero in grado di immaginare una protagonista per Luisa, né per gli altri personaggi, mi sembra una cosa talmente grande che non oso neppure pensarla. Ma forse, a dare volto a Luisa, mi piacerebbe vedere Isabella Ferrari, sì, sarebbe perfetta.

Su Francesca Ghezzani

Giornalista, addetto stampa, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici. In passato ha collaborato con istituti in qualità di docente di comunicazione ed eventi.

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